Capitolo Uno
<<Bene, qui sono presenti i documenti per l'apertura del giardino e dell'aria est dell'edificio. Le firme qui devono essere timbrate. A questo punto, possiamo dire che abbiamo terminato. Non c'è bisogno di avviare altre procedure legali. Ogni dipendente ha la sua mansione protetta da un contratto, una certificazione giuridica e in più dal testamento redatto adesso. Abbiamo finito>>. Dico, sistemando i documenti nella cartellina e porgendola.
<<Perfetto, signorina Davis. Lei è davvero un ottimo avvocato>>. Mi loda, con un mezzo sorriso sulle labbra.
<<Signor Smith, la prego. Aveva dei dubbi? Sono figlia dell'avvocato Davis, non lo dimentichi>>. Mi alzo in piedi, sistemandomi il tailleur e scivolando delicatamente sulle sue gambe.
"Sono a un millimetro dal suo viso a osservarlo nella sua bellezza. Gli occhi azzurri come il ghiaccio, i capelli lasciati naturali, l'abito che lo disegna perfettamente ma soprattutto la cosa che più adoro osservare sul suo volto...".
"Il sorriso, puro e sincero che mi mostra nella sua autenticità. Trasparente davanti ai miei occhi".
<<Siamo al lavoro, dovremmo smetterla>>. Mormoro sulle sue labbra.
<<Non stiamo facendo nulla di male>>. Sussurra, sfiorando le mie labbra mentre parla e tenendo le sue mani strette sulla mia schiena.
<<Devo andare, sul serio. Devo essere a Bristol tra qualche ora, non posso fare tardi>>. Alzo lo sguardo dritto nelle sue iridi azzurre.
<<Lo so, per questo ti lascerò andare. Tra un minuto...>>. Sussurra.
"Una sua mano scivola lungo una mia coscia scostandomi completamente su un lato. Il suo respiro impetuoso sfiora i miei sensi, passando tra le mie labbra, i miei capelli e poi, sul collo".
"Sento, un brivido fremere sulla mia schiena. Le sensazioni che mi travolgono al suo tocco, alle sue labbra fredde che sfiorano la mia pelle sotto una danza delicata, come delle onde che travolgono le mie emozioni. Stringo gli occhi, pronta a sentire i suoi denti conficcarsi nella mia pelle perché per lui, per l'amore che provo, sono pronta sempre a dargli me stessa ma le sue labbra posano solo un casto bacio, lasciandomi ritornare in piedi".
"Mi segue sistemandosi la giacca e sbottonandone l'unico bottone. Mi accarezza il viso, con dolcezza. Gli sorrido di rimando, sorpresa dal suo comportamento. Credevo davvero, che volesse bere il mio sangue, come mai non l'ha fatto? Forse, sono stata sciocca a pensarlo...".
<<Non farti paranoie Katherine, sto benissimo. Non ho bisogno di bere sangue da te>>. Fa, comprendendo perfettamente cosa stavo pensando.
<<Non alludevo di certo a qualcosa, mi chiedevo solo come mai>>. Alzo gli occhi al cielo, prendendo la mia valigetta e le scartoffie.
<<Semplicemente oggi è il trentaseiesimo giorno senza sangue. In cui io sto bene e adesso devo tornare a lavoro, va>>. Fa indicandomi la porta.
<<Come ordina signor Smith>>. Gli faccio una linguaccia dietro alle spalle, chiudendo la porta dietro di me e filando dritta in auto.
"Il mio cuore batte forte e anche se adesso sono lontana dalla stanza del suo ufficio credo, che riesca a sentire comunque le mie emozioni non contenersi. Sono felice, la nostra vita sta trascorrendo nel migliore dei modi. Niente problemi, nessuna paura. Solo io e lui, il nostro amore".
"Sono passati sei mesi dalla morte di Maryanne e Alexander è cambiato notevolmente. Si è esercitato a lungo, per riuscire a non cedere alla tentazione di bere sangue, per essere più forte. Credo, che in cuor suo un po' di paura, di non riuscire a sconfiggere Maryanne lo avesse attanagliato. Ha deciso di non cedere più ai suoi impulsi, di avere il perfetto autocontrollo".
