Undici
11.
Quella mattina Fleur era strana.
Mi squadrava ogni volta che ci incontravamo per i corridoi, e ogni volta che mi avvicinavo per tentare di parlare scappava via come se avessi la lebbra. Capivo che potesse essere arrabbiata dopo il mio comportamento, ma non pensavo sarebbe arrivata a quel punto. In più in quel momento avevo bisogno di lei, anche solo per scherzare, visto che non mi ero ancora ripresa dalla sera precedente.
Ogni volta che ci ripensavo sentivo un dolore acuto al petto, qualcosa di indescrivibile che mi levava il fiato.
A ricreazione andai nel bagno delle femmine, e per la prima volta ne approfittai della mia reputazione di "cattiva ragazza" per levarmi di torno le bamboline che stavano chiacchierando davanti agli specchi mentre si scambiavano rimmel e lucidalabbra.
-Levatevi dal cazzo- dissi tagliente scacciandole, e in un secondo corsero via terrorizzate. Sbuffai alzando gli occhi al cielo per la loro stupidità.
Cosa avrei potuto fargli? Io ero una, loro erano in cinque, si aspettavano che avessi un coltellino in tasca?
Quanto erano patetiche, loro con la gonnellina ben stirata, i capelli piastrati raccolti in una treccia ordinata, pronte a tornare a casa dopo un bel gelato per mettersi a studiare o per raccontare ai genitori dei loro voti eccellenti.
Cominciai a camminare avanti e indietro, prendendomi la testa fra le mani e cercando di trattenermi dall'urlare o dal piangere.
Sobbalzai quando la porta del bagno si aprì.
Alzai lo sguardo pronta a mandare a quel paese chiunque fosse entrato, ma rimasi sorpresa di scorgere la figura di Fleur che rimase impassibile a guardarmi. Quando notò le lacrime scendere lungo il mio viso, abbandonò la sua maschera fredda e quella assurda recita per guardarmi sorpresa, un'espressione triste dipinta in volto.
Quanto odiavo essere guardata in quel modo, era la cosa che più mi dava fastidio. Non ero una disadattata sociale, non avevo bisogno dell'aiuto di nessuno, per cui poteva anche smetterla di guardarmi con pietà come se dovessi morire da un momento all'altro. Mi asciugai gli occhi pronta ad andarmene, ma mi fermò tirandomi lievemente per il braccio.
-Ehi..- fece sorridendomi timidamente.
-Come mai hai deciso di parlarmi?- le chiesi fredda, squadrandola dalla testa ai piedi.
-Bè, l'ultima volta che ho controllato sei tu che sei scappata via saltando su un autobus, non io- ribadì arrabbiata.
Non potevo ribattere, visto che aveva ragione. Mi limitai a stringere forte i pugni lungo i fianchi, mentre sostenevo il suo sguardo.
-Mi dispiace okkey?- sospirai parlando, mentre dondolavo avanti e indietro sui talloni.
Lei annuì -Almeno posso sapere dove sei andata?- domandò sorridendomi timidamente.
Mi morsi il labbro mentre cercavo una scusa plausibile, che non tardò ad arrivare.
-A casa, il 115 si ferma proprio a poco da lì- risposi facendo spallucce.
Lei mi guardò fredda, con una strana scintilla negli occhi. Prima che potessi farle alcuna domanda però, continuò a parlare.
-E perché stavi piangendo?- chiese più dolcemente, mentre io cercavo di calmarmi.
Mi stava scoppiando la testa.
Ero arrivata davvero fino a quel punto? Avevo cominciato a mentire a mio fratello, alla mia migliore amica, a tutti i miei amici. Ero stata maltrattata, quasi violentata, avevo rischiato la morte e tradito tutte le persone che mi amavano. E per cosa? Per niente, per un fottutissimo nulla.
Scossi la testa - non è importante- mentii sorridendole falsamente, mentre lei mi squadrava.
-Se piangevi deve essere importante, non credo che una come te, che in sedici anni ho visto piangere due volte al massimo, piange per nulla- mi fece notare spostando il peso sull'altra gamba.
