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Capitolo Tre



<<Sì, tutto bene... tu come stai?>>. Tengo il cellulare con la spalla mentre poso uno scatolone sul pavimento.

<<Sei in palestra? Il fiatone Kate, non ti dona per niente>>. Ridacchia Jane, dall'altra parte del telefono.

<<No, mi sto trasferendo. Definitivamente>>. Sospiro, finendo la frase.

<<Davvero? Hai deciso di farlo?>>. S'incuriosisce.

<<Sì, qui non ho più niente che mi appartiene ormai. È vuoto, tutto vuoto>>. Le rispondo con malinconia.

"Lasciare il luogo in cui si è cresciuti è come perdere, per sempre, una parte di se stessi. Forse, meglio di me lo sa Alexander che ha visto il tempo portare via quello che aveva ma io, ancora oggi, non riesco proprio a chiudere quella porta per sempre".

"A rendere tutto ciò solo un ricordo del mio passato. In fondo, l'esigenza di rimanere in questa casa era pian, piano calata nel corso di questi mesi".

"Mia madre non ci torna più, si è trasferita da Eric che per sua fortuna abita nel centro di Londra. Molto vicino al suo ufficio ed io per lo più rimanevo da sola a rimuginare su quanto la nostra vita fosse cambiata. Oppure mi rifugiavo a casa di Alexander, come ben spesso capitava".

<<Ti capisco, hai scelto poi... dove andare?>>. Domanda Janet.

<<Sì>>. Le rispondo.

<<E non hai cambiato idea nemmeno una volta?>>.

<<No, per niente. È una mia scelta e voglio che sia così>>. Scosto una scatola con un calcetto.

<<Beh, allora... buona fortuna tesoro. Io tra qualche settimana tornerò a Londra. Tieniti pronta>>. Ridacchia come un'ochetta costringendomi a staccare il cellulare dall'orecchio.

<<Ci sono sempre per te, mi raccomando. A presto, allora>>. Rido insieme con lei, salutandola.

"Tutto ciò che mi appartiene è sigillato in pareti di cartone e la mia casa profuma solo di solitudine e cambiamento".

"Salgo al piano di sopra, lentamente. Sfioro con le dita quei muri in cui rivedo la mia infanzia. I miei genitori che verniciavano casa, la moquette del pavimento ormai un po' sbiadita e le scritte con il pennarello vicino al telaio della porta per indicare la mia altezza. La mia camera, che si è trasformata insieme con me. Da bambina di rosa, da adolescente di blu scuro con poster dei Coldplay e a oggi, bianca... da donna, piena di libri ma pur sempre ricca di me".

"Vedo i miei ricordi fermarsi un attimo e diventare percettibilmente un senso di vuoto dentro di me. Questo luogo mi apparterrà per sempre, mi ripeto, anche se dico che non è così".

"Perché?"

"Perché è qui che è nata ogni cosa della mia vita che mi ha trasformata in quel che sono. I cambiamenti, come sempre portano a qualcosa di nuovo, a una porta che si aprirà davanti al sentiero della nostra vita anche se adesso dovrò voltarmi per rivedere il mio passato".

"Bussano alla porta distogliendomi dai pensieri e facendomi scendere frettolosamente".

<<Buongiorno>>. Alexander si avvicina subito, dandomi un casto bacio sulle labbra.

<<Ehi, ti stavo aspettando>>. Lo abbraccio sorridendo.

"Quanto lo amo?".

<<Sei pronta?>>. Fa, prendendo degli scatoloni.

<<Aspetta sei venuto con un Suv?>>. Gli domando perplessa.

<<Dove credi che avrei potuto mettere gli scatoloni?>>. Mi domanda, perplesso.

<<Sei buffo>>. Rido.

<<Per quale motivo?>>. Alza un sopracciglio curioso.

<<Non ti ho mai visto fare un lavoro del genere, scendere con maglione e jeans. Perché lo fai? Come mai non hai mandato un tuo servitore a fare il tuo lavoro?>>. Lo prendo in giro, continuando a ridere.

