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Capitolo Due




"La seta sfiora la mia pelle come in una carezza armoniosa. La luce del sole comincia a irradiare la stanza mentre il vento scuote gli alberi facendoli danzare fuori dalla finestra. Mi stiracchio, voltandomi verso l'altro capo del letto ma Alexander non c'è".

"Sospiro, consapevole che sono poche le volte che l'ho visto realmente restare accanto a me al mio risveglio. Prendo la vestaglia, stringendola velocemente ai fianchi e dirigendomi nella camera del suo studio per cercarlo, ma non c'è".

"È presto, più di quanto immaginassi. Sono le sei del mattino e quella luce tenue che appare dal cielo non è altro che l'aurora del nuovo giorno che sta nascendo. Scendo al piano di sotto, nel grande salone ma solo il silenzio mi accoglie mentre di lui non c'è neppure l'ombra".

"Il roseto è chiuso a chiave e nemmeno Arthur è in giro per la casa. Ora che abita con la sua famiglia, Alexander gli ha concesso di arrivare più tardi ma non di andarsene prima – Il mio lavoro m'impegna a orari alternati, quando ho bisogno tu, sarai qui – gli aveva detto ma per il resto, è stato molto clemente".

"Alexander dove sei? Penso, intensamente cercando di aprire quella connessione tra noi ma niente cambia, rimango da sola con i miei pensieri. Mi avvio verso la palestra, scendendo attraverso l'ascensore. Se non è nemmeno qui sarà uscito per qualche motivo in particolare. Un rumore distoglie i miei pensieri. La luce della palestra è accesa e non appena entro, attraverso la sala osservando la figura che si allena con il sacco da boxe".

"È lui, in tuta e maglia bianca. A mani nude sferra dei colpi fortissimi al sacco che dondola incontrollato. La luce del sole forma dei cerchi perfetti sul soffitto, poco distante dalla sua persona. Mi avvicino, lasciandolo al suo momento di serietà. Aggrotta la fronte, sospirando qualche volta sotto la sua stessa forza".

"Dà un colpo, poi un altro ancora senza controllo mentre i suoi occhi sono fissi, senza battere ciglio davanti a sé. Tossisco, attirando la sua attenzione. Gli faccio un breve sorriso ma non sono contraccambiata. Sferra un ultimo colpo secco e poi si ferma. Prende l'asciugamano e se la passa in viso poi, indossa la collana passandosi violentemente una mano tra i capelli".

<<Sono le sei, non credi che sia presto per allenarsi?>>. Domando rompendo il ghiaccio.

<<Sono qui dalle due>>. Risponde con tono nervoso.

"Lo guardo perplessa, per due motivi. Il primo, il motivo per cui si è alzato alle due del mattino per allenarsi nonostante lo faccia già molte ore al giorno e il secondo, sicuramente, il suo tono arrogante quasi arrabbiato che sferra come una freccia. Pronto a colpire qualsiasi persona apra bocca verso di lui".

<<Che cos'hai?>>. Gli domando, avvicinandomi a lui e stringendo le braccia.

<<Nulla>>. Risponde, bevendo un po' d'acqua.

<<Non è vero>>. Ribatto.

<<Invece sì>>.

<<No, Alexander>>.

<<Sì, Katherine>>.

<<No>>.

<<Sì>>. Continua.

<<No!>>. Affermo con un po' di nervosismo.

<<Ho detto di no>>. Mi urla, facendomi sobbalzare.

"I suoi occhi rossi incontrano i miei. Il suo respiro aumenta, un secondo prima di portarsi una mano al viso per ritrovare la calma. Rimango immobile, senza muovere nemmeno un muscolo. Non so' che cosa gli provochi questa reazione ma di certo, non è colpa mia".

<<Scusa... scusami>>. Dice, con voce profonda piena di delusione.

<<Non preoccuparti, non avrei dovuto insistere>>. Rispondo facendo per andarmene.

<<Che cosa fai? Aspetta Katherine>>. Mi tiene per un polso.

<<Sei preoccupato Alexander, sei nervoso e come il solito, preferisci allenarti... fare qualsiasi altra cosa che restare con me. Voglio solo lasciarti lo spazio che ti serve>>. Lascio la sua presa con forza.

<<Non preferisco nient'altro se non restare con te. Altrimenti non ti chiederei di rimanere la notte qui. Ho solo bisogno di tempo per migliorare, per rimanere vigile>>. Getta fuori con un sospiro.