Non avevo nessuna risposta pronta, niente che avrebbe potuto suonare come minimamente passabile, perché entrambe sapevamo che aveva ragione. Nella mia vita non avevo mai pianto, o meglio, non davanti agli altri. Le uniche volte in cui mi aveva visto piangere risalivano a quando eravamo piccole, o al massimo a qualcosa legato a un dolore fisico, come quando mi ero rotta la gamba cadendo dalle scale.
Non ero mai fortunata in quelle situazioni, ma almeno una volta mi andò bene, perché proprio nel momento in cui mi stavo preparando a inscenare la solita recita, suonò la campanella.
Fleur imprecò tra sé e sé, ma quando mi girai per guardarla aveva assunto un'espressione perfettamente normale.
-A dopo- mi salutò sorridendo dirigendosi verso l'aula di chimica.
Ricambiai il saluto sorridendo forzatamente, prima di girarmi per entrare nell'aula di storia e filosofia dove il professor Elton stava per iniziare un'altra delle sue lezioni che tanto io non seguivo mai.
Lui era forse l'unico a piacermi, almeno come persona. Non si faceva gli affari miei come la professoressa di matematica, che sembrava aver preso a cuore il mio caso. Cercava in ogni occasione di farmi partecipare alle sue lezioni, senza capire che avrei preferito morire piuttosto che prestarle attenzione.
Allo stesso tempo non mi rimproverava ogni secondo come il professore di biologia, che secondo me mi odiava in maniera particolare il che era comprensibile dato il fatto che il giorno prima delle vacanze di Natale dell'altranno gli avevo dipinto la sedia di vernice verde. Si era seduto pensando che l'avesse cambiata la bidella, ma aveva poi scoperto che era solo la vecchia sedia con una fresca vernice che aveva macchiato il suo perfetto e impeccabile smoking nero.
La sua faccia era stata epica, ma avevo dovuto subirmi la sospensione per due giorni e una intera giornata di ramanzina da parte dei miei genitori. Mio fratello si era congratulato con me.
In ogni modo, mi sedetti al mio posto pensando agli affari miei come sempre, ed Elton non disse nulla per incitarmi a seguire la lezione. Spiegava, spiegava rivolgendosi agli altri che annuivano entusiasti di ciò che stava dicendo. Ogni tanto mi lanciava uno sguardo denso di significati, come per farmi capire che lui lo sapeva, sapeva che non ero svogliata come tutti pensavano.
La verità era che ogni tanto avevo studiato qualcosa di quello che ci aveva assegnato, ma poi non mi ero mai messa alla prova per vedere se avevo davvero imparato.
Non ne avevo mai il tempo, e forse neanche la voglia.
Sospirai quando sentii la campanella suonare, alzandomi velocemente per dirigermi in cortile. Fortunatamente avevo l'ultima ora con la professoressa di educazione fisica, che quel giorno era malata, per cui potevo uscire un'ora prima.
Arrivai al parcheggio, ma prima che potessi varcare l'uscita della scuola, fui tirata contro qualcosa, o meglio qualcuno. Alzai lo sguardo rimanendo paralizzata alla vista di Justin.
Mi guardai intorno, constatando che non vi era nessuno a parte noi due.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa lo spinsi via guardandolo disgustata.
Mi voltai per andarmene via, ma mi bloccò prendendomi per il polso. Mi fece girare di scatto, rimanendo inerme quando mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso.
Solo guardarlo negli occhi mi faceva stare male, il suo tocco bruciava sulla mia pelle e, in un certo senso, avevo paura che mi facesse del male.
Lo spinsi lontano da me nuovamente, e per poco non mi misi ad urlare quando mi sentii sollevare da terra per venire letteralmente scaricata sul sedile della macchina. Prima che potessi scendere me lo ritrovai vicino al posto di guida, così premette la sicura in modo da bloccare tutte le uscite.
-Fammi scendere subito!- urlai slacciando la cintura e cominciando a prendere a pugni lo sportello.
Mi ignorò completamente, concentrava tutta la sua attenzione sulla strada, e ciò mi fece infuriare ancora di più. Improvvisamente mi era tornata la grinta, la voglia di prenderlo a pugni, farlo a pezzi, ucciderlo e farlo soffrire come mai in vita sua.
Cominciai ad urlare, fino a quando non si voltò verso di me spazientito -Stai ferma- mi ordinò con voce dura, mentre io sgranavo gli occhi incredula.