<<Ah si? Preferivi che venisse qualcun altro?>>. Posa gli scatoloni a terra avvicinandosi a me, lentamente.

<<Alexander... scherzavo>>. Ridacchio, allontanandomi da lui.

<<Che cosa c'è?>>. Mi domanda, con voce delicata.

<<Niente e che... scherzavo>>. Mi allontano ancora ma qualcosa mi frena.

"Il divano dietro di me non mi lascia scampo e quando alzo lo sguardo di fronte a me, lui è vicinissimo, a un centimetro dal mio corpo. Il suo maglione sfrega la collana che porta al collo. Le sue labbra si schiudono respirando contro le mie, prima che con un movimento veloce mi fa scivolare sul divano cadendo su di me, lentamente. Ridiamo, insieme perdendoci in un bacio unico".

"Il nettare della mia vita..."

"La resilienza che possiedo per riuscire a ritrovare la mia strada nonostante le difficoltà. Perché ogni indizio ha il suo volto, il suo profumo ma soprattutto il suo amore che custodisco dentro di me, come il più grande tesoro che possiedo".

<<Ti amo, sono felice... le cose stanno andando bene>>. Mormoro, sfiorando i suoi capelli.

"Mi sussurra di fare silenzio, avvicinando di nuovo il suo viso al mio per baciarmi".

Il suo telefono squilla, facendolo sbuffare.

<<Pronto?>>. Risponde subito, ancora vicino a me.

<<Arthur... sì, sarò lì in quindici minuti>>. Si alza dal divano, chiudendo la telefonata.

<<Cos'è successo?>>. Gli domando perplessa.

<<Una riunione improvvisa, riguarda l'orfanotrofio. Questioni burocratiche>>. Si sistema il maglione.

<<Vuoi che venga con te? Sono il tuo avvocato>>.

<<Non c'è bisogno, Arthur verrà qua a darti una mano. Ti raggiungo fra un'ora. Mandami l'indirizzo>>. Mi posa un bacio sulla fronte, avviandosi alla porta.

<<Va bene>>. Incrocio le braccia seguendolo.

<<Sicura di non voler cambiare idea? Sulla casa?>>. Mi domanda, sfoderando un mezzo sorriso.

<<Assolutamente. Ho fatto questa scelta, ne ho bisogno>>. Gli rispondo.

<<Quindi non vuoi trasferirti da me?>>. Insiste.

<<No, mi posso permettere finalmente una casa e poi, saremo poco distanti. Alexander, sul serio... è una scelta mia, definitiva. Voglio qualcosa che sia solo mio, che mi appartenga>>. Gli confesso, con non poca troppa enfasi.

<<Casa mia è anche tua, Kate>>. Mette le dita sotto il mio mento, per alzare lo sguardo su di lui.

<<Lo so e ti ringrazio per questo... ma voglio davvero cambiare, avere un luogo tutto mio>>. Continuo.

<<Sarò invitato>>. Mette le mani in tasca.

<<Tu sei sempre invitato>>. Gli sorrido, con tutta me stessa.

"Le sue labbra scivolano sulle mie, in un bacio lento che risuona come un sussurro appena ci separiamo".

"Si dirige fuori di casa e poco dopo arriva Arthur, con l'Audi di Alexander. Si scambiano le auto e lui sfreccia via, dritto verso il suo ufficio. Arthur, impeccabilmente vestito, si avvicina a me salutandomi cordialmente. Lo invito a entrare e subito si dà da fare per sistemare gli scatoloni nel Suv".

<<Le do una mano io>>. Gli dico prendendo uno scatolone.

<<Signorina Davis, davvero non si preoccupi>>. Mi risponde prendendo con molta forza sei scatoloni alla volta.

"Dimenticavo fosse un vampiro".

<<Oh beh... credo che lei non abbia bisogno di me>>. Rido, seguendolo.

<<Questi qui vanno bene?>>. Mi domanda, riponendo le scatole nel Suv.