<<Alexander migliorare? Che cosa devi migliorare? Per quale motivo devi rimanere vigile? Maryanne non c'è più, è morta Alexander... è fuori dalla nostra vita per sempre. Sono passati mesi, molti mesi e siamo finalmente come volevamo essere... liberi>>. Gli prendo le mani, guardandolo con disperazione.

<<Ho bisogno che tu ci creda, per te stesso... per me, per noi. Ho bisogno di vederti felice, finalmente. Non così, come se ci fosse un nuovo ostacolo davanti alla nostra strada>>. Gli accarezzo il viso con una mano.

"Sospira, chiudendo gli occhi a quel mio tocco leggero. Quando li riapre le sue iridi, sono due pozzi blu intensi. Come se l'oceano si fosse liberato al loro interno, senza confini".

<<Voglio solamente, che questa volta niente cambi le circostanze>>. Mormora, soffocando la sua ira.

<<E sarà così>>. Gli prendo il viso tra le mani stampandogli un casto bacio sulle labbra.

"Mi sorride, brevemente prima di ritornare alla sua espressione seria. Non posso pretendere di certo che cambi, ma posso rendergli la vita un po' più semplice rispetto a quello che crede, sarà il futuro. Stringo la sua mano alla mia, accarezzandola dolcemente per ritornare al piano di sopra".

"Mi volto verso di lui un attimo, continuando a camminare ma qualcosa mi fa inciampare, facendomi scivolare dritta su una panca. Il bilanciere cade dietro di me sfiorandomi con l'acciaio il collo sotto la presa di Alexander che con forza lo mantiene con una sola mano".

<<Oh accidenti>>. Mi alzo frettolosamente, portandomi una mano al collo.

<<Stai bene?>>. Mi domanda, posando il bilanciere al suo posto e voltandosi verso di me.

"Mi guardo la mano, piena di sangue che scorre sul pavimento e sui miei abiti. Mi sono fatta male? Il mio istinto cerca i suoi occhi che si stringono marcandogli l'espressione del viso, seria e che cerca autocontrollo".

<<Katherine... >>. Mormora, dando un lungo e forte sospiro.

<<Alexander, è tutto ok. Solo un graffio, andiamo di sopra>>. Gli dico guardinga, facendo un passo indietro.

"Non basta mentre lui si avvicina a me, sta sentendo l'odore del mio sangue come la brama più forte di cui ha bisogno il suo corpo. Un mese e una settimana, senza sacche di sangue, senza mordere nessun collo ma soprattutto... senza ricevere nemmeno una goccia del mio".

<<Alexander...>>. Cerco di farlo tornare in sé.

"Il mio cuore batte all'impazzata, nonostante io sappia che non mi farebbe mai del male ma, la sua espressione è maligna. I suoi occhi si fanno rosso carminio mentre i canini cominciano a conficcarsi nelle sue labbra. Indietreggio, violentemente cercando riparo da lui ma so' che non ho scampo, se vuole mordermi lo farà... senza esitare, senza lasciarmi correre via".

<<Katherine...>>. Sussurra, leccandosi le labbra.

"Si avvicina prepotentemente, chiudo gli occhi per trovare in me la soluzione più adatta. Non voglio che lo faccia, sta resistendo... sta cercando di trovare la sua forza interiore e questo lo farà solo sentire indifeso sotto i suoi istinti primordiali. Stringo i polsi e con un passo felpato mi metto davanti a lui".

"Il sangue continua a scorrere dal mio collo e nonostante la sua espressione demoniaca lo vedo sgranare gli occhi sorpreso dalla mia reazione. Lo osservo e gli prendo una mano poggiandola lentamente sulla ferita e mi concentro, cercando di trovare nonostante il disordine dei miei pensieri e della mia paura, la tranquillità di cui necessito".

"Non hai bisogno di farlo, non lo desideri realmente".

Apro il varco nella mia mente per riuscire a creare l'unione con la sua.

"Non hai bisogno di farlo, il sangue non è per te un'assuefazione".

"Il suo sguardo non cambia mentre avanza verso di me, indietreggio più volte ma lui ha la meglio. Mi mette una mano dietro alla nuca stringendo i miei capelli sotto la sua morsa. Mi ferma lasciando tra i nostri visi solo lo spazio necessario a respirare. Guardo nelle sue pupille, dilatate e circondate da quel rosso, intenso e simile al sangue. Una voragine, da cui sento di non avere scampo se cadrò".

"Ti amo Alexander, so che non lo farai. Fidati di me, non ne hai bisogno".