"L'ho sempre sostenuto, anche se la mia maggior preoccupazione è sempre stata l'idea che potesse cadere di nuovo nell'impulso di farlo e non chiederlo a me, non bere più il mio sangue. Non perché non mi fidassi ma semplicemente perché nonostante i cambiamenti che abbiamo dovuto affrontare, tutto quello che è accaduto con Maryanne... ancora oggi, Alexander non ha dato pace ai suoi demoni".
"L'ho visto delle mattine, prima che arrivasse l'alba, guardare il cielo perdendosi nei suoi pensieri. Era così immobile, con le labbra serrate tra le dita congiunte. Gli occhi, come due ghiacciai immobili, senza nemmeno un tocco di ciglia che li sfiorasse. Perché ha deciso di restare nel suo limbo, nonostante le mie parole, il mio amore verso di lui".
"Ho accettato, in fondo che tutto questo rimanesse così. Non per me, ma perché lo amo e anche se non riusciamo a condividere ogni cosa, a me non importa. Io ho deciso di rimanere al suo fianco molto prima di conoscere le verità che mi celava e nemmeno il suo continuo sentirsi peccatore, in questo mondo così imperfetto, potrà allontanarmi da lui".
"Il telefono squilla distogliendomi completamente dai miei pensieri. È il capo della magistratura per cui lavoro... il signor Martin, eppure non sono in ritardo. Che cosa vorrà?".
<<Pronto, signor Martin. Sto per arrivare>>. Rispondo mentre mi allaccio frettolosamente la cintura di sicurezza.
<<Signorina Davis, non si preoccupi. Non deve venire più a Bristol oggi, la nostra magistratura ha deciso di confermare lei come avvocato supervisore di un caso aperto ieri. Deve dirigersi alla centrale di Londra. Le sarà affidato il suo cliente. Mi raccomando, si faccia valere>>. Mi dice il signor Martin.
<<Che cosa? Io? Perché mai? Insomma, signor Martin... sono avvocato da pochi mesi e...>>. Farfuglio muovendo le mani nervosamente.
<<Signorina Davis, ci tiene al suo posto di lavoro? Allora faccia come le ho detto. Ci sentiremo in questi giorni>>. Stacca la telefonata bruscamente.
<<Che cosa?>>. Guardo il cellulare con un cipiglio innervosito.
"Non è possibile che certe giornate possano essere rovinate in questo modo. Odio diventare lo scarica barile del magistrato e soprattutto che senza il mio consenso accettino di mandare me come avvocato pubblico. Ho deciso di accettare quel lavoro perché mi ha fruttato moltissimo a livello professionale, ho seguito sentenze importanti, ho trattato personalmente dei clienti e tutto è andato bene, sotto la supervisione del magistrato Martin".
"Beh, questa volta sembra proprio che abbia deciso di darmi qualche sentenza noiosa, di cui nessuno ha voluto occuparsi nemmeno quel maledetto dell'avvocato Johns che ne trova sempre una per sviarsela. Sbuffo, mettendo il navigatore su Scotland Yard, ho bisogno di arrivare in fretta, quindi meglio mettersi in marcia".
"Dopo una decina di minuti, sono a Westminster. Precisamente a Victoria Street, parcheggio l'auto grazie al badge della magistratura e m'incammino velocemente nonostante i tacchi non proprio comodissimi. Entro all'interno del grande edificio in vetrate La polizia controlla tutte le persone, frugando ovunque. Arriva il mio turno che passo tranquillamente e mi dirigo dritta verso il corridoio indicatomi da un agente. Una porta nera scorrevole si estende davanti a me con la scritta di acciaio – Interrogatori – tiro un sospiro avvicinandomi a essa. Appena si apre mi ritrovo in una sala d'attesa. Gli agenti di polizia mi fermano, dicendomi di attendere. Pochi secondi dopo un uomo alto, dai capelli bruni, in abito scuro si avvicina verso di me sfoderando un sorriso".