<<Sì, perfetto. Mancano solo quelli dei libri e le valigie>>. Annuisco, entrando in casa.

<<Arthur, posso farle una domanda?>>. Rompo il silenzio.

<<Certo, signorina Davis>>. Risponde l'uomo con tranquillità.

<<C'è qualcosa che ultimamente turba Alexander? Non so, lo vedo diverso... a volte, paranoico con se stesso e il suo autocontrollo. Ho la preoccupazione che mi tenga nascosto qualcosa, che voglia tagliarmi fuori>>. Gli domando accigliata.

<<No signorina Davis>>. Mi osserva, nel suo modo quieto.

<<Nemmeno con il lavoro?>>. Insisto.

<<Per niente signorina Davis>>. Prende degli scatoloni.

<<Arthur la prego, non voglio che Alexander si comporti come in passato. Non voglio che mi nasconda qualcosa>>. Lo fermo.

<<Signorina credo che l'amore sia anche avere fiducia nel proprio compagno. Se il signor Alexander le ha detto che non c'è nulla di cui preoccuparsi, allora sarà davvero così. Mi creda, se ci fosse qualcosa lei lo saprebbe anche prima di me. Non è forse vero, che lei conosce più cose di me del signor Alexander?>>. Mi dice, con un breve sorriso.

<<Ha ragione... forse. È dovuto correre via, lei sa il motivo?>>. Domando curiosa.

<<Riunione di lavoro per l'orfanotrofio>>. Si limita a rispondere, portando le valigie al Suv.

<<Dobbiamo dirigerci a Kings Road, nel quartiere Chelsea>>. Mi avvicino al Suv, prendo le chiavi nella mia borsetta e non appena non mi osserva vado a passo felpato nella mia auto.

Metto in moto, attirando la sua attenzione.

<<Signorina Davis... signorina Davis, dove va?>>. Urla avvicinandosi velocemente ma accelero bruscamente correndo lungo lo stradone.

"Voglio sapere dov'è ma soprattutto che cosa fa. Arthur era silenzioso, come suo solito dà buoni consigli ma mai una verità. È un suo amico fedele e se Alexander gli proibisce di dirmi qualcosa, lui accetta sempre".

"Corro, rischiando anche qualche multa ma Arthur ha un Suv e in più è un vampiro, devo seminarlo per riuscire ad arrivare per prima al suo ufficio".

"Niente musica, niente distrazioni. In venti minuti sono fuori Canary Wharf, davanti all'ufficio della Smith Company. Entro dicendo alla segretaria di non annunciarmi. Mi conoscono e questo mi permette di entrare e uscire dall'edificio tranquillamente".

"Prendo l'ascensore per arrivare al decimo piano, conoscendo già la strada ma un vuoto allo stomaco mi prende. Sono in ansia mentre l'adrenalina che ho in corpo mi dà la forza di muovermi verso la sua stanza".

"Cerco di calmarmi, per non far percepire la mia presenza in modo evidente ad Alexander. Il mio cuore comincia a battere in modo regolare e mi avvio cauta verso l'ufficio. Una voce, terribilmente familiare mi accoglie facendomi rimanere guardinga ma al quanto pietrificata".

<<Allora ti aspetto al gala>>. Fa un risolino.

<<Certo Lauren>>. Lui bacia la mano della bionda mentre lei si avvia fuori dall'ufficio.

"Lei... è lei, la donna che incontrammo a un gala. Quell'ochetta bastarda, sono in preda al nervoso e non mi accorgo subito che lei è già davanti a me e sorride sorniona come se non capissi le sue vere intenzioni e sfreccia via, senza degnarsi di altro sguardo".

<<Alexander>>. La mia voce ha superato molti decibel mentre la porta sbatte dietro di me.

<<Katherine, che cosa ci fai qui?>>. Risponde sorpreso di vedermi.

<<Io mi fidavo di te, brutto stronzo>>. Mi avvicino spingendolo ma con insuccesso.

<<Di che cosa parli, calmati>>. S'infuria mantenendomi i polsi.