"La mia mente pronuncia quelle parole, delicate per cercare di dargli la sicurezza che lui è più forte di quanto immagini. Capace di non cedere ma soprattutto di non farmi del male. Il mio cuore continua a battere forte, lo stesso ritmo hanno i miei respiri che ingannano la tranquillità dei miei pensieri mentre gli ripeto che va tutto bene. La sua presa diventa più forte costringendomi ad avvicinare il mio viso al suo, guancia a guancia".

"Sento, le sue labbra inumidirsi allo sfiorarle l'una contro l'altra mentre il suo respiro mi preme sul collo. Stringo le palpebre pronta per sentire i suoi canini ficcarsi nella mia pelle, sulla ferita che cola ancora sangue. I miei capelli scivolano tra le sue dita mentre il suo viso sprofonda nel mio collo ma non per mordermi bensì per distendersi come una sorta di stanchezza che lo attanaglia all'improvviso".

"Scivolo le mie braccia contro di lui, stringendolo mentre rialza il viso tenendo ancora il mio vicino al suo ma senza mostrarsi, stringendosi a me".

<<Alexander...>>. Mormoro, allontanandomi.

<<Mi dispiace Katherine>>. Dice, i suoi occhi sono ritornarti normali come i suoi denti.

<<Ce l'hai fatta, lo sapevo>>. Gli sorrido con contentezza.

"Mi rimanda solo un breve riso che muore sulle sue labbra quando sfiora la mia guancia. Si volta passandosi violentemente le mani tra i capelli come per disperazione".

<<Vorrei che tu mi parlassi, vorrei che mi dessi la possibilità di essere vicina a te anche quando qualcosa non ti lascia tranquillo. Lo so Alexander, che non è facile per te... che non sempre ho il permesso di entrare nella tua armatura, ma sappi che io ci sono sempre... che ti ascolterò se tu vorrai>>. Mi avvicino a lui stringendolo dalla schiena. Le mie mani sfiorano il suo petto dalla maglia mentre pronuncio la mia verità.

<<Sono stanco, molto stanco... è solo questo>>. Risponde, con tono austero.

<<Riposati allora, bevi sangue se vuoi. Io desidero solo che tu stia bene>>. Si volta verso di me.

<<Hai avuto paura? Che ti facessi del male?>>. Il suo sguardo è deluso.

<<No, non ho avuto paura che tu ti facessi del male>>. Rispondo preoccupata.

<<Non me lo perdonerei>>. Continua.

"Gli sorrido mestamente, assimilando ciò che è accaduto pochi minuti prima. La sua paranoia di dover essere – perfetto – di dover crescere ancora, diventare un vampiro più forte è diventata un'ossessione. M'invita a salire con lui, accenno un sì mentre i pensieri mi pervadono. Ho paura, davvero... che si faccia del male, che un errore per lui diventi inammissibile e che ricadi, di nuovo, nell'idea che non sia degno di niente".

"Perché Alexander ha imparato, in questi pochi mesi a capire che forse, non è tanto incomprensibile che dietro ai suoi demoni si nasconda comunque, un uomo vero. Aveva imparato che non esiste essere peccatore, se un'anima non la possiedi, che la bontà è sempre premiata e anche se, ho provato in qualsiasi modo a fargli capire che una coscienza e un'anima egli l'avesse, lui non ha voluto sentire ragioni ma ha compreso. Ha capito che se io sono accanto a lui, il merito ed è fatto che il male non risiede in se stesso ma nell'idea che ha di sé".

"Ricadere, cedere sotto la sua avversione significa ripiombare nell'idea che niente della sua natura da vampiro può essere cambiato, che ciò che è destinato a essere sarà sempre più grande di qualsiasi cosa egli faccia. Ed io, non sono pronta a vederlo soffrire per questo, a sentire ancora silenzi e un muro innalzarsi tra me e lui. Non ora che Maryanne è morta. Non adesso che il mondo sta girando, finalmente, nel verso giusto".

"Lo seguo, in silenzio. L'ascensore si apre e ci accoglie dirigendoci al piano di sopra. Non appena le porte si aprono Arthur si avvicina a noi, indicandoci che la colazione è stata preparata e la sala da pranzo è pronta. I camerieri corrono indaffarati avanti e indietro mentre noi, ci allontaniamo per la colazione".

"Andiamo in silenzio verso una stanza, completamente dalle pareti bianche e grigie. È un ufficio, leggermente più piccolo di quello al piano di sopra e arredato esattamente come le altre stanze. Prende una valigetta, cercando ciò che gli serve per disinfettare la ferita. Non appena ha tutto, si premura di curarla personalmente mentre l'unico rumore che ci circonda è quello dei nostri respiri".