<<L'avvocato Davis, giusto?>>. Mi domanda, porgendomi la mano.
<<Sì>>. Ricambio la sua stretta.
<<Sono il detective Richardson, la prego mi segua>>. Si presenta, indicandomi la strada.
"La mia espressione è seria probabilmente un po' troppo. Non dico nulla per tutto il tragitto fatto di corridoi e porte che si aprono continuamente. Mi cammina davanti, permettendomi di vedere ben poco di ciò che c'è davanti a noi. Apre l'ultima porta fermandosi all'interno di un piccolo ufficio. Come in ogni centrale di polizia, è la stanza da cui sono monitorati gli interrogatori. Vuota, se non fosse per il computer e il grande tavolo con le sedie al centro della stanza".
"Poso la mia borsa sul tavolo mentre il detective mette a posto dei documenti. Osservo la sua espressione tranquilla, mentre mi avvicino al vetro da cui posso vedere la stanza dell'interrogatorio. C'è una donna seduta con le mani ammanettate sul tavolo. Credo che abbia sui cinquant'anni ma l'espressione che ha il suo viso, la invecchia molto di più".
"La fronte corrucciata e le labbra serrate in una stretta di dolore,. Gli occhi spenti e la pelle bianca, ricoperta dai lunghi capelli neri. È da sola, si guarda le mani a lungo e le stringe come per rabbia, sospirando più volte".
<<Lei chi è?>>. Domando al detective.
<<Il motivo per cui lei è qui, signorina Davis>>. Mi volto verso di lui.
<<Che cosa vuol dire?>>. Alzo un sopracciglio.
<<Vede, questa donna ha bisogno di un avvocato. La sua magistratura ci ha affidato lei, avvocato Davis. Dovrà assistere al suo caso, ovviamente come se lavorasse per Scotland Yard. Non creda che sia facile, questo è molto importante... un caso del genere, qui a Londra può fruttare molto alla sua carriera>>. Chiude il computer poggiandosi al tavolo.
<<Di che cosa si tratta?>>. Domando, con fare serio.
<<Omicidio>>. Risponde lui senza mezzi termini.
"Mi volto guardando la donna, omicidio?".
<<Natalie Laura Brown, nata nel millenovecentosessantaquattro, divorziata da suo marito Steve Miller da circa sei anni, ha ucciso suo figlio di diciassette, Carter. Ieri sera>>. Risponde, con tono freddo e sommesso.
<<Mio Dio... di che cosa sta parlando? Omicidio... okay, perfetto ma io sarei la difesa? Io dovrei farmi carico di una donna che è accusata di omicidio? Che cosa salta in mente al mio capo? Non posso farlo, se fosse davvero colpevole... se è lei ad aver ucciso suo figlio la mia carriera sarebbe finita detective, appunto perché è Scotland Yard ma più di ogni altra cosa perché lei è un omicida>>. Mi arrabbio, passandomi violentemente le mani tra i capelli.
<<Non posso farlo...>>. Dico, sospirando.
<<Avvocato Davis la comprendo perfettamente ma è il suo ruolo. Lei deve fare semplicemente il suo lavoro, ha scelto lei di diventare avvocato penalista. Può sempre accadere che sia affidata all'accusato. Non si può sempre scegliere, come io non scelgo di dover indagare su un caso o su un altro. Si rilassi, vada da lei e le porga le domande che deve fare per compilare la documentazione. Si è avvalsa del diritto di non rispondere finché non fosse arrivato il suo avvocato>>. Si alza, sistemandosi la giacca e guardandomi dritta negli occhi, con autorità.
<<Non è così facile detective, non lo è. Per di più per una novizia come me... in questo lavoro>>. Rispondo a tono.
<<Lei non è la figlia dell'avvocato Anne Davis? Non è sua madre? Se la caverà>>. Mi da una leggera pacca sulla spalla con un sorrisino, lasciandomi da sola nella stanza.
