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Cinquantaquattro

54.


Justin

Una settima.

Una settimana senza di lei, una settimana senza sentire la sua voce, una settimana senza il suo sorriso, senza la sua risata, senza la piacevole sensazione delle sue mani lisce e morbide tra le mie.
Era passata una fottutissima settimana in quell' Inferno che un tempo era una vita, e ogni giorno era la stessa storia. La mattina dovevo andare a scuola per colpa di Derek che ormai sembrava deciso a farmi da padre. Avevo diciotto anni e avevo spesso pensato di lasciare la scuola per dedicarmi completamente a quello che potevo chiamare lavoro, ma lui era deciso a farmi prendere il diploma e quindi ogni mattina ero costretto a stare in quella merda piena di sfigati figli di papà. Ogni volta che arrivvavamo e Ellen mancava tutti iniziavano a parlottare animatamente, ed erano ormai tante le supposizioni sulla sua assenza. la notizia che si trovasse in ospedale era già girata da tempo, il che era inevitabile data la fama del nostro nome, anche se in senso negativo. Alcuni supponevano che fosse rimasta ferita durante una sparatoria, altri pensavano che c'entrasse la mafia, altri ancori sostenevano che io le avessi sparato in un impeto di rabbia.

Per quanto mi riguardava, ogni giorno dovevo trattenermi dal tirare fuori la mia pistola e sparare a tutti quei coglioni. I professori come al solito mi stavano addosso come se cercassero di aiutarmi, gli studenti mi guardavano con terrore e sobbalzavano anche solo se aprivo l'armadietto.

Più stupidi di così non sarebbero potuti essere, e se non fosse stato per gli altri che mi trattenevano dal prendere a pugni quei deficienti sarei già finito in carcere.

Al termine dell'ultima ora mi fiondai nel parcheggio, aspettando davanti alla mia macchina gli altri per andare come ogni giorno al magazzino che un tempo era la sede dei The Cross, per allenarci preparandoci all'attacco ormai sempre più vicino. Era il diciotto Dicembre e ormai il tempo era contato, per cui Dan e io avevamo deciso di iniziare gli allenamenti, e in quelle ore dovevamo fare di tutto per isolare i nostri pensieri dalle azioni, visto che non stavamo scherzando e con il fuoco non si gioca.

Mentre aspettavo notai la volante della polizia parcheggiata non molto lontana dalla mia auto, e subito mi irrigidii portando la mia mano nella tasca posteriore dei pantaloni, posandola sulla pistola in caso di pericolo. Sospirai rilassandomi quando da essa scese solo l'ispettore Overville che si diresse verso la figlia Hannah, per abbracciarla e farle cenno di seguirlo verso la vettura.

Era patetica quella ragazza, a sedici anni si faceva scorrazzare dal paparino, non usciva mai di casa, si vestiva come se nella scuola ci fossero dei maniaci con l'intenzione di stuprarla e la sua vita sembrava dipendere da uno stupido voto su una stupidissima pagella.

Era così diversa da Ellen, lei era l'esatto opposto. Non chiedeva mai l'aiuto di nessuno, era indipendente in tutto e se faceva qualcosa era perché voleva farlo, non perché doveva. Non si era mai sottomessa a nessuno, tantomeno ai professori che avevano da tempo abbandonato l'idea di trasformarla in una studentessa modello, così come con me e con tutti gli altri
.
Ignorai del tutto le chiacchiere del capo sbirro e di sua figlia, visto che non me ne poteva fregare di meno della giornata scolastica di Hannah o dei turni lavorativi nella stazione di polizia, ma quando il loro discorso prese una piega diversa le mie orecchie si tesero insieme ai miei muscoli.