<<Lasciala libera, è solo un graffio e la lividura andrà via presto>>. Annuisco, dirigendomi poco dopo verso la sala da pranzo.

"La stanza è completamente illuminata dal sole che alto nel cielo, irradia ogni superficie formando dei bellissimi giochi di luce. Il tavolo è apparecchiato con delle tovaglie in avorio ricamate mentre un grande vaso blu e dorato incornicia perfettamente ogni portata emanando un buonissimo profumo di Iris che si mescola a quello dei dolci e del caffè".

<<Accomodati>>. Mi dice, scostandomi la sedia.

"Lo ringrazio mentre lui si siede accanto a me. Noto sul suo volto una vena di sconforto che si rende sempre più visibile dagli zigomi marcati ma soprattutto dallo sguardo vitreo, quasi impossibile da scalfire. Le sue iridi azzurre sembrano bianche, come le nuvole che si avvicinano alla tempesta e capisco, che qualsiasi parola io possa utilizzare in questo momento per lui, sarà superflua".

"Katherine, lo sai che è lui è difficile, non è di questo che ti sei innamorata? La mia mente mi ripete queste parole ma mi dà anche una speranza. Quell'unica che mi dice che nel mio piccolo, per lui, posso fare qualcosa. Le sue mani sono poggiate sulle sue labbra, intrecciate alla perfezione. Avvicino la mia mano destra alle sue, distogliendo il suo sguardo da un punto fisso e costringendolo a osservare me".

"Lentamente, apro le sue mani, infilandomi tra le due e danzando delicatamente con le sue dita, perché a me il suo tocco fa dimenticare ogni cosa, ogni tensione e mi ricorda, ancora... che io posso essere felice solo insieme con lui".

<<Ti amo>>. Mormoro con un filo di voce, abbassa lo guardo.

<<Grazie>>. Fa come se fosse una confessione.

<<Non devi dirlo, io voglio che tu sia bene>>. Gli rispondo.

<<Sto bene>>. Dice, alzando gli occhi su di me.

<<Alexander, non è vero. Ti conosco, so che non è così e vorrei che tu mi parlassi, che mi dicessi che cosa ti passa per la mente. Sono mesi, dopo la morte di Maryanne che passi tutto il tempo a cercare di rafforzarti. È giusto, che tu pensi di voler diventare più potente, dosare meglio ogni cosa di te ma stai facendo, esattamente quello che hai fatto quando mi volevi tenere fuori dal tuo vampirismo, mi stai tagliando dalla tua vita>>. Mi alzo in piedi esasperata.

<<Dove vai?>>. Mi domanda accigliato.

<<Vado a lavoro, perché è meglio di restare qui a vederti in silenzio a pensare e ripensare ai tuoi errori. Io voglio che tu capisca che non sarai mai perfetto, nessuno lo è e non possiamo sempre guardare il passato e pensare che esso inevitabilmente modificherà il nostro futuro perché non possiamo saperlo. Perché le cose non posso andare sempre male e il mondo non può essere sempre avverso nei tuoi confronti>>. Continuo, con tono esasperato.

<<Credi che sia una questione che riguarda vedere il mondo in maniera avversa? No Katherine, non è questo. È semplicemente capire i propri limiti e superarli. Ora che posso farlo, che ho capito cosa significa affrontare un vampiro come Maryanne. Non lascerò niente al passato, non l'ho mai fatto e lo sai perfettamente>>. Mi dice, stringendo gli occhi con cipiglio arrabbiato.

<<Però Alexander puoi cercare anche di vivere in maniera normale, non di dimenticare ma almeno di restare accanto a me la mattina, quando mi sveglio e vorrei vederti sorridermi>>. Gli confesso con esasperazione.

Rimane in silenzio, stringendo i pugni e serrando le labbra.

<<Signori, qui c'è il thè. Buona colazione>>. Dice la cameriera, entrando nel salone e disponendo il vassoio sul tavolo.

Si dilegua subito, senza incrociare i nostri sguardi.

<<Vorrei che capissi, Katherine>>. Continua lui.

<<Anch'io>>. Ribatto andando definitivamente via dalla sala da pranzo.

"Sono stanca, sfinita da questa situazione impossibile. Dal suo modo di comportarsi, come se per lui il mondo fosse sempre pronto a tirargli una stoccata che non lo lascerà scampo ed io, adesso necessito solo di voltare pagina e cercare la serenità in ciò che mi circonda, nelle persone che ho accanto a me".