"Non so' se questo sia stato un tiro mancino da parte di qualche avvocato di Bristol o semplicemente il mio capo, non è all'altezza delle aspettative che ho su di lui. Mi sistemo la giacca nervosamente, non posso crederci... mi hanno incastrato un caso del genere così alla sprovvista, senza neanche consultarmi".
"Il problema è che se mi tirassi indietro, sembrerei codarda e in questo mondo di sciacalli non voglio essere soprannominata come la vigliacca versione di mia madre. Non adesso che finalmente, sono libera di esprimermi solo con le mie forze".
"Apro la porta per entrare nella sala degli interrogatori. I suoi occhi subito incrociano i miei mentre mi avvicino al bancone per sedermi di fronte alla donna. Mantengo il più possibile la mia espressione, affabile e tranquilla nonostante dentro mi percuotono mille domande".
"Non posso di certo mostrarmi debole e curiosa, una delle prime cose che ho imparato è esattamente quella di mantenere un profilo psicologico tranquillo. Mostrarmi professionalmente distaccata, ma pur sempre umana se è necessario".
<<Salve signora Brown, io sono Katherine Davis il suo avvocato>>. Mi presento, prendendo i documenti legali e poggiandoli sul bancone.
<<Lei così giovane, è il mio avvocato?>>. Mi domanda con voce rotta.
<<Sì, le sono stata affidata dallo Stato, essendo che ha richiesto un avvocato. Qualsiasi procedura lei voglia prendere è libera di farlo, se vuole pagare un avvocato personale e privato, può comunicarlo a chi compete>>. Congiungo le mani, osservandola.
"I suoi occhi sono due pozzi, ha uno sguardo spiritato e per di più trema nervosamente. Non vuole affrontare il mio sguardo ma qualcosa d'istintivo mi dice che non è così che mi devo comportare, non posso far finta che lei non sia una persona. Non conosco cosa sia accaduto, se lei sia davvero colpevole di quell'omicidio ma ponendo un muro tra di noi, non potrò mai arrivare alla verità".
<<Signora Brown, si sente bene? Vuole che le faccia portare un bicchiere d'acqua?>>. Domando, con sguardo dolce.
Mi fissa, accennando un – no – con la testa.
<<Bene, devo farle delle domande. Mi servono per compilare il fascicolo su di lei. Non si preoccupi, deve solo rispondere>>. Dico aprendo la cartellina e prendendo una penna.
<<Il suo nome per intero>>. Comincio.
<<<Natalie Laura Brown>>. Risponde con un mormorio.
"Compilo il fascicolo con le domande riguardanti la sua età, la sua professione, il suo indirizzo di casa mentre cerco di nascondere il modo in cui studio la sua voce, le sue espressioni. Lo faccio, per comprendere quali cose possano essere una menzogna, che cosa la preoccupa in particolare".
"Per tutto il tempo, la sua voce esprime esattamente quello che osservo di lei. Angoscia e dolore, come se non sapesse ancora di essere lì, di aver compiuto quella violenza".
<<Signora Brown, lei si è avvalsa della possibilità di non rispondere a nessuna domanda da parte del Detective o dei suoi colleghi fino al mio arrivo. Ora le devo chiedere di parlare, sinceramente... di tutto quello che è successo ieri>>. Chiudo il fascicolo parlando con tono serio.
<<Io... io non lo so>>. Balbetta mentre i suoi occhi cominciano a diventare lucidi.
<<Signora Brown, cerchi di calmarsi. Noi vogliamo conoscere la verità, lei vuole conoscerla?>>. Le domando.
Annuisce.
<<Esatto ed io sono qui per aiutarla ma non posso farlo se lei non collabora con me, se non è sincera>>. Confesso, con più enfasi di quanto desiderassi mostrare.
<<Era buio... dopo cena, mio figlio era in camera sua a giocare ai videogiochi. Ora come sta? Sta bene?>>. Mi domanda, cominciando a piangere.