Stavo per ribattere quando si fermò davanti a un grande casolare circondato da un grande giardino incolto e qualche albero sempreverde. Rimasi a guardare affascinata fino a quando non realizzai con terrore che si trattava di casa sua.
Cercai di aprire lo sportello, ma lui mi fermò prendendo le mie mani nelle sue. Mi ritrassi immediatamente guardandolo gelida.
-Non ci sono gli altri, stai calma - si rassicurò parlandomi come si fa con una bambina di tre anni.
Mi morsi il labbro per non sputargli in faccia.
-Infatti è il pensiero di stare sola con te a farmi schifo- ribattei mentre lui sbuffava. Scese dalla macchina facendo rapidamente il giro prima di aprire il mio sportello. Scesi immediatamente, ma prima che potessi darmela a gambe mi fermò bloccandomi contro lo sportello.
Lo spinsi con tutta la forza che avevo.
-Datti una calmata!- urlò infastidito mentre tornava ad avvinarsi.
Era troppo, era davvero troppo.
Lo guardai scettica puntandogli un dito contro
-Ascoltami bene brutto coglione che non sei altro- mi fermai tanto per assicurarmi che mi stesse ascoltando.
Stava immobile, mi guardava con un'espressione indecifrabile.
La presi per buona.
-Cosa ti aspettavi? Pensavi che mi sarei fiondata allegramente nella tua macchina, e che magari adesso mi sarei gettata tra le tue braccia? Mi fai schifo Bieber, sei solo un povero stronzo. Ora fai quello che vuoi, picchiami, uccidimi, tanto solo questo sai fare. Sono io la stupida, dovevo lasciare che gli altri ti uccidessero invece di fare la compassionevole e salvarti il culo, avrei fatto un favore all'umanità. Ieri sono venuta da te, di nascosto da tutti gli altri, e ti ho detto tutto, per salvarti Justin. E cosa ho ottenuto?- le parole erano uscite una dopo l'altra, un fiume senza fine, ma adesso la mia voce si era spezzata, gli occhi mi pizzicavano per lo sforzo che stavo facendo per non piangere.
Non me ne resi neanche conto, ma quando alzai lo sguardo su di lui lo vidi rigido, i pugni stretti al fianco, gli occhi chiusi.
Non sapevo cosa pensare, conoscendolo pensavo che me l'avrebbe fatta pagare per le mie parole, invece fece un passo indietro scuotendo la testa.
-Hai ragione- disse prima di riaprire gli occhi, che pulsavano di una luce dorata, intensa, quasi accecante.
Distolsi lo sguardo, non riuscivo a pensare lucidamente.
-sono un coglione, non dovevo farti del male, non a te. Ero nervoso, ho perso il controllo.. e me la sono presa con l'unica persona a cui tengo.-
Rimasi incredula davanti alle sue parole, che ripercorsi mentalmente prima di fermarmi su l'ultima frase.
Aveva appena detto che ci teneva a me, aveva appena confessato di non aver avuto l'intenzione di farmi del male.
Però l'aveva fatto, e i lividi rimanevano visibile sulla mia pelle.
Presi la mia testa fra le mani, strizzando gli occhi.
La rabbia era svanita, mi sentivo debole, volevo solo rimanere sola a pensare, pensare a cosa fare in quella situazione.
-Ellen- mi chiamò, la sua voce più vicina di quanto avevo immaginato.
Aprii gli occhi, trovando il suo viso a poca distanza dal mio.
-Scusa- mormorò sospirando, mentre posava le mani sui miei fianchi, avvicinando il suo corpo al mio.
Lo spinsi via senza forza, giusto quel che bastava per farlo indietreggiare.
-No Justin, non puoi risolvere tutto in questo modo. Ogni volta che le cose sembrano andare bene, ti prendono i cinque minuti.. e mi fai del male. Dovrei odiarti, ma non ci riesco, e non riesco a capire perché- dissi con voce flebile. si avvicinò abbracciandomi, mentre io mi lasciavo cullare tra le sue braccia, indifesa come mai in vita mia.