"Mi spoglio velocemente infilandomi sotto la doccia. In dieci minuti sono pronta, mi vesto con un tailleur grigio e camicia bianca. Scarpe con il tacco comode e nere come la borsa. Lascio i capelli sciolti, un filo di trucco e si va".

"Scendo le scale guardandomi intorno ma lui non c'è. Solo i camerieri intenti a pulire la casa e le guardie che ridono e scherzano davanti ad un caffè mattutino. Nemmeno Arthur è presente, prova evidente che entrambi sono usciti prima di me".

"Sospiro dal nervoso ma lascio che questo non mi rovini la giornata. Devo arrivare a lavoro lucida ma soprattutto con uno stato d'animo che non alteri né il mio punto di vista né la mia professionalità".

"Mi guardo la ferita dallo specchietto retrovisore. È un bel graffio evidente e solo adesso mi rendo conto di non aver indossato un foulard. I capelli lo ricoprono a malapena e più la osservo, più mi rendo conto di quanto sono entrata in questo mondo inconsciamente".

"In un primo momento avrei reagito d'impulso, magari rivoltandomi contro di lui non appena si sarebbe avvicinato con l'intento di bere sangue da me ma non è stato così. Ho cercato di trovare in me la forza di saper reagire, di raggiungerlo e tendergli la mano di cui ha bisogno, per non cedere ai suoi impulsi".

"Una scelta da donna matura Kate... i miei pensieri rimuginano su questo e forse, con soddisfazione, posso davvero dire che è così".

"Venti minuti di traffico mattutino prima di raggiungere e aggiungerei finalmente la sede di Scotland Yard".

"Trovo parcheggio, prendo la borsa ed entro nel grande edificio smorto che mi si presenta davanti. La gente corre, avanti e indietro intenta a lavorare. Tutti ben vestiti ma che si differenziano solamente dalla polizia in divisa".

"Mi dirigo all'ufficio degli interrogatori, sotto ordine del segretario del detective che appena mi vede, mi consegna il badge e mi dà indicazioni".

"Apro la porta ritrovandomelo davanti. Sfodera un sorriso, alzandosi in piedi ancora con il caffè tra le mani. Abito scuro e camicia bianca, capelli ben sistemati nonostante siano ricci e il profumo di dopobarba che arriva prima di lui".

<<Buongiorno, il martedì necessita per forza di una carica in più>>. Fa, con tono simpatico porgendomi un'altra tazza di caffè.

<<Buongiorno detective, è di buon umore?>>. Alzo un sopracciglio sorpresa ma accettando il caffè.

<<Forse, non ci si abitui>>. Dice ironicamente.

<<Serata andata bene con una donna?>>. Domando, con un sorrisino mentre mi accomodo per compilare la scheda sul pc.

Mi osserva perplesso.

<<Allora con sua moglie?>>. Domando ancora.

"Mi ci comporto con naturalezza, anche se non ci conosciamo da poco più di ventiquattrore".

"È giovane, poco più grande di me e stranamente riesce a mettermi a mio agio. Ho bisogno, comunque, di trattare tutti con una certa simpatia. Farmi dei nemici, anche solo lontano dalla carriera potrebbe non giovare affatto".

"Qualcuno la chiamerebbe strategia, io solo... buon viso".

<<Non ho una moglie>>. Risponde, sedendosi accanto a me.

<<Quindi è felice per una futura promozione?>>. Ticchetto sul pc.

<<No... anche se ne avrei bisogno, mi sono svegliato di buon'umore. Tutto qui>>. Fa spallucce, lanciandomi un sorriso dei suoi.

<<Fantastico allora!>>. Esclamo, girando il pc verso di lui.

<<Ho compilato anche i miei dati. Dobbiamo solo metterci a lavoro>>. Dico scostando i capelli dal collo.

<<Che cosa le è successo?>>. Mi domanda, accigliato e indicandomi il collo.

"Sbianco in un secondo, riportando i capelli vicino al collo. Mi alzo in piedi, prendendo tempo e sistemando la gonna. Kate, fatti venire un'idea".

<<Sono inciampata finendo contro un bilanciere da palestra. Poco fortunata>>. Ridacchio mentre si alza anche lui.

"Le mezze verità funzionano sempre...".

<<Molto fortunata invece, sarebbe potuto accadere di peggio>>. Risponde, come in un mormorio.

