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Ventidue

22.


Mentre varcavo la soglia di casa mia sentii il cuore accelerare. Avevo paura di ciò che sarebbe potuto succedere, tuttavia continuai a camminare verso le scale sperando che per qualche assurdo miracolo mio fratello non si fosse ancora svegliato, ma mi fermai a bocca aperta quando vidi in che condizione era il nostro salone.

Il tavolino era rovesciato, il vaso di ceramica di mia madre rotto in mille pezzi, e nella stanza regnava il caos. Mi guardai intorno confusa e spaventata, fino a quando il mio sguardo non si incontrò con quello furioso di mio fratello. Avanzò a grandi passi verso di me prima di inchiodarmi alla parete.

-Dove cazzo sei andata? Hai idea della paura che mi hai fatto prendere? Dopo quello che hai provato a fare ieri sera decidi anche di scappare di casa?- urlò puntandomi un dito contro.
Lo spinsi via guardandolo con disgusto -pensi che io ti sia grata per il fatto che tu mi abbia fermato dall'ammazzarmi? Sai, non te lo avevo chiesto, e se a quest'ora sarei stata morta sarebbe stata solo colpa tua, hai capito?- gridai con le lacrime agli occhi ricordandomi della sera precedente, quando ci era mancato davvero poco per mettere fine alla mia vita.

Strinse i pugni guardandomi arrabbiato prima di avanzare nuovamente verso di me -Fammi indovinare, sei andata a piangere sulla tomba di quel bastardo?- chiese questo impregnando ogni parola con un sarcasmo velenoso, mai usato prima.
Risi di gusto, prima di tornare a guardare la sua espressione infuriata e perplessa -E se ti dicessi che non è morto?- ribattei facendo un passo avanti con le braccia ai fianchi
Mi lanciò un'occhiataccia -Certo che è morto- rispose sicuro di sé prima di sorridermi crudelmente

Non riuscivo davvero a credere che riuscisse a farmi una cosa del genere, non potevo pensare che quello era lo stesso fratello con cui avevo riso e pianto in sedici anni, quello che consideravo il mio eroe. Adesso mi sembrava solo un mostro, o forse lo era sempre stato.

Senza trattenere la rabbia scoprii il mio collo mostrando a Dan la macchia violacea sulla pelle -Ti sbagli, altrimenti non sarebbe riuscito a farmi questo- dissi sorridendo orgogliosa di me stessa, felice di potermi finalmente risentire forte, in grado di combattere.

Sgranò gli occhi diventando paonazzo, prima di dare un calcio al tavolino di legno che volò in alto per poi schiantarsi sulla parete lasciando un piccolo segno.
Continuai a guardare mio fratello impassibile.

Quando mi ritrovai a terra mi portai una mano sula guancia, incapace di credere che mio fratello avesse alzato le mani su di me. Eppure la pelle bruciava, non serviva guardarmi allo specchio per sapere che ero rossa e sentivo il dolore, non solo fisico.
Alzai lo sguardo su di lui, che mi guardava come se fossi un insetto da schiacciare - Non sei mia sorella, sei solo la puttana di Bieber- mi insultò digrignando i denti. Quando finì di parlare vidi le sue pupille dilatarsi, la bocca spalancarsi. Probabilmente si stava rendendo conto di ciò che aveva fatto e detto, ma non mi importava

Era troppo tardi ormai, mi faceva solo schifo.

Mi alzai prima di correre rapidamente in camera mia chiudendo la porta a chiave. Presi lo zaino sotto il mio letto e cominciai ad infilarci le prime cose che trovavo, non ci facevo neanche caso. Mi guardai intorno un ultima volta, aprii la porta trovando mio fratello a sbarrarmi la strada.
Quando vide lo zaino stretto tra le mie braccia sbiancò, ma non gli diedi tempo di parlare perché lo spinsi da parte scendendo rapidamente le scale.

-non farlo- sentii dire alle mie spalle mentre aprivo la porta, ma la voce mi raggiunse come un eco lontano, mi sembrava persino sconosciuta.

Strizzai gli occhi trattenendo le lacrime, consapevole che una volta varcata quella soglia non avrei più avuto una famiglia, un posto dove andare, ma soprattutto una banda.