<<Tu, mi hai mentito. Così si fanno le riunioni per l'orfanotrofio? Parlando con una troia come quella>>. Urlo a squarciagola, in preda alla mia rabbia.

<<Lasciami spiegare Katherine>>. Cerca di mantenermi i polsi.

<<Non mi toccare, smettila... smettila>>. Continuo a urlare guardandolo con disgusto.

"Mi lascia d'impeto, facendomi perdere leggermente l'equilibrio. Mi ricompongo, smettendo di urlare ma cercando in me ancora una volta, la forza di voler comprendere quello che realmente sta accadendo, anche se tutto il mio corpo vorrebbe scappare via, in senso di rifiuto".

<<Smettila di avere sempre un giudizio negativo nei miei confronti>>. S'innervosisce inarcando gli zigomi sul viso.

<<Allora sentiamo come sono andate le cose>>. Getto una mano sulla scrivania con violenza facendogli cenno di parlare.

"Abbassa il viso, sospirando e portandosi una mano al mento. Cammina, avanti e indietro, guardandomi e poi, distogliendo lo sguardo come se stesse cercando il modo giusto, la frase perfetta".

"La sensazione che provo alla sua reazione mi fa letteralmente rabbrividire. Un vuoto allo stomaco mi prende, lasciandomi nel bel mezzo della bufera, del freddo che piomba dentro di me. Per quale motivo ha bisogno di mentire? Perché non parla e mi nasconde ciò che è accaduto? Trattengo le lacrime che impetuose vogliono fare presa su di me".

"Non ora Katherine, non adesso che sei cambiata...".

<<Kate... è... cavolo!>>. Si passa le mani in viso violentemente.

<<Alexander io sono stanca, sono stanca davvero>>. Me ne vado prima che le lacrime cadano dai miei occhi ma con un movimento veloce mi trattiene per un polso, costringendomi a guardarlo in viso.

"La sua espressione è indescrivibile, gli occhi addolorati, le labbra strette. Come se ciò... il trattenermi fosse una richiesta di perdono, la promessa che io non lo lasci solo".

<<Finché non parlerai e mi dirai cos'è accaduto io non resterò qui>>. Mormoro, con le lacrime che scivolano via.

<<Ho sbagliato ma non in quello che credi tu. Non ti tradirei mai>>. Mi lascia, confessando una mezza verità.

"Si allontana, leggermente da me. Poggiando le mani sulla scrivania e abbassando la testa. Poche volte l'ho visto così affranto, forse, mai in questo modo. Rimango in silenzio, in trepida attesa di conoscere la verità ma con il cuore un po' più risollevato dalla sua sincerità".

"Mi fido di lui, profondamente ma una parte di me continua ad avere paura, una terribile paura".

<<Ho... mentito. Mi nutro, da circa una settimana>>. Dice, cercando la più totale naturalezza.

<<Bene, quindi lei era qui per nutrirti>>. Replico, mi lancia un'occhiata.

<<No, è venuta a chiedermi di accompagnarla a un gala insieme a suo padre, per darle un vantaggio nell'affare che la sua famiglia ha con l'organizzatore. Uomo influente che conosco anche nel privato>>. Si avvicina a me.

<<Però?>>. Alzo un sopracciglio, facendogli cenno di continuare.

<<Non ho resistito, ho bevuto il suo sangue e l'ho soggiogata per farle dimenticare>>. Mi guarda dritto negli occhi, confessando la realtà.

"Mi passo le mani in viso, distogliendo lo sguardo verso di lui".

"Quello che prima era un sospiro di sollievo si è trasformato nell'ultimo alito di vita che il mio cuore riesce a fare, spezzandosi sotto la prigionia delle sue mani quando prende il mio amore, la mia fiducia e la getta via come se a nessuno importasse dei miei sentimenti, come se lui li vedesse solo come una carezza della sua vita. Inevitabile ma di certo, non essenziale per le sue azioni. Per le scelte che pone davanti a sé".