"Faccio un breve cenno con la testa mentre m'invita a seguirlo nella stanza dell'interrogatorio. Arrivano dall'altra porta due persone".

"Un uomo sulla cinquantina, capelli neri e occhi scuri e un altro, evidente avvocato, che lo segue a ruota con valigette e documenti. Quest'ultimo più vecchio di lui di almeno sei, sette anni. Il detective ci presenta, indicando l'uomo come Steve, marito di Natalie e il suo avvocato Michael Farrell".

"Poco dopo due guardie fanno sedere Natalie al tavolo insieme con noi mentre lei non accenna nemmeno uno sguardo".

"La sua espressione è spaventosa. Occhi affossati, gonfi e rossi dai tanti pianti. Pupille dilatate segno di malessere e pallore, su tutto il corpo. I capelli scompigliati, si tengono a malapena sulle sue spalle mentre scivolano pesanti sulla schiena".

"Tutti la osserviamo mentre lei ci ignora completamente, quasi come se non esistessimo".

<<Buongiorno Natalie, oggi come sta>>. Domando, dolcemente.

<<Come ieri o forse, peggio>>. Sussurra con un filo di voce.

"Con la coda dell'occhio seguo le azioni dei presenti, cercando di percepire tutto quello che possono fare e soprattutto in quale modo, escogiterebbero qualcosa per mettersi contro di me o peggio, contro Natalie".

"Il detective rimane in silenzio. Firmando mille documenti mentre noi, attendiamo che finisca per cominciare l'interrogatorio".

<<Bene, signori... possiamo iniziare>>. Dice, interrompendo finalmente il silenzio.

<<Signora Brown lei è accusata dell'omicidio di suo figlio Carter, ritrovato morto nella sua stanza due giorni fa. Ne è al corrente, giusto?>>. Domanda il detective, cupo in viso ma non nel tono della voce.

<<Sì>>. Mormora con delusione la donna.

<<Lei ricorda, cos'è successo domenica sera... intorno alle 20:00>>. Continua il detective Richardson.

<<No... davvero, lo giuro. Non ricordo niente di quello che è successo. Ho un buio dentro. Non mi sono nemmeno accorta delle sue urla, di ciò che possa essere successo. Sono entrata nella sua stanza e lui era lì... morto>>. Piange portandosi il viso tra le mani.

<<Rivoglio mio figlio>>. Urla tra i singhiozzi.

"Abbasso lo sguardo non incrociando minimamente quella scena con i miei pensieri".

"Il rumore dei suoi pianti diventa più profondo e incessante, un dolore che strazia l'anima e che ascoltarlo dà i brividi. Come può una madre fare del male al proprio figlio?".

"Tutte al suo posto piangeremmo così tanto, come se ci avessero strappato il cuore dal petto senza darci la possibilità di respirare almeno un'ultima volta".

<<Signora Brown, lei ha chiamato suo marito e poi l'ambulanza, perché prima lui?>>. Domanda l'avvocato del marito.

<<Perché ho avuto paura>>. Risponde la donna continuando a piangere.

<<Di che cosa signora Brown?>>. Domanda il detective.

<<Di che cosa fosse successo... di Carter, del mio bambino. Lui non c'è... più>>. Si dispera, le parole le muoio in bocca.

<<Signora Brown, che cosa le ha messo paura?>>. Insiste l'avvocato del marito.

<<Vi prego basta>>. Li fermo mentre la donna continua a stringersi il viso tra le mani e piangere convulsamente.

<<La sua è una tattica, per non rispondere. Passare come vittima>>. Dice l'avvocato accusatore.

<<Lei non può parlare in questo modo alla mia cliente. Né qui né in un tribunale con un giudice. Questa donna sta soffrendo, non è psicologicamente pronta a subire un interrogatorio insistente per scoprire se è stata lei a uccidere il suo stesso figlio. Chiedo un'udienza e fino ad allora lei avrà la facoltà di non risponde a nessuno se non il suo avvocato, che sono io>>. Mi alzo in piedi con gli occhi che fiammeggiano.

<<Lei non può farlo!>>. Esclama l'altro avvocato sfidando il mio sguardo.

<<Può, invece. Riportatela in cella>>. Dice il detective alle guardie.

"Seguo Natalie con lo sguardo, camminare per andare via come se non fosse realmente viva. La sua energia esplode solo attraverso le lacrime che la invecchiano, molto di più di quanto si pensi".

"Osservo suo marito accigliato, con un'espressione di disgusto nel vederla andare via. Senza nemmeno un saluto, una parola... una carezza".