-Ho sbagliato, non posso fare nulla per cancellare i miei errori, ma mi dispiace. Non riesco a ragionare, ieri mi hai colto alla sprovvista dicendomi quello che hai detto, non ho pensato e ho agito di impulso. Ti chiedo scusa per averti fatto male, ti chiedo scusa. E comunque quello che ho detto, non lo penso- disse alludendo alla frase provocatoria della sera prima.
Annuii incapace di parlare.
-Mi perdoni?- chiese guardandomi negli occhi, mentre la mia mente si svuotava.
Cosa avrei dovuto dirgli? Forse avrei dovuto spingerlo, dargli un calcio e scappare via. Oppure avrei dovuto strozzarlo, tirargli un pugno, un mattone in testa.
Invece mi ritrovai a sorridere come una cretina -Si, ti perdono- dissi.
Avvicinò il suo viso al mio, stampandomi un rapido bacio sulle labbra.
Da lì si spostò lungo la mia mandibola, per poi indugiare sul mio collo.
Spostò delicatamente la mia testa di lato, lasciando una scia di piccoli baci. Ripetè quel passaggio un paio di volte, prima di iniziare a mordicchiare e succhiare la mia pelle, facendomi gemere.
Posai le mie mani sulle sue spalle, spingendo il suo corpo verso il mio.
Continuò il suo lavoro, mentre io facevo scorrere le mie mani tra i suoi capelli, per poi continuare giù per le spalle, il petto, gli addominali. Mi fermò una volta arrivata all'elastico dei pantaloni.
Si staccò da me ridacchiando, mentre io arrossivo abbassando lo sguardo.
-Cavolo- commentò senza smettere di ridere.
Scossi la testa ridendo -Che c'è? Sei tu che hai iniziato- scherzai facendo finta di essermi offesa.
Mi riprese per i fianchi prima che potessi allontanarmi.
Poggiò la sua fronte sulla mia, lasciandomi un bacio sulla punta del naso.
-Ehi- disse sorridendomi.
Ricambiai il sorrise -Si?- chiesi ridendo.
-Ci credi se ti dico che non ti farò più del male?- domandò tornando serio.
Ci pensai per un po', prima di rispondere -Dovrei?- chiesi inclinando la testa di lato.
-Si, dovresti.- rispose baciandomi il collo.
Aspettai che tornasse a guardarmi negli occhi prima di ribattere -E per quale motivo?-lo provocai, curiosa di sentire la sua risposta.
Lo vidi indugiare per un po', in cerca delle parole giuste.
Poco dopo tornò a guardarmi, gli occhi ardenti, un misto di oro, caramello e miele.
Rimasi disarmata a guardarlo in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.
-Oggi ho avuto paura di perderti, ed è una sensazione che non voglio riprovare mai più. Per quanto tu sia fastidiosa e rompipalle.. bè mi piaci Ellen- ammise come se fosse la cosa più naturale al mondo, inchiodandomi con lo sguardo.
Ero indecisa se arrabbiarmi per il suo commento sul mio carattere o essere felice per ciò che aveva appena ammesso, ma alla fine optai per la seconda.
Gli sorrisi -Bene, perché anche tu mi piaci- dissi facendolo ridere.
Si avvicinò a me per baciarmi, mentre io mi sollevavo sulle punte per porre fine alla distanza tra noi.
-Oggi sei stranamente gentile- disse ridacchiando.
Gli lanciai un'occhiataccia - non abituartici- scherzai.
Mi abbracciò stringendomi al suo corpo, mentre posavo la mia testa sul suo petto, lasciandomi cullare come una bambina.
-vuoi entrare in casa?- chiese maliziosamente al mio orecchio, lasciando un piccolo bacio sulla pelle dietro esso. Rabbrividii impegnando quel briciolo di razionalità che mi era rimasto per scuotere la testa -non penso sia una buona idea- risposi mordendomi il labbro.
Aggrottò la fronte guardandomi impassibile -perché?- domandò.
Sospirai prima di rispondere -Per prima cosa non penso che riuscirei ad uscire una volta entrata- dissi arrossendo e ridacchiando, mentre lui faceva lo stesso.
-e secondo, penso che se non vado subito dalla mia migliore amica mobiliterà le forze armate di tutto il paese per sapere dove mi sono cacciata questa volta- continuai tornando seria.
Fece una smorfia -La nanerottola bionda..- commentò digrignando i denti. Gli diedi un piccolo schiaffo sulla spalla -Justin!- mi trattenni dall'urlare, mentre lui faceva spallucce.