<<Voglio andare via, adesso>>. Faccio per andare ma mi trattiene, questa volta non con forza.

<<Ti prego Katherine, parliamone>>. Mi ribadisce.

<<No Alexander, per me vale come un tradimento... lo sai perché? Perché io ti ho dato il mio sangue, ti ho chiesto di berlo solo da me se non puoi soddisfarti con le sacche. Ti ho chiesto di essere sincero, di non correre alla prima vena che ti passa davanti ma tu non ci pensi neanche a tutto questo>>.

<<Non rifletti sul fatto che io ho combattuto tanto per avere questo, per la fiducia che ho posto in te>>. Gli confesso, gettando fuori con rabbia tutto quello che peno.

<<A volte, sento come ti dimenticassi di quello che siamo adesso. Di quanto abbiamo sofferto per arrivare dove siamo. Mi sembra di prendere una strada e accorgermi che tu non sei più al mio fianco. Questa menzogna, questo nascondere la verità e per di più cedere all'impulso di bere sangue da un'altra vena, quando ti ho sempre detto che per me andava bene farlo, che volevo che fosse così è tradirmi. Più di quanto possa fare il valore fisico della cosa>>. Stringo la borsa, con la collera che mi stringe la gola.

<<Katherine...>>. Mormora, accigliato dalla rabbia ma con la mascella tesa, le parole gli muoiono in bocca.

<<Lasciami andare Alexander, qui non mi sento al mio posto e poi, odori di tradimento e sangue. Mi dà la nausea>>. Mi volto, senza nessun altro sguardo e chiudendo la porta alle mie spalle.

"L'adrenalina va via dalle mie vene, lasciandomi solo una sensazione strana. Di collera e dolore che si mischiano insieme per creare una miscela letale per i miei sentimenti. Esco dall'edificio facendo quattro passi per distogliere i pensieri. Io, gli ho dato tutta la mia fiducia, tutta la mia sincerità e consapevolmente, ha lasciato cadere queste mie certezze".

"Avrei tanto voluto sbagliarmi, correre qui e trovare una scena completamente diversa da quella che si è posta davanti a me e che nel complesso è molto peggiore di quello che sembrava. Avrei desiderato davvero, sentire parole diverse, un'altra verità, anche se significava ricominciare a bere sangue, ricominciare a ridargli il mio".

"Ho sempre desiderato che lo facesse, che smettesse di credere di non potercela fare e soprattutto, di riuscire a condividere un momento importante insieme con lui ma ha deciso di mentirmi. Di nascondermi che non ha resistito e per giunta non solo il danno ma anche la beffa, di usare altre donne per nutrirsi".

"La mia mente continua a girare e rigirare tra questi mille pensieri. I dubbi e il rancore che s'infila in ogni estremità del mio corpo facendomi dimenticare quanto stavamo bene, quanto le cose sembravano finalmente scritte per un nuovo capitolo della nostra vita".

<<Mi scusi>>. Mi volto, non appena urto una persona davanti a me.

Mi afferra le braccia, con forza.

<<Signorina Davis>>. Lo guardo, è il detective.

<<Detective Richardson, oh... mi scusi>>. Mi acciglio, aiutandolo a non perdere i documenti tra le mani.

<<Che fortuna incontrarla, stavo per venirle a portare i documenti sul caso>>. Fa un sorriso.

<<La ringrazio, come mai le scartoffie le porta un detective?>>. Alzo un sopracciglio.

<<Diciamo che Scotland Yard non ritiene utile fare un giro di documenti inutilmente, poi se hai chiesto al tuo segretario di annullare dei suoi impegni durante una partita di football della sua squadra preferita, non sempre ci si può aspettare che accetti di farti un favore>>. Risponde, a volte con un'espressione buffa.

<<Non gliela perdonerà mai>>. Faccio un breve risolino, accettando i documenti.

<<Katherine, posso chiamarti così?>>. La sua voce s'incupisce.

Annuisco, senza cambiare espressione.