"Com'è facile far scomparire da noi stessi i buoni sentimenti. Nasconderli sotto la paura di dover affrontare quelle ferite e provare il dolore di comprenderne la natura".

"Siamo fragili, così tanto da spezzarci non appena un vento più forte non ci lasci scampo ma anche così intraprendenti da ritrovare un motivo per ricomporci e rialzarci".

<<Non finisce qui, quella donna non uscirà mai più da questo posto>>. Minaccia l'avvocato, portando via il signor Brown.

"Mi passo le mani in viso, cercando di riprendermi dal nervoso".

<<Si prenda qualche giorno signorina Davis, le richieste per udienze durano molto anche qui a Scotland Yard>>. Dice il detective, distogliendomi dai pensieri.

<<Non appena avrò tutta la documentazione sul caso. La signora Brown non risponde alle domande, nemmeno le mie e non posso presentarmi a un'udienza senza tutte le informazioni>>. Rispondo, si limita ad annuire.

<<È stata una scelta azzardata, andare direttamente all'udienza senza conoscere niente del caso>>.

<<Non m'importa. Quella donna è una madre, una madre senza più un figlio. Psicologicamente non può sopportare tutto quello che è imposto dalla legge. Bisogna usare molta più cautela, parlarle in modo diverso. Non in maniera intimidatoria e mi riferisco anche a lei detective>>. Mi avvicino a lui, indicandolo.

<<Sul serio? Questo è il mio lavoro!>>. Esclama accigliato.

<<E difendere il giusto è il mio ma non per questo combatto con strategie subdole. Cerchi di interrogare il marito della signora Brown, che è stato impassibile e silenzioso per tutto il tempo>>. Sbotto.

<<In questo momento non sta facendo strategia subdola?>>. Replica lui.

<<No, io voglio solo la giustizia per quel ragazzino. Chi sarà a dover pagare, lo scopriremo>>. Rispondo, prendendo la borsa.

<<M'invii i documenti al mio indirizzo>>. Gli lascio il mio bigliettino da visita e faccio per andare via.

<<Signorina Davis, comunque davvero... si rilassi, scopriremo la faccenda>>. Mi costringe a voltarmi, dicendo queste parole con un breve sorriso.

"Annuisco e vado via, senza utilizzare parole. Sono sfinita, su questo ha ragione. La situazione è complicata e l'insieme delle vicende, come il fatto che Natalie non parli e quell'avvocato fastidioso, rendono ogni cosa ancora più stressante".

"I documenti sono di vitale importanza, con tutte le foto e gli avvenimenti della sera segnati dalle informazioni che possiede la centrale. Almeno, farò chiarezza su alcuni punti mentre Natalie comincerà a parlare".

"La sveglia mi ricorda il promemoria che tanto salto – Prendere scatoloni da casa – ma sono stanchissima adesso e non mi dirigerò proprio a casa. M'infilo sulla strada che mi porta a Rose Square e in circa quindici minuti ci arrivo".

"Il cancello si apre davanti a mentre il pomeriggio è calato notevolmente e il cielo nuvoloso fa prevedere buio intenso e probabilmente pioggia".

"La villa è completamente illuminata dalle luci delle stanza e quelle che ricoprono il giardino".

"Una guardia mi apre la portiera, invitandomi a uscire e parcheggiare la mia auto".

"Sorrido, entusiasta di essere ritornata qui. È il mio posto, in un certo senso, più di quanto possa mai descrivere. Sento, di essere nel calore di cui ho bisogno, per sorridere e sentirmi serena".

"Le porte si aprono davanti a me, la casa sembra dipinta. Messa in ordine e luccicante, come non mai. Un profumo di dolci arriva dalla cucina inebriando i miei sensi e diventando parte dello scenario".

"Il mio cuore batte veloce, è la felicità che possiedo dentro di me...".

<<Sei tornata presto>>. La sua voce mi costringe a voltarmi, Alexander scende le scale dirigendosi verso di me.

"Forse, non avevo abbastanza battiti dentro di me per riuscire a sentirli una volta incrociate le sue iridi azzurre".

"È in camicia bianca arrotolata sulle braccia, che gli disegna perfettamente ogni dettaglio del corpo. I pantaloni neri che cadono sugli stivali inglesi dello stesso colore e la collana che scivola a ogni movimento sul suo petto. I capelli ben fonati, la barba sistemata e lo sguardo... quello sguardo divinamente sublime che apre davanti a me l'unica forma di Paradiso".