-Allora Hannah, Ellen Jenksey è tornata già a scuola?- domandò alla figlia, che scosse la testa velocemente prima di sorridere. Sembrava quasi sollevata da ciò, e dovetti impiegare tutto il mio autocontrollo per trattenermi dal prenderla a calci.
Il padre annuì soddisfatto -Sai piccola mia, io non auguro mai la morte a nessuna, ci mancherebbe, ma questa è la fine che fanno i criminali. Per quanto mi riguarda non mi dispiacerebbe sapere che in questa scuola ci sarà una minaccia in meno, quella ragazza si meritava tutto questo e non mi sorprenderei se scoprissi che la causa di tutto ciò sia la droga- disse alla figlia che ridacchiò annuendo felice.

Senza pensarci due volte buttai il mio zaino a terra, avvicinandomi all'uomo e sua figlia che alzarono immediatamente lo sguardo su me. Lei divenne di un rosso acceso, e fece automaticamente un passo indietro sbattendo allo sportello aperto della macchina, mentre il padre sbiancò completamente rimanendo immobile.

Appena arrivai di fronte a quest'ultimo sbattei lo sportello che si chiuse con un tonfo -Ripetilo se ne hai il coraggio, brutto stronzo- sbottai senza vederci più dalla rabbia. L'ispettore sobbalzò -Si allontani immediatamente dalla volante e da mia figlia, altrimenti sarò costretto a portarla in centrale- rispose sulle sue, sempre con quell'aria fiera e pompata.

Risi di gusto prima di avvicinarmi all'uomo -Pensi forse di farmi paura? Se lo pensi ti sbagli. Non vali un cazzo, un fottutissimo niente e sarebbe meglio chiudere quella fogna che ti ritrovi al posto della bocca. Non sai nulla di Ellen né tantomeno di me e di tutti gli altri, pensa a quella suora rompicoglioni di tua figlia e scopa di più, magari la vita ti andrà meglio- ribattei mentre tutti gli studenti che si erano fermati a guardare la scena ridacchiavano, altri invece si portavano una mano davanti alla bocca, scioccati.

Hannah Overville aveva gli occhi lucidi ed era in procinto di scoppiare a piangere, mentre il padre era passato dal bianco al rosso fuoco. -Non mettere in mezzo mia figlia, delinquentello che non sei altro! Se avessi le prove di quello che tu e i tuoi amici disagiati fate vi sbatterei tutti in galera, uno per uno. E quella ragazza meritava anche di peggio, è una criminale proprio come te- disse alzando il tono della voce.

Senza esitare gli tirai un pugno sullo zigomo destro, facendolo piegare in due dal dolore mentre la figlia correva per soccorrerlo. Prima che potessi continuare a prenderlo a calci sentii qualcuno afferrarmi le braccia e fermarle dietro la mia schiena. Mi girai scorgendo Ryan e Chris che mi tirarono indietro, mentre le ragazze erano già in macchina con Mike che mise subito in moto.

-Justin cazzo, dobbiamo andare- mormorò Ryan guardando innervosito tutti gli studenti rimasti a guardarmi a bocca aperta.
Mentre l'ispettore si rialzava decisi che forse quella volta i ragazzi avevano ragione, così corsi verso la mia macchina salendo insieme agli altri e poi partii sfrecciando via più velocemente possibile.
Strinsi forte il volante cercando di non pensare alle parole di quel grandissimo figlio di puttana, altrimenti non mi sarei trattenuto dal tornare indietro e finire ciò che avevo iniziato.

-Si può sapere cosa diamine ti prende?- urlò Stive dai sedili posteriori.
Sbuffai -Ha messo in mezzo Ellen, non mi sono riuscito a trattenere- risposi facendo spallucce, mentre sentivo la rabbia aumentare.

Dopo la mia risposta i ragazzi decisero che era meglio non controbattere. Ryan sospirò dandomi una pacca sulla spalla -Mi dispiace, questa situazione è assurda e tutti noi stiamo malissimo, quindi non oso immaginare come stai tu. Sappi solo che siamo tutti con te, quella ragazza è tosta- disse per poi ridacchiare forzatamente. Annuii sforzando un sorriso che però non uscì molto bene, così rinunciai al sembrare convinto delle sue parole mentre svoltavo a destra per prendere la strada che portava al magazzino, dove trovammo Dan, Derek, Alan e Chaz ad aspettarci. Scendemmo dalla macchina avvicinandoci a loro -Ellen?- chiesi subito senza nemmeno salutare.
Dan assunse la solita espressione triste, distrutta -E' rimasta Fleur con lei, ha detto che se dovesse succedere qualcosa ci chiamerà- rispose sbrigativo distogliendo lo sguardo.