Era un rischio enorme, ma non avevo intenzione di perdonare mio fratello, mi aveva fatto troppo in quegli ultimi giorni, un qualcosa non possibile da ignorare
-ti prego- insistette avvicinandosi, ma uscii correndo alzandomi il cappuccio della felpa. Cercai di non pensare mentre correvo, non sapevo nemmeno io dove, e mi fermai solo quando una macchina per poco non mi investì.

Si fermò e io ricominciai a camminare velocemente, fino a quando non mi sentii strattonare per il braccio.
-Non andrai da lui- disse deciso Ben stringendo la presa sul mio braccio.
-lasciami e non rompere il cazzo proprio ora, ho già i miei problemi- risposi evasiva cercando di allentare la sua presa, ottenendo l'esatto contrario.

Mi girai per guardare quei due occhi azzurri che adesso sembravano vuoti e freddi.
-non andrai da lui- ripetè più forte tirandomi possessivamente verso di lui.
-è morto o te lo sei scordato?- urlai sperando che mi avrebbe lasciato andare, invece si mise a ridere.
-ho sentito tutto Ellen, non c'è bisogno che cerchi di mentirmi. Non ne sei capace- parlò con un tono di voce stranamente dolce, mentre mi accarezzava la guancia arrossata con il dorso della mano.

Lo scansai guardandolo con orrore -mi stai seguendo?- domandai con un filo di voce mentre lo guardavo attentamente, in attesa della sua reazione.
Lo vidi indugiare, quando diede un pugno allo sportello della macchina facendomi sobbalzare. Sembrava completamente fuori di sé, come se fosse stato posseduto dal demonio.

Ne approfittai per indietreggiare a passi veloci, ma mi tirò nuovamente verso di se guardandomi con aria di rimprovero.
-ti ho detto che non andrai da lui- mi ricordò digrignando i denti.
- non sei tu che mi dici cosa devo o non devo fare. E ora lasciami che mi stai facendo male- ordinai lanciandogli un'occhiataccia
Cominciò a bisbigliare alcune parole a bassa voce, come se stesse decidendo cosa fare.
-tu ora verrai con me, io non ti voglio fare del male- disse piangendo mentre con la mano libera si tirava i capelli.

Sgranai gli occhi terrorizzata, prima di guardarmi intorno in preda al panico. La strada era deserta, e come se non bastasse il cielo era grigio, segno che tra poco sarebbe iniziato a piovere.

-Che ti prende Ben? Ti prego lasciami- implorai con una smorfia di dolore quando strinse ulteriormente la sua presa.
I suoi occhi si riempirono di tristezza, e iniziò a scuotere forte la testa -Non posso, stai zitto, non posso!- urlò spaventato, come se qualcuno lo stesse per attaccare.

Cominciai a preoccuparmi seriamente. Iniziò a parlare da solo, come se oltre a me lui ci fosse qualcun altro, fino a quando non tornò in sé riportando la sua attenzione sul mio viso. Sorrise amichevolmente abbracciandomi, mentre io trattenevo il respiro sperando con tutta me stessa di uscire viva da quella situazione.
-amo il tuo profumo- commentò intrecciando una ciocca di capelli tra le sue dita, prima di avvicinarla al suo naso inspirando profondamente.

Mi irrigidii sperando che mi lasciasse andare, invece mi tirò verso la sua macchina con aria decisa e autoritaria.
-non voglio venire con te, diamine!- sbottai prendendo a pugni la sua mano che stringeva ancora il mio braccio. Non mi lasciò, continuò a camminare trascinandomi con sé. Buttai il mio corpo all'indietro, sperando che avrebbe lasciato la presa e che sarei quindi potuta scappare, invece mi continuò a tirare fino allo sportello aperto, caricandomi sui sedili posteriori senza tante cerimonie. Ben salì al posto di guida e mise subito in moto dopo avermi lanciato un rapido sguardo, come se temesse che potessi sparire da un momento all'altro.

-Non so' cosa tu stia cercando di fare, ma ti conviene lasciarmi andare in questo preciso istante- dissi cercando di mantenere la calma. Lui strinse la presa sul volante, prima di guardarmi dallo specchietto.
-Tu verrai con me, devo essere sicuro che tu non veda più Bieber, devo essere sicuro che tu sarai solo mia- disse aggrottando al fronte e accelerando.
Tentai di aprire lo sportello, ma era bloccato.