<<Ti ammiro, perché sei giovane e riesci a vedere in questo mondo così complesso la voglia e la forza, di fare giustizia. Di formare la verità ed io, volevo chiederti di collaborare con me al caso, al di fuori del - quale parte stare - semplicemente per riuscire a fare luce su quello che è accaduto e dare giustizia a quel povero ragazzo>>. La serietà delle sue parole è palpabile.

<<Che cosa? Detective...>>. Mi guardo intorno spaesata.

<<Henry, Henry Richardson>>. Dice come una richiesta.

<<Va bene, Henry ma questo significa che qualcuno potrebbe pensare che lei è della mia parte, che io la stia coinvolgendo al di fuori del distretto pur di far scarcerare la mia cliente. Non posso mettere in gioco così, in questo modo imprudente la mia carriera. Sarebbe un suicidio>>. Intreccio le braccia.

"È una pazzia Katherine, una pazzia!".

<<Ascoltami, so che cosa ti sto chiedendo e se lo sto facendo e perché voglio che almeno per una volta, sia fatta giustizia, che vinca la verità. Non metterei mai a repentaglio la mia o la tua carriera solo per uno scrupolo di coscienza. So a che cosa si va incontro e ti do la mia parola che non accadrà nulla. In qualsiasi caso mi riterrò pienamente responsabile>>. Mi risponde, sempre con lo stesso tono.

"Abbasso lo sguardo, cercando di assimilare ciò che mi ha detto. È una grande responsabilità e per di più il mio cliente è anche l'accusato. Se fallissi, potrei giocarmi completamente ogni cosa, la carriera, il posto a Bristol e anche le credenziali per corruzione ma d'altra parte, non abbiamo cattive intenzioni. Noi, vogliamo indagare e fare del bene per sbattere in galera chi lo merita, non chi è più debole".

<<Henry, io voglio la certezza di essere al sicuro, che il mio lavoro non risentirà di questo>>. Dico.

<<Le avrai, fidati di me>>. Stringe le sue mani alle mie braccia, guardandomi negli occhi.

"Fidarsi? Una parola troppo difficile per me in questo momento. Perché si comporta così? Perché vuole che io lo aiuti per forza? E per quale motivo mi sento di doverlo fare?".

<<Voglio che la persona che abbia ucciso quel ragazzo vada in galera, che nessuno debba pagare ingiustamente come ha fatto lui>>. Confessa, i suoi occhi sono pieni di collera.

"Annuisco, accettando la sua richiesta. Non so' perché né quale sia il motivo che mi ha spinto a rispondere così d'impeto ma qualcosa mi ha smosso. Il suo sguardo sembrava carico di ingiustizia, di chi ne ha viste tante e vissute sulla propria pelle. Forse, sto commettendo un grande sbaglio ma può esserlo desiderare l'onestà? Volerla anche al costo di fare un passo più difficile di quanto riusciamo a credere?".

<<Sapevo che sarebbe andata così. Tu vali! >>. Mi lascia le braccia, felice della mia risposta.

<<Henry, non possiamo farci vedere così alla luce del sole. Qualcuno potrebbe pensare in negativo>>. Mi guardo intorno.

<<Ti ho detto di avere fiducia in me, se ci nascondessimo sarebbe peggio. Andiamo, analizziamo questi documenti. Hai pranzato?>>. Mi domanda.

<<No, in realtà>>.

<<Bene, allora discutiamone in un ristorante. Anch'io devo ancora pranzare, italiano?>>. Mi prende i documenti da gentiluomo, per portarli lui.

<<Giapponese, se ti va>>. Faccio un breve sorriso.

Annuisce, seguendomi a piedi, il ristorante e a dieci minuti di distanza dall'edificio di Alexander, dov'è la mia auto.

"Katherine"

"Mi fermo di scatto, sentendo la sua voce nei miei pensieri. Continui poi, a camminare sotto l'occhio vigile del detective che si avvia insieme con me".