Annuii cercando di scacciare rapidamente i miei pensieri, per concentrarmi totalmente sull'allenamento e sul piano di attacco, anche se tutto ciò che volevo era salire in macchina e correre in ospedale per stare vicino ad Ellen, visto che ormai sentivo di poterla perdere definitivamente da un momento all'altro.



Fleur

Tutti gli altri erano andati via per il solito allenamento, e quel pomeriggio toccava a me rimanere in ospedale al fianco di Ellen. non potevo essere più contenta di saltarli, visto che ogni volta finivo con lo scoppiare a piangere davanti a tutti. Io non ero come Dan, né tantomeno come Justin, che anche se dentro stavano morendo riuscivano a sembrare non dico felici, ma almeno non distrutti totalmente da tutto quello. io non ci riuscivo a scacciare il continuo pensiero di poter perdere la mia migliore amica, dovunque andassi, qualunque cosa facessi, non riuscivo a distrarmi.

Avvicinai la mia sedia al bordo del letto, esaminando il volto di Ellen che sembrava così sereno e in pace. Osservai il suo braccio dove prima vi erano quei tagli profondi, adesso quasi completamente guarito così come i lividi di cui erano rimaste solo alcune lievi macchie violacee. Era più pallida del solito e la sua carnagione così chiara spiccava ancora di più a causa dei capelli scuri, non vederla ridere o parlare per me era una specie di pugnalata. Lei era sempre così vivace, allegra e contenta anche se tutto il mondo decideva di girare nel verso opposto. In ogni situazione tragica lei era sempre quella che consolava chi stava male, e nessuno meglio di lei sapeva come far tornare il sorriso ad una persona. E io lo sapevo benissimo, visto che ci conoscevamo da sedici anni. Non riuscivo ad immaginare un futuro senza di lei vicino a me, senza le sue battute o commenti acidi, senza le nostre litigate e le nostre risate, senza Ellen.

Presi una sua mano tra le mie, attenta ai molteplici tubicini attaccati alla sua pelle, per poi prendere un profondo respiro.
-Ehi El- mormorai sorridendo timidamente, sentendomi stupida nel parlare da sola. Molti sostenevano che durante il coma si potesse sentire ciò che le altre persone dicono, anche se non possono rispondere, per cui ero decisa almeno a provarci.

-Lo sai che siamo tutti distrutti? Tutti quanti. Io non riesco a stare senza di te, mi manchi troppo e penso sia ovvio visto che sei la mia migliore amica. Mi manca il tuo sorriso, ma semplicemente mi manchi tu. Senza di te non è lo stesso, se prima tutto era colorato ora è solo di un triste grigio. Da quando tu stai.. dormendo.. tutto è cambiato. Pensa, neanche Mike sorride più, e lui era un po' come il nostro sole personale, che tutto di un tratto si è spento. Siamo tutti distrutti, noi ragazze passiamo tutte le notti qui in ospedale insieme a te, ma forse tu stai dormendo troppo profondamente per accorgertene. Per non parlare di tuo fratello, sembra morto. Non importa quanto io provi a farlo sentire meglio, non riesco neanche a farlo sorridere. Fa tutto meccanicamente, e vederlo così è un colpo al cuore.