-E' vero- si difese sorridendomi, mentre io scuotevo la testa trattenendomi dal ridere.
Feci per voltarmi dirigendomi verso la sua macchina, ma mi fermò abbracciandomi da dietro.
-Insisto, piccola- sussurrò al mio orecchio mordendolo.
Stavo per svenire, mi serviva seriamente una bomboletta di ossigeno.
Trattenni il respiro chiudendo gli occhi.
-E io continuo a rifiutare- risposi senza guardarlo, cercando di liberarmi dalla sua presa.
-Sei sicura?- mormorò scoprendo leggermente la pelle della mia spalla, spostando il tessuto che la copriva. Lasciò alcuni baci su quell'area, facendomi gemere.
Mi morsi il labbro all'istante maledicendomi. Non credevo possibile che una persona avesse una tale influenza su di me.
Mi girai verso di lui cercando in tutti modi di non cadere nella trappola dei suoi occhi, soffermandomi su un albero alle sue spalle che improvvisamente era diventato molto interessante.
-Sul serio Justin, la devi smettere di usare le tue doti carismatiche per convincere la gente. E' un colpo basso- lo rimproverai scuotendo la testa.
Ridacchiò, ricevendo come ricompensa un'occhiataccia.
-Ti sbagli, bellissima.- ammiccò preparandosi a continuare, mentre io alzavo gli occhi al cielo.
-Innanzitutto queste doti le riservo solo per te, e non penso che ti dispiaccia poi così tanto- disse mentre io abbassavo lo sguardo in completo imbarazzo.
Accidenti.
Cercai di fingere non curanza, ma ormai il danno era fatto.
Rise annuendo come per confermare ciò che aveva appena detto.
-E poi, non ho mai detto che avrei giocato in modo leale- sussurrò tirandomi verso di lui prima di posare le sue labbra sulle mie.
Cominciò a sfiorarle con le sue guardandomi negli occhi, mentre sentivo il mondo intorno a noi scomparire come sempre. Dopo aver ripetuto quel passaggio per qualche volta, le premette delicatamente sulle mie, mentre mi arrendevo a lui schiudendo le labbra.
Sentii subito il suo respiro caldo invadermi, mentre le nostre lingue si intrecciavano.
Avvicinò il mio corpo al suo stringendo la presa sui miei fianchi, mentre io infilavo le mie mani tra i suoi capelli. Ne approfittai bene per studiare quell'aroma intenso, un misto di menta e tabacco che pur essendo una combinazione insolita rappresentava un sapore perfetto.
Poi, troppo presto per quanto mi riguarda, si staccò guardandomi trionfante.
-Hai ancora voglia di andartene via?- domandò inarcando un sopracciglio.
-Non ho mai detto di averne voglia- lo corressi prendendolo per mano, mentre lui si dirigeva verso la casa trascinandomi dietro a lui.
Quando entrammo dentro rimasi per un po' immobile, girando silenziosa per l'enorme salone.
L'interno della casa era molto moderno, le pareti bianche con un grande divano in pelle nera al centro della stanza. Un tappeto enorme scuro ricopriva il parquet color noce. Un grande mobile di vetro era poggiato alla parete di fronte, dove al centro spiccava un grande televisore al plasma. Mi girai per vedere un grande arco con una porta scorrevole aperta, dalla quale vidi la cucina, anche essa delle stesse tonalità.
Mi guardai intorno un po' a disagio, realizzando di trovarmi all'interno della casa degli skulls, all'interno della casa di Justin.
-Ti aspettavi una sala delle torture?- mi prese in giro vedendo la mia faccia sorpresa.
Non riuscivo a rispondere, ed effettivamente non sapevo cosa dire. Forse un complimento sarebbe stato fuori luogo.
-Io.. in realtà no. Però non mi aspettavo che mi sarebbe, come dire, piaciuta.- dissi trovando finalmente le parole giuste.
Mi voltai per guardarlo mentre sorrideva soddisfatto -Ryan ha fatto un buon lavoro- disse più a sé stesso che a me, ridendo.
Mi girai guardandolo confusa.
-Ha scelto lui l'arredamento- disse dirigendosi verso il divano per poi sedersi senza tante cerimonie.