"Lui...".

<<Sono di troppo?>>. Mi acciglio, cercando di tornare seria.

<<Per niente, anzi... avevo giusto in mente qualcosa>>. Fa un mezzo sorriso, schioccando le dita.

Una cameriera si avvicina subito a noi, con un vassoio con due bicchieri di champagne.

<<Brindiamo a qualcosa?>>. Domando perplessa mentre lui mi porge un bicchiere.

<<Al perdono>>. Sibila, tentennando il suo bicchiere al mio e bevendo d'un sorso lo champagne.

"Lo seguo più lentamente cercando di capire che cosa intende con quelle parole. M'invita poi, ad andare al piano di sopra".

"Mi porge la mano e nell'istante in cui stringo la mia alla sua, mi dimentico ogni motivo per cui gli errori, le paranoie possano mettersi tra di noi".

"Ho bisogno di lui, di sentirmi sempre al suo fianco come se lui fosse quel battito che il mio cuore manca a ogni suo sguardo ed io, il respiro che gli ricordi la sua umanità".

<<Pronta?>>. Mi domanda con occhi vitrei, davanti alla porta della sua stanza.

"Accenno un sì e quando la apre la camera la ritrovo completamente ricoperta di rose rosse, tutte incastrate l'una all'altra che formano un percorso. Mi porto istintivamente le mani alla bocca, sorridendo come una bambina".

"Lui si trattiene, anche se so' vorrebbe scoppiare a ridere per la mia espressione. M'invita a entrare e il profumo di quei meravigliosi fiori mi scivolano fin dentro l'anima".

"Seguo il percorso trovandomi nella camera da bagno. Le candele e le rose circondano la grande vasca in pietra posta sul pavimento. È incantevole mentre la schiuma dondola al ritmo delle gocce. Sospiro, osservandomi intorno mentre lui si mette dietro alle mie spalle, stringendo una mano sul mio ventre e scostandomi via la giacca".

<<Sei stanca?>>. Mi domanda, con un sussurro all'orecchio.

<<No>>. Rispondo mentre sento le sue mani scivolare lungo la chiusura della gonna.

<<Potremo dimenticarci per un po' di tutto quello che è successo>>. Sussurra ancora, cominciando a sbottonare la mia camicia.

"Le sue labbra baciano il mio collo delicatamente, come un soffio impercettibile all'occhio umano ma che provoca brividi alla schiena".

"Sorrido mordendomi un labbro ma sono consapevole che sa già la mia risposta, anche se non mi guarda in viso".

"La mia camicetta scivola sul pavimento e con un movimento esperto mi volta verso di lui baciandomi, appassionatamente sulle labbra".

"Ci esploriamo in una danza unica e nostra al ritmo del desiderio. Sbottono la sua camicia velocemente, senza lasciare le sue labbra che continuano a cercare le mie come se fossero il suo ossigeno e la sua fonte di vita".

"Scendiamo, scalino dopo scalino fin quando l'acqua calda e dolce non ci sfiora la pelle".

"Le sue mani circondano i miei capelli, i suoi occhi guardano nei miei mentre le sue labbra percorrono le mie nella sua sublimità che lo contraddistingue prima di dimenticarci di non essere un corpo solo".






Spazio autrice.
Hello Buddies, con questo secondo capitolo di Katherine - Il sequel di Alexander. Allora sembra proprio che molti punti della prima storia si "ripetono" e come ben sapete dal finale di Alexander, non tutto quello che era accaduto al nostro amato vampiro era stato perdonato e infatti ancora una volta Kate, deve combattere con i demoni di Alexander. Voglio informarvi che ci sono degli elementi nel primo libro lasciati volontariamente sospesi o che si ripetono con particolare enfasi. Questo, oltre ad essere un piccolo omaggio ad uno dei miei autori preferiti e anche un punto per il quale sequel ha vita e diventa quasi necessario per completare la prima storia. Spero con tutto il cuore che la storia vi appassioni, anche perché scrivere un Sequel è sempre difficilissimo soprattutto per non cadere nel banale e magari ripetitivo. Vi aspetto, comunque, con la vostra più sincera opinione nei commenti e sappiate che grazie a voi e alle vostre opinioni una storia diventa migliore, quindi se vi è piaciuto lasciate un voto e un commento e se non fosse così, date comunque la vostra opinione. Sarò felice di accettarla e migliorare. Vi aspetto!

Al prossimo aggiornamento e con tanto affetto,
Roberta E. Meyers

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