E poi Justin. Non l'ho mai sopportato e tu lo sai, ho sempre pensato fosse un coglione e all'inizio tu eri d'accordo con me, ma adesso devo ricredermi. Non parla mai, rimane sempre in silenzio a fissare il vuoto, ma io so che pensa a te. Risponde solo se gli si fa una domanda, per poi tornare a ignorare tutti e tutto. Adesso si arrabbia molto più facilmente, dobbiamo stare attenti ad ogni singola parola perché rischia di scattare, e solo tu sei in grado di farlo calmare, noi no. sai El, tu sei la persona più coraggiosa e forte che abbia mai conosciuto, per cui devi farcela- mi fermai stringendo più forte la sua mano, sentendo le lacrime rigarmi il viso

-Devi combattere, perché tutti noi abbiamo bisogno di te, io per prima. Tu ne hai superate tante, per cui ti prego El, continua a lottare, noi siamo qui ad aspettarti e rimarremmo qui anche per anni se servirà, ma tu non mollare, perché se molli tu allora dovremmo arrenderci anche noi- conclusi con un singhiozzo, sperando in qualche miracolo.

Rimasi qualche minuto a fissarla, sperando che aprisse gli occhi come nelle scene dei film, ma invece rimase perfettamente immobile, in silenzio, ad occhi chiusi.


Justin


Erano passate due ore e per quanto mi riguardava era anche troppo tempo. se gli altri volevano rimanere ad allenarsi che lo facessero, io volevo andare da Ellen. mi rialzai da terra, guardando Dan che si preparava al mio colpo che però non arrivò -Io vado- dissi per poi girarmi e camminare verso la macchina.

Mi aspettavo che avrebbe tentato di fermarmi, invece non lo fece. Arrivato davanti alla mia macchina mi girai verso di lui, che annuì come per dirmi che era d'accordo. Salii al posto di guida e partii diretto verso l'ospedale, tirando fuori una sigaretta. Dal giorno dell'incidente fumavo tanto e forse troppo, circa un pacchetto al giorno, ma era l'unica cosa che riusciva a calmarmi e preferivo il fumo alla droga, sapevo che Ellen non me l'avrebbe perdonato se fosse stata lì con me. Solo la prima sera dopo l'incidente avevo ceduto alla tentazione, e per poche ore ero riuscito a rilassarmi, tuttavia dovevo cercare di smetterla.

Continuai a guidare aprendo il finestrino per fare uscire il fumo, fino a quando non sentii uno sparo. Frenai di colpo abbassandomi e tirando fuori la mia pistola, prima di alzare la testa per guardarmi intorno. Chiusi velocemente il finestrino, quando vidi uno degli uomini di Andson uscire allo scoperto correndo verso l'altro lato della strada, sparando un altro colpo. Scesi dalla macchina inseguendolo, mentre quest'ultimo sparava tentando di colpirmi.

Mi nascosi dietro un albero, sporgendo lievemente il mio corpo per sparare un colpo che però schivò. Asciugai il sudore sulla mia fronte con la manica della giacca, per poi guardarmi intorno dove regnava il silenzio. Tesi le orecchie, concentrandomi sullo scricchiolare delle foglie secche alla mia destra, per poi girarmi di scatto e dare una gomitata in pancia al ragazzo che crollò a terra. Ne approfittai per prendere la sua pistola e lanciarla il più lontano possibile. Lo esaminai prima di puntargli la mia al cuore.

-Dimmi il tuo nome- gli ordinai mentre lui mi guardava terrorizzato.
-Samuel Posner- rispose balbettando, mentre indietreggiava strisciando.

Lo seguii a passi lenti, senza spostare la mia pistola -Sei solo?- chiesi guardandomi velocemente intorno.
Lui sembrò pensarci prima di annuire -Si- mormorò tastando il terreno con una mano, come in cerca di un'arma.

-Ti manda Andson, vero?- domandai fermandomi quando andò a sbattere contro il tronco di un albero.
Lui sembrò indugiare, ma quando caricai la pistola si affrettò a rispondere -Si mi manda lui- disse velocemente sgranando gli occhi, sempre più terrorizzato.
Annuii -Grazie per le informazioni- dissi freddamente prima di premere il grilletto della pistola e colpirlo al petto. Il ragazzo smise subito di respirare, chiudendo gli occhi di scatto.