"Deglutisco nervosamente, come fa a domandarmi se suo figlio sta bene? Cerco di individuare nei suoi comportamenti, nel modo in cui parla se c'è una nota di pazzia, ma tutto quello che vedo trasparire è solo una madre... una madre che teme per la vita di suo figlio".
<<Lei sa perché è qui, signora Brown?>>. Domando, con tono pacato.
<<Mi hanno accusato di omicidio nei suoi confronti ma io non ho fatto nulla, lui come sta?>>. Urla dalla disperazione portandosi il viso sulle mani.
<<Mi dispiace signora Brown, suo figlio non ce l'ha fatta>>. Rispondo con neutralità nelle parole.
<<No... no... no...>>. Piange amaramente.
<<Non l'ho ucciso io avvocato, mi creda... non l'ho fatto>>. Mi prende le mani, facendomi sobbalzare.
<<Signora Brown deve dirmi che cosa è successo quella sera, lei era in casa con suo figlio>>. Cerco di utilizzare un tono tranquillo.
<<Non lo ricordo, è buio... tutto buio>>. Piange forte.
<<Si sforzi... signora Brown>>. Continuo.
"Le mie parole sembrano sfiorarla solo leggermente mentre i suoi pianti rimbombano nella stanza. Mi lascia le mani stringendole, per quanto può tra le manette, sul viso. Mi scosto con la schiena sulla sedia prima che la porta si spalanchi facendo entrare il detective con due poliziotti".
<<Portatela in cella>>. Dà il comando, mi alzo in piedi assistendo alla scena.
<<Non ricordo nulla, la prego mi aiuti>>. Urla la donna tra i suoi pianti rivolgendosi a me.
<<Qui ci sono i suoi documenti, io continuo a sostenere che questa non è per niente una buon'idea>>. Glieli porgo in modo poco garbato.
<<La magistratura di Bristol è stata l'unica disponibile a darci un avvocato nell'immediato. Che cosa vuole che faccia? Non posso di certo mandare questa donna avanti senza un avvocato. Lei è qui, metta la firma sui documenti e cerchi di non far venire un esaurimento nervoso a quella donna>>. Sputa fuori, con molto egoismo.
<<A me sembra che lei è solo interessato a chiudere velocemente il caso ma qui non funziona così. Io non so' dalla parte di chi sto, non conosco questa donna e a me sembra proprio che lei non ricordi neanche chi sia figuriamoci di aver ucciso suo figlio. È in stato di shock e l'esaurimento non glielo sto provocando io bensì la situazione generale>>. Rispondo a tono.
<<Signorina Davis, qui tutti quanti hanno un ruolo e fanno il proprio lavoro. Se a lei non sta bene, rifiuti con le dovute conseguenze questo caso ma non cerchi di mostrare che Scotland Yard o che Bristol abbiano cercato di incastrarla. Lei è qui per un caso del destino. Scelga lei cosa fare>>. Dice, questa volta con tono austero.
<<Io faccio solo il mio dovere signor Richardson, perché sono umana e non per il titolo che possiedo>>. Lo sfido dritto negli occhi, prima di dirigermi fuori da quell'edificio senza voltarmi nemmeno una volta.
"Mi passo entrambe le mani sul volto, esasperata e stanca dalla mattinata che ho intrapreso. Non so cosa pensare, come comportarmi e se queste scelte, tutte insieme siano giuste per la mia carriera. È vero, ci rimugino tanto, anche se al detective ho detto che la mia umanità mi spinge a fare il mio dovere e non è una menzogna. Non riesco a pensare di abbandonare il caso, di lasciarmi scorrere via quest'opportunità solo per avere – vita facile o per meglio dire carriera facile – ma non riesco nemmeno a non vedere il lato negativo della situazione, il fatto che io sia dalla parte della difesa".
"Chissà se almeno una volta mia madre si sia trovata nella mia stessa situazione, fin da quando ne ho memoria, l'ho sempre vista controbattere e vincere su ogni cosa, giusta o sbagliata che sia solo per la voglia di trionfare".