Mi morsi il labbro tentando di non mettermi a piangere o urlare, ma la verità era che ero completamente terrorizzata.
-Non devi avere paura di me - aggiunse sorridendo mentre i suoi occhi si illuminavano.
Non riuscivo a non avere paura di lui, e a dir la verità avevo anche qualche dubbio sulla sua salute mentale.
-Se ci tieni a me lasciami andare- tentai trattenendo il respiro in attesa della sua risposta.
Scosse forte la testa tornando poi a guardarmi - tu sarai mia- ripetè con tono deciso e minaccioso.

Sbuffai infastidita -Invece non lo sarò, rapirmi non ti servirà a nulla. Io non ti amo, fattene una cazzo di ragione- sbottai dando un pugno al finestrino. Sentii la macchina fermarsi, ma prima che potessi controllare dove ci trovassimo fui catapultata fuori dalla macchina, e finii su un prato bagnato. La pioggia era flebile, qualche goccia, però bastò per inumidirmi i vestiti. Sobbalzai quando Ben si sedette a cavalcioni su di me, con un'espressione addolorata in volto.
-Io non volevo, ma devo farlo- mormorò estraendo un coltellino dalla tasca della sua giacca.

Sgranai gli occhi in preda al panico, e cominciai a scalciare tentando di levarmelo di dosso. Ma era troppo pesante, non sarei mai riuscita a scappare dalla sua presa.
-no ti prego, non farlo, mi dispiace!- tentai strappando dei fili d'erba dal prato per il nervoso, mentre sentivo gli occhi pizzicare.
Lui scosse la testa sorridendo -Devo- disse deciso prima di affondare la lama sulla pelle del mio viso.

Urlai dal dolore quando sentii la lama spostarsi lungo tutta la mia guancia, fino al collo. Abbassai lo sguardo notando alcune goccioline di sangue cadere sulla mia giacca, macchiandola mentre il dolore lancinante continuava a farmi urlare.

Strinsi i denti trattenendo il respiro quando passò un dito lungo tutto il taglio. Lo guardai avvicinare il dito sporco di sangue al suo viso, studiandolo per bene prima di incupirsi e mettersi a piangere. Lo avvicinò alla sua bocca assaggiando il liquido rosso, mentre io lo guardavo terrorizzata e disgustata al tempo stesso. Si alzò prendendomi in braccio prima di depositarmi nuovamente sul sedile della macchina. Tornò alla guida mantenendo il silenzio, mentre la mia mente lavorava veloce chiedendosi cosa avessi mai fatto per essermi meritata tutto quel dolore.

Avevo ritrovato Justin, e sentivo di averlo perso un'altra volta. Non sapevo cosa mi avrebbe fatto Ben, non potevo immaginarlo e avevo paura. Mio fratello non sarebbe venuto ad aiutarmi, i miei genitori si trovavano in Russia e non mi avrebbero aiutato nemmeno se fossero stati lì.

Chiusi gli occhi sperando di addormentarmi, così avrei potuto non pensare per qualche minuto, ma fui costretta a riaprirli quando la macchina si fermò. Notai una grande casa in pietra, circondata da un giardino incolto pieno di erbacce. Ben scese aprendomi lo sportello, così lo imitai guardandomi intorno spaesata.
Mi prese per mano tirandomi verso di lui, prima di iniziare a camminare fino ad arrivare alla porta. La aprì trascinandomi all'interno. L'arredamento era classico, e anche un po' triste per un ragazzo di venti anni. I mobili erano scuri e i colori delle pareti erano soffocanti, sembrava quasi di stare in un museo.
-Ti faccio vedere la tua camera- disse allegramente, come se fossimo una giovane coppia che ha deciso di andare a vivere insieme, e non un ragazzo matto e violento insieme a una ragazza ferita, dolorante e terrorizzata.

Mi lasciai tirare su per le scale senza dire nulla, con la paura che potesse arrabbiarsi e farmi nuovamente del male. Aprì la porta spingendomi delicatamente all'interno della stanza.

Era buia come tutte le altre, con mobili scuri e le pareti ricoperte di una carta da parati a fiori. Notai un grande letto matrimoniale al centro, così mi girai guardandolo con aria interrogativa.