Rimasi per qualche minuto in silenzio cercando di sentire altri eventuali rumori, ma quando tutto risultò tranquillo caricai il corpo del ragazzo sulla mia spalla prima di camminare verso il piccolo ruscello lì vicino. Lo spogliai buttando i vestiti sul prato, visto che poteva esserci la mia impronta. Una volta lasciato il corpo nudo del ragazzo sulla riva presi un ramo e lo spinsi nell'acqua. Osservai il corpo sparire dalla mia visuale, per poi girarmi verso il cumulo di vestiti. Tirai fuori l'accendino dandogli fuoco, aspettai che rimanesse solo un cumulo di cenere per poi disperderla con lo stesso ramo che gettai nel fiume. Tornai alla macchina guardandomi bene intorno prima di ripartire e arrivare all' ospedale senza altre interruzioni.

Quando entrai vidi sempre la solita scena. Medici che camminavano avanti e indietro insieme alle infermiere, gente seduta sulle sedie in attesa dei propri amici o parenti, bambini con il braccio rotto che piangevano mentre i genitori li rassicuravano. Arrivai davanti alla camera duecentotre, prima di bussare. Poco dopo mi aprì Fleur che mi rivolse un rapido sorriso. Aveva delle occhiaie profonde, si vedeva che era stanca e gli occhi erano gonfi e rossi. Distolsi lo sguardo entrando nella stanza senza proferir parola, mentre lei usciva richiudendo la porta.
Mi avvicinai al letto per sedermi sulla sedia al suo fianco, per poi osservare il volto di Ellen.

Il solito rossore sulle sue guance era svanito, così come il colore acceso delle sue labbra che erano pallide come il resto del corpo.

Presi la sua mano tra le mie, sentendola fredda e fragile. Chiusi gli occhi cercando di non far uscire le lacrime, per poi fallire quando sentii il sapore salato sulle labbra.

-Ti prego apri gli occhi- la supplicai avvicinandomi ulteriormente al suo corpo, stringendo la sua mano tra le mie prima di parlare -Non puoi capire come mi sento in questo momento. E' come se non avessi più alcun controllo sulla mia vita. oggi sono qui, con una ragione per non porre fine a tutto, cioè tu, e magari domani non avrò più nessun motivo per continuare. Non voglio nemmeno pensare alla possibilità di non averti più, di perderti, perché solo il pensiero mi uccide. Tu sei tutto quello che ho e di cui ho bisogno, perché ti amo e mi basterebbe sapere che sei felice, non ti chiederei nient'altro se tu ti svegliassi. Ti giuro che non ti costringerò a stare al mio fianco, però non posso sopportare tutto questo- mi fermai asciugando le lacrime e rimanendo ad osservare il suo volto che sembrava scolpito per quanto era perfetto, così delicato.

-Pensare che è tutta colpa mia se tu sei in questo stato è una sensazione orribile, anche se dovrei esserci abituato visto che è colpa mia se tutte le persone che ho amato sono poi morte. Avrei dovuto insistere di più per parlarti, forse mi avresti creduto, e se così non fosse stato avrei potuto farti leggere i messaggi tra Andson e Celine. Perché è stato tutto programmato, e tu dovevi credermi. Quel giorno non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi o a ricordare il mio nome, perché lei aveva messo della droga nel mio caffè, e aveva persino finto facendomi trovare un tuo biglietto. Pensavo che la colazione l'avessi portata tu, e dopo aver bevuto tutto è diventato sfocato. Mi girava la testa e non rispondevo più delle mie azioni. E' successo tutto così velocemente, e quando sono tornato consapevole di ciò che dicevo e facevo era troppo tardi, tu eri scappata via da me. Non riuscivo a capire per quale motivo fosse successo tutto quello, fino a quando non ho trovato il telefono di Celine e ho aperto i messaggi, scoprendo che era stato tutto organizzato da Andson. Per questo tuo fratello mi ha creduto, io non ti avrei mai tradito perché lo sai che l'unica che voglio e che amo sei tu- mi fermai qualche minuto cercando di calmarmi.