"Io non sono così, non voglio essere in questo modo. Io voglio scegliere, voglio essere libera di poter dire la mia avendo su entrambi i piatti della bilancia i fattori che me lo permettano. Per non far vincere un avvocato rispetto a un altro ma il vero motivo per cui ho scelto questa carriera, fare giustizia".
"Anche se ci insegnano da subito che non sempre è possibile riuscirci, che non sempre il bene vince sul male io ancora ci spero, l'ho visto... con i miei stessi occhi, quando è morta Maryanne nonostante avesse trasformato le nostre vite in un inferno, nonostante mi avesse quasi uccisa".
"Lascio Westminster alle spalle, dirigendomi dritta verso Rose Square. Sono le 15:00 del pomeriggio e non ho neanche pranzato. Come il solito finisco sempre per buttare all'aria i miei piani, come quello di mangiare... o di portare via gli scatoloni con le mie cose da casa. Sto rimandando da un bel po', lo so e la cosa peggiore è sentirselo ripetere continuamente da Alexander".
"Arrivo a Rose Square, entrando nel viale della villa di Alexander,. I giardinieri sono a lavoro sistemando il verde che accompagna la grande villa. Subito si avvicina, il volto più caloroso che questo posto possiede. Arthur, mi apre la portiera e mi saluta con un baciamano".
<<Come sta Arthur? La sua famiglia?>>. Domando, mentre mi accompagna all'entrata.
<<Benissimo signorina Davis, la vedo stanca... vada nel salotto le faccio chiamare la cameriera, vuole che le prepari qualcosa in particolare?>>. Fa premuroso.
<<Non si preoccupi, davvero>>. Gli sorrido entrando in casa.
"Quella casa, l'unica in cui sento che tutti i ricordi mi appartengono ancora e che mi apparterranno per sempre. Vado dritta verso il grande cancello di ferro battuto che si apre sul roseto".
"Lui è lì, che mi aspetta con le mani nelle tasche, la sua serietà che lo contraddistingue e quegli occhi enigmatici che mi fanno sentire sotto una presa impossibile da scalfire, come se potesse incantarmi senza darmi tempo di difendermi".
"Non guardarmi così.". Penso, cercando la connessione con lui.
"In quale modo?". Fa lasciando che un mezzo sorriso si mostri sulle sue labbra.
"In questo modo, che mi fa morire dentro".
"Mi avvicino con prepotenza stringendo le mie mani sul suo collo e dandogli un bacio ricco di passione, di intensità... di romanticismo. Un bacio, quello di cui ho bisogno ogni volta, in ogni istante per essere davvero felice. Per ritrovare in me, quella pace che bramo a ogni suo respiro".
"Le sue mani scivolano tra i miei capelli, il suo corpo è stretto al mio mentre padroneggia il nostro bacio, esplorandomi con quell'impeto di desiderio che nasce ogni volta che siamo a un soffio l'uno dall'altro".
<<Che cos'hai?>>. Mi sfiora le labbra, facendomi riprendere il respiro.
<<Giornata stancante, non mi avevi detto che fossi tornato a casa>>. Mi scosto, tenendo le braccia sulle sue spalle, per guardarlo.
<<Poco prima che arrivassi tu, dovevo controllare dei documenti>>. Fa sfoderando un breve sorriso.
<<Non incantarmi>>. Gli faccio una smorfia che lo fa ridacchiare.
"Mi contagia mentre le sue mani mi stringono la vita. Con lui, sento sempre di essere nel posto giusto, nella mia fortezza... nella mia casa e non mi riferisco a questa grande villa ma alle sue braccia, che mi proteggono più di quanto possa fare l'armatura più forte al mondo e mi donano quello che in me ho sempre desiderato, anche quando non volevo cedere alle sue tentazioni... l'amore".
<<Ti amo Katherine>>. Mormora, sul mio viso.