-Allora, cosa vuoi fare?- chiese guardandosi intorno.
Feci spallucce -scegli tu- risposi andandomi a sedere vicino a lui.
-fidati piccola, non ti conviene far scegliere a me.- disse sorridendomi maliziosamente.
Alzai gli occhi al cielo, per l'ennesima volta in quel giorno, quando realizzai il doppio senso della sua affermazione.
Prima che potessi rispondergli a tono mi interruppe -Ho capito, che ne dici di parlarmi un po' di te?- domandò trattenendosi dallo scoppiare a ridere.
Lo guardai leggermente a disagio -Del tipo?- chiesi non sapendo da dove cominciare.
Ci riflesse per un po' prima di rispondere -Qual è il tuo colore preferito?-
Rimasi incredula, non mi aspettavo una domanda così.. "banale". Non che non mi facesse piacere, ma non mi aspettavo una simile curiosità da parte sua.
Risposi ridendo -il rosso. E il tuo?-
-Qui sono io a fare le domande. Comunque il viola e il blu- mi rimproverò.
Sospirai trattenendomi dallo sbuffare.
-Okkey, cos'altro vuoi sapere?- domandai guardandolo di sottecchi.
-I nomi e le descrizioni di tutti i ragazzi che hai avuto finora. E poi devi dirmi chi di loro era il più bravo al letto- disse senza alcun imbarazzo, mentre io lo guardavo sgranando gli occhi e arrossendo violentemente.
Come diavolo aveva fatto a cambiare in quel modo la direzione del discorso? Avrei dovuto immaginare che la domanda di prima fosse solo un tranello.
Mi morsi il labbro prima di mettere il broncio -Che cazzo di domanda è?- esclamai aggrottando la fronte.
-una domanda alla quale pretendo una risposta- rispose serio.
Abbassai lo sguardo.
-non ho mai avuto un ragazzo- ammisi a bassa voce.
Lo sentii irrigidirsi prima di cambiare posizione.
Alzai lo sguardo per trovarlo fermo a guardarmi incredulo -Come scusa?- domandò perplesso.
Sbuffai -Hai capito justin.- tagliai corto sperando che cambiasse discorso ma, ovviamente, non lo fece.
-Cavolo, quindi sono il primo- commentò sorridendomi.
Lo guardai con aria di sfida - non sapevo fossi il mio ragazzo- lo presi in giro.
Stette al gioco -hai ragione, allora te lo chiedo ora: vuoi essere la mia ragazza?-
Cazzo.
Maledetta me e la mia lingua troppo lunga. Possibile che riuscisse sempre a ritorcere le mie parole contro di me? No, non era umanamente possibile.
Prima che potessi rispondere, il mio cellulare squillò come un'ancora di salvezza.
Ma dovetti correggermi quando scoprii che era Fleur a chiamarmi.
Risposi titubante
-Si?-
-Si un cazzo! Mi devi spiegare qual è il tuo problema- urlò arrabbiata.
Mi morsi il labbro in preda al panico -Ehm.. nessun problema- farfugliai grattandomi la testa a disagio.
-Bene. Ti sto venendo a prendere. Io e te dobbiamo parlare- disse tagliente.
Rimasi per un po' incredula mentre digerivo le sue parole.
-Fleur, ti devo ricordare che non hai la patente?- domandai sperando che la prendesse sul ridere.
-Ellen, ti devo ricordare che so' come guidare e come rubare una macchina?- rispose imitando il mio tono di voce.
Mi irrigidii -Non avrai...- iniziai, ma mi fermai di colpo.
-Oh si, l'ho fatto- disse senza alcuna vergogna, facendomi rischiare un' aneurisma.
-Non sai dove sono- tentai, sorridendo soddisfatta.
-a dire la verità si, lo so. A proposito, salutami il coglione lì vicino a te. -
Non poteva essere.
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"-Allora, cosa vuoi fare?- chiese guardandosi intorno.
Feci spallucce -scegli tu- risposi andandomi a sedere vicino a lui.
-fidati piccola, non ti conviene far scegliere a me.- disse sorridendomi maliziosamente.
Alzai gli occhi al cielo, per l'ennesima volta in quel giorno, quando realizzai il doppio senso della sua affermazione."
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