Sospirai - Non avrebbe più senso vivere senza la tua risata, senza vedere le tue guance arrossire quando ti metto in imbarazzo, senza osservare i tuoi bellissimi occhi pieni di calore e amore nei miei confronti, qualcosa che non pensavo potesse essere possibile. Non avevo mai pensato che una ragazza potesse innamorarsi di me, ancora di meno credevo che io avrei potuto innamorarmi di lei, per me c'era solo il sesso e basta, e invece tu hai cambiato tutto. Mi hai insegnato che anche quando tutto va storto c'è sempre un motivo per non mollare, sei riuscita a farmi mettere da parte il passato e concentrarmi di più sul presente, ma ora non posso fare a meno di guardare il futuro e chiedermi se tu sarai al mio fianco. Io ti amo Ellen e se tu non dovessi farcela io non andrò avanti, sappilo perché tutto il mio mondo ormai gira solo intorno a te. - continuai per poi alzarmi e avvicinare il mio volto al suo. Premetti leggermente le mie labbra sulle sue, sentendo la macchina che contava i battiti del suo cuore accelerare.

Mi staccai di colpo osservando come il suono tornasse regolare, per poi aggrottare la fronte.

Premetti nuovamente le mie labbra sulle sue, e successe la stessa identica cosa. Guardai perplesso la macchina, sentendo nuovamente i battiti del suo cuore tornare regolari.

Sobbalzai quando sentii qualcuno stringere la mia mano, e feci automaticamente un passo indietro andando a sbattere contro il piccolo mobile nella stanza, dal quale cadde una rivista che mi cadde in testa.

Poi sentii una risata, il suono della sua risata.
Sgranai gli occhi osservando il viso di Ellen, che aveva aperto gli occhi tirando leggermente su il busto, e improvvisamente sentii tutto riprendere forma e colore.

Era come se il mondo avesse ripreso a girare, gli uccelli a cantare. Il suo sorriso era la cosa più bella che avessi mai potuto desiderare di vedere, il suono della sua risata bastò a riempire il mio cuore di gioia, qualcosa che mancava in me da troppo tempo. i suoi occhi non erano freddi o inespressivi come avevo temuto, emanavano calore e lei mi guardava radiosa. Sentii le lacrime bagnarmi gli occhi e lei automaticamente cercò di scendere dal letto ed abbracciarmi, ma i tubicini glielo impedirono.

-Porca troia ma cosa cazzo sono tutti questi cosi- borbottò facendomi ridere. Mi avvicinai piano al letto prendendo il suo volto tra le mie mani.

Risi senza riuscire a trattenermi, troppo felice per parlare. Lei sorrise prima di arrossire, facendo battere il mio cuore ancora più forte -Justin- mormorò poi mentre iniziava a piangere anche lei, per poi avvicinare il suo viso al mio e baciarmi.
Quando mi staccai strinsi la sua mano tra le mie -Non posso crederci, tu sei viva. Non puoi capire come mi sia sentito fino a cinque minuti fa, io..- iniziai, ma venni bloccata da lei.
-Invece ho sentito, tutto. Mi dispiace di non averti creduto, di non averti fatto spiegare, lo sai quanto sono testarda ed ero talmente arrabbiata e ferita da non voler nemmeno ascoltare le tue parole. Tutti questi giorni in cui sentivo le tue parole e capivo quanto eri triste e stavi male mi hanno ucciso, avrei voluto risponderti, abbracciarti e farti capire che non ce l'avevo con te, ma era come se la mia mente non riuscisse a comandare il mio corpo- disse stringendomi a sé.

-L'importante è che ora stai bene, adesso devo andare a chiamare tutti gli altri,e subito- dissi ridendo mentre mi avviavo quasi correndo verso l'uscita, ma lei mi richiamò.

-Justin?- sussurrò aspettando che mi girassi.
-Si?- risposi guardandola mentre si illuminava di un sorriso enorme.

-Ti amo- disse, e quelle due parole bastarono per rimettere tutto al proprio posto.




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