"Il mio cuore manca... manca sempre quel battito, quella prova che ogni volta che il mio nome è accompagnato da quelle due parole mi lascia senza fiato. Osservo il suo sguardo azzurro come il ghiaccio, inscalfibile, inarrivabile trasformarsi nel ponte per la mia salvezza, per la mia anima che vive di lui, di quello che sento, dell'amore immenso che provo".
<<Ti amo Alexander>>. Rispondo con un soffio di voce.
"Mi stringe una mano scostandosi dal mio corpo. Le sue dita sfiorano le mie con delicatezza quella che mi fa dimenticare, ogni volta, quanta forza possiede. Entriamo nel roseto, dove settembre ha lasciato la sua meravigliosa impronta dipinta nello spettacolo che si mostra davanti a me".
"Gli intrecci di edera ricoprono ogni lato, gli alberi verdi danzano affievoliti da quella brezza ancora calda che nasce nel vento mentre le rose rosse predominano meravigliosamente nel giardino. Lucide e maestose come se fossero state disegnate con gli acquerelli nella loro più estasiante bellezza, nella loro più stupefacente forma".
"Mi avvicino, beandomi di quella visione e sfiorandone una con le dita. Il profumo intenso, richiama tutti i miei sensi lasciandomi una sensazione di leggerezza e per un attimo riesco a sentire che tutto questo mi basta... per davvero".
<<Come fanno? Come fanno queste rose a mantenersi così divinamente... nonostante stia per arrivare l'autunno? Insomma, quando sono venuta qua, per la prima volta e ho visto questo roseto, era già passata l'estate e comunque queste rose sono rimaste così, perfette...>>. Domando ad Alexander, guardandomi intorno con occhi da bambina.
<<Perché me ne prendo cura. Lo faccio, per far sì che i segni del tempo e dei cambiamenti non permutino la loro bellezza e per conservare la loro naturale forza>>. Mi risponde, avvicinandosi a me con le mani nelle tasche.
"Lentamente, con un tocco delicato tira una rosa rossa completamente sbocciata, se la porta al viso per sentirne l'odore me la porge, costringendomi ad abbassare lo sguardo timidamente non appena incontro i suoi occhi azzurri".
<<Perché lo fai, loro possono rinascere ancora e ancora, anche se le intemperie le scuoteranno, anche se le loro radici si romperanno>>. Dico con sguardo accigliato.
<<Katherine, ogni volta che qualcosa rinasce non torna mai come prima. Si trasforma e tutto quello che era innato in esso cambia, inevitabilmente>>. Stringe una sua mano alla mia con cui tengo la rosa.
<<Ma rinascerà comunque come una rosa rossa>>. Incontro i suoi occhi.
<<La virtù del curare ciò a cui teniamo, vive con noi da sempre. Perché scegliere di lasciare al tempo ogni decisione, sul sentiero di noi stessi, se ciò che amiamo non significa dover lasciare tutto al caso?>>.
<<È come se decidessimo di buttare a terra un vaso, consapevole che quello si frantumerà in mille pezzi. Ricomporlo è facile ma riaverlo come prima è impossibile, mia rosa>>.
"Le parole danzano sulla sua lingua con una tranquillità quasi inusuale per lui. So' che ciò che nascondono le sue parole è molto di più di quanto lasci trapelare. Mi stringe la mano, ancora di più portandola alle sue labbra per lasciarne un bacio breve e delicato. Come se fossi di cristallo e lui avesse paura, che in un qualsiasi momento mi possa frantumare".
Spazio autrice
Buonasera a voi wattlettori e lettori di Alexander che e siete qui avete già letto il primo romanzo. Questo è l'incipit di questa storia e molte cose accadranno in futuro. Spero davvero che ci sia entusiasmo e che la curiosità vi abbia portato non solo ad attendere nuovi capitoli ma a credere in questa storia e nei nostri amati Alexander e Katherine. Vi aspetto con la vostra opinione, i vostri commenti super e le stelline. Presto con un nuovo capitolo!
Vi adoro e grazie per ogni cosa che fate... siete unici,
Roberta E. Meyers
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