Mi sorrise tirandomi verso il letto, prima di sedersi e posare le sue mani sui miei fianchi. Mi morsi il labbro sperando che si sarebbe accontentato di quello, che almeno per qualche ora mi avrebbe lasciato stare, invece spostò le sue mani sotto la mia maglietta iniziando ad accarezzare la mia schiena. Tentai di fare un passo indietro, ma mi tirò facendomi cadere sul letto dal materasso duro e rigido.
Salì sopra di me sfilandosi la maglietta, rivelando un corpo tonico e muscoloso, che però mi incuteva solo disgusto e timore.

Cercai di rotolare su me stessa, scalciai ma non fece una piega, continuò a sorridere prima di avvicinare le sue labbra alle mie. Tentò di infilare la sua lingua nella mia bocca, ma opposi resistenza, così si arrese limitandosi a baciarmi mentre io rimanevo immobile e ad occhi chiusi, sperando che quell'incubo cessasse all'istante.

Odiavo tutti, odiavo Fleur per avermi tradita, odiavo mio fratello per aver quasi ucciso Justin e per avermi insultata. Era colpa sua se ero scappata di casa, e quindi era colpa sua anche per quello che stava accadendo in quel momento.

Sobbalzai quando sentii la sua mano stringere il mio seno destro ancora coperto dal reggiseno. Mi sfilò la maglietta ignorando le mie lacrime, le mie proteste e i miei calci, continuando a sorridere sadicamente.

Posò le sue labbra sul mio petto scoperto, iniziando a baciare e mordere violentemente, facendomi gemere dal dolore. Fraintese i miei lamenti, e cercò di slacciarmi il reggiseno con prepotenza. Riuscii ad oppormi, mi coprii con le braccia e gli diedi un calcio in pancia alzandomi dal letto prima di correre verso la porta. Sbiancai quando capii che era chiusa a chiave, ero in trappola e nessuno sarebbe venuto a salvarmi.

Se fossi stata una ragazza normale a quell'ora sarei stata a scuola a sbuffare per le lezioni noiose, impaziente di uscire per andare a prendermi un gelato insieme ai miei amici. Invece no, stavo lì cercando in tutti i modi di non essere violentata, con un taglio profondo sul viso e le lacrime agli occhi.

Ben intanto si era ripreso, e avanzava verso di me con aria apparentemente calma. Una volta arrivato a pochi passi da me tirò fuori una chiave argentata e aprì la porta tirandomi verso di sé.

Sospirai pensando che finalmente avesse finito, avesse capito di aver sbagliato e che mi avrebbe riportato a casa, invece continuò per un lungo corridoio fino ad arrivare ad una porticina dalla maniglia arrugginita. La aprì portandomi all'interno di una piccola stanzina con delle scale, che scendemmo fino ad essere immersi dal buio. La sua mano continuava a stringermi il braccio, e con l'altra accese la luce lasciandomi scorgere quella terribile visione.

C'era una cantina enorme, una grande sala probabilmente senza riscaldamento dato il freddo, anche se al momento il problema principale non era quello. Ad un muro vi erano appesi una seria di coltelli, dai più piccoli a quelli più grandi e affilati. Al centro della stanza vi era un grande lettino, simile a quelli degli ospedali, con delle cinghie di cuoio. Mi girai verso di Ben guardandolo scioccata e spaventata.

-Benvenuta nel mio mondo, bambola- sussurrò al mio orecchio prima di chiudere la porta a chiave. Si girò dirigendosi verso un armadio dal quale tirò fuori una specie di cinta. Dovetti trattenermi dall'urlare quando capii che si trattava di una frusta.

Mi guardai intorno in preda al panico, ma non vi erano vie di uscita. Sentii una vibrazione sulla mia coscia, e solo in quel momento mi ricordai di avere il cellulare che molto probabilmente era quasi scarico. Lo tirai fuori con cautela, attenta a non farmi vedere.

A: Justin
Sono in una grande villa in pietra, circa venti minuti fuori dalla città.
Aiutami ti prego.


Inviai il messaggio piangendo, prima di infilare nuovamente il cellulare nella tasca. Alzai lo sguardo nello stesso istante in cui Ben si girò, rivolgendomi un sorriso sadico.
-Ora si che ci divertiamo- mormorò prima di avvinarsi a grandi passi verso di me.

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