"Katherine"

"Mi fermo di nuovo, come se mi fosse impossibile smettere di sentirla. Non voglio che lo faccia, non voglio ascoltarlo adesso e il lavoro potrà solamente giovare al volermi distrarre. Adesso, questo caso... quella famiglia e quel povero ragazzino hanno la priorità su di me e su qualunque cosa".

<<Va tutto bene?>>. Mi domanda Henry, alzo lo sguardo su di lui.

<<Sì, ero in sovrappensiero>>. M'incammino.

<<Qualcosa non va?>>. Mi chiede, più come un amico.

<<No, pensieri personali>>. Rispondo con tono distaccato.

<<Un uomo?>>. Mi domanda, mettendo le mani nelle tasche.

Gli lancio un'occhiata.

<<Ho indovinato>>. Fa un sorrisino.

<<È complicato>>. Mi limito a rispondere.

<<Io ho del tempo>>. Si ferma davanti a me, prima di entrare nel ristorante.

"Lì, la sua espressione cambia. Lo vedo, rilassato quasi sotto una nuova luce. Lontano dagli schemi giudiziari, da quello che di professione siamo. M'invita ad entrare ed io accetto in silenzio, prima di accomodarmi al primo tavolo che sceglie lui".

"La sua maschera è calata via, dando spazio ad un uomo. Uno vero, che osserva le mie espressioni con fare indagatore, come gli verrà di consuetudine ma senza doppi giochi".

<<Allora?>>. Incalza lui.

"Lo osservo, dimenticando per un istante ogni cosa. La mia vita, mia madre distante, Jane dall'altra parte del mondo, Alexander in lotta con i suoi demoni e sento, finalmente, di potermi liberare dei miei più estenuanti pensieri, come se avessi la certezza di non poter essere giudicata".

<<Beh, lui è complicato. Quando le cose vanno bene, sembra che sia pronto a rovinarle per nascondere le sue debolezze. A volte, la penso così, anche se lo conosco, è poco debole... la sua forza, unica>>. Attorciglio le dita.

<<Però?>>. Alza un sopracciglio, portandosi una mano sul mento.

<<Spesso, sento di non essere all'altezza. I nostri mondi sono così diversi, abbiamo affrontato tanti problemi per arrivare ad essere come ora, felici... ma qualcosa lo impedisce, il suo carattere>>. Continuo.

<<Lui com'è?>>. Mi domanda.

<<Enigmatico, principalmente. Testardo anche se molto cinico. Poche volte i sentimenti hanno la meglio sulle sue scelte. Ha molta collera nei suoi stessi confronti, a volte mi sembra di vederlo infliggersi del dolore che non merita, peccati che non ha commesso>>. Lo osservo.

<<Conosco una persona del genere, sai che cosa mi sono domandato spesso, quando vedevo le sue donne piangere continuamente per il suo carattere?>>. Si avvicina al tavolo, stringendo le mani.

<<Mi sono chiesto e se fosse lui a non essere adatto a loro?>>. 












Spazio autrice.
Buonasalve dolci vampiretti. Sembra proprio che non giri aria tranquilla tra Alexander e Kate, in particolare lei che sta vivendo un nuovo cambiamento e qualcosa di completamente nuovo. Non mi riferisco solo alla nuova casa bensì al lavoro che ha scelto e che gli ha posto avanti un omicidio e una donna accusata da difendere. Voi che cosa pensate del detective Henry? Sembra che lui veda in Kate qualcosa di completamente diverso, una sognatrice in quel mondo così difficile. Si aiuteranno? Si potranno fidare l'uno dell'altra? Come sempre vi aspetto con commenti e voti (anche negativi) per conoscere la vostra... aggiornerò molto presto anche perché abbiamo superato le 200 letture in soli DUE CAPITOLO, ci rendiamo conto? E' emozionante per me ed io lo devo solo a voi, che seguite questa storia e che trasformate la vostra lettura in un meraviglioso traguardo da vivere insieme.

Io vi aspetto, non dimenticate di lasciare la vostra opinione!

A prestissimo, con un nuovo capitolo!

R. E. Meyers

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