5. Il bacio della tregua
Donovan
Il ragazzo controllò l'orologio: segnava le 02:13.
Sbuffò nuovamente.
Cavolo, perché non riusciva a prendere sonno?
Tirò le coperte e cambiò posizione.
Dannato, Luke.
Sprofondò la faccia nel cuscino e grugnì. Aveva voglia di prendere a pugni qualcosa e di urlare.
Era scappato in quel modo come una femminuccia e aveva pure pianto per strada come un fottuto idiota!
Si mosse nuovamente e rimase impigliato con un piede tra le coperte; provò ad alzarsi ma mancò con la mano il letto e si ritrovò con la faccia sul pavimento.
«Ahi, cazzo» grugnì cercando di tirarsi su.
Andiamo, perché non poteva semplicemente chiudere gli occhi e dimenticarsi di quella giornata di merda?
Perché si trovava sul pavimento della sua stanza alle 02:15 della notte, con una mascella dolorante e una caviglia avvolta tra le lenzuola?
E perché si sentiva in colpa per qualcosa che non aveva fatto? Luke era il colpevole, non lui. E non aveva neanche studiato per Brown...
Qualcuno bussò alla sua porta.
«Denny, stai bene? Ho sentito un rumore.»
Sua mamma aveva la voce preoccupata. Era stata l'unica a notare la sua faccia sconvolta quando era rientrato in casa, ma non aveva chiesto niente quando lui le aveva lanciato un'occhiata eloquente.
Grazie a dio aveva avuto abbastanza tatto da non fare domande.
«Si, sto bene, sono solo caduto dal letto, non preoccuparti» rispose sciogliendo la matassa intorno alla sua caviglia.
Sentì la presenza di sua madre ancora dietro la porta per qualche secondo, poi se ne andò con passo stanco.
Donovan sospirò e si rialzò da terra. Stava per rimettersi a letto quando qualcosa colpì il vetro della sua finestra.
«Ma che cazz...»
Si avvicinò alla parete e scostò la tenda proprio mentre una pietra colpiva nuovamente il vetro.
Ma cosa stava succedendo? Che qualcuno stesse prendendo di mira casa sua? A pietrate?
Aprì le ante e si affacciò per controllare chi fosse il vandalo di turno, sarebbe stato disposto ad urlargli dietro se necessario: aveva così tanta rabbia repressa che anche l'idea di prenderlo a pugni non sarebbe stata male per sfogarsi.
«Oh, Den, sei sveglio?»
Luke lo stava guardando da sotto casa sua, un mazzo di fiori in mano e un sorriso un po' impacciato.
«Tu non ti sveglieresti se qualcuno lanciasse pietre verso la tua finestra? Tornatene a casa!»
Prima che potesse chiudere le ante Luke lanciò un'altra pietra che lo sfiorò per miracolo e cadde sul pavimento della sua stanza facendo rumore. La raccolse di corsa e si sporse per lanciarla verso Luke, mancandolo.
«Che diavolo fai, coglione! Va' via, non voglio vederti più. Con me hai chiuso questa volta. Sul serio, Luke!»
Il ragazzo nel giardino di casa sua si spostò leggermente e tese i fiori verso di lui.
«Den, ti prego, possiamo parlarne?» Donovan allargò le braccia e aggrottò le sopracciglia.
«Di cosa dovremmo parlare, Luke? Di come mi hai trattato davanti al tuo gruppetto di amici drogati? Oh, no, forse vuoi parlare di quella sgualdrina di Fryal e di come lei si sia ambientata così bene in casa tua?»
Si accorse che stava quasi urlando e lanciò un'occhiata alla sua porta, tendendo un orecchio all'erta.
Luke stava ancora porgendo i fiori verso di lui.
«Sì, voglio parlare dei miei amichetti drogati e di quella "sgualdrina" di Fryal. Puoi scendere, per piacere?»
Donovan gesticolò nervosamente.
Oh! Quel ragazzo era impossibile!
«Non se ne parla, io domani devo anche andare a scuola e sono le due di notte! E butta quei fiori!»
Luke guardò il mazzo che teneva in mano e poi ritirò il braccio.
«Ti prego, Den, scusami» sussurrò poi.
Donovan lo guardò per un attimo, il cuore gli si strinse.
«Luke, non voglio dei fiori come se fossimo una coppietta felice, voglio solo poter essere me stesso davanti ai tuoi amici»
Il ragazzo sotto casa sua fece una smorfia.
«Den, lo sai come sono loro, io non posso...»
Donovan lo bloccò prima che potesse finire.
«Sì, lo so già. Ma quello che hai fatto oggi è semplicemente orribile, preferirei che cose del genere non succedessero.»
Luke sorrise, con quegli occhi verdi illuminati solo dalla luce della luna sembrava un angelo bellissimo, si disse Den.
«Mi stai perdonando?» chiese speranzoso.
«Non lo so, non ce la faccio più... » rispose poi, scuotendo la testa sconsolato.
Quante volte erano arrivati a quel punto?
Luke posò i fiori per terra e prese una rosa tra di essi.
«Allora permettimi di cantarti una serenata» poi si bloccò un attimo e aggrottò le sopracciglia
«Ti andrebbe bene lo stesso se mi inventassi le parole? Non ne ho mai fatta una e faccio anche abbastanza schifo a cantare ma magari potrebbe piacerti.»
«No, Luke, smettila, non cantare!» Quasi urlò Donovan.
Passò attraverso la sua finestra, saltò sull'albero che sporgeva i suoi rami proprio verso la sua stanza e trovò i soliti punti giusti per arrampicarsi giù per il tronco senza spezzarsi il collo.
Luke l'aveva guardato per tutto il tragitto, la rosa in mano e gli occhi pieni di ammirazione.
«Non ti facevo così atletico, non sei mai caduto?»
Donovan lo guardò accigliato.
«Sei venuto qui per dirmi quanto sembri goffo di solito?»
Luke gli porse la rosa e si schiarì la voce.
«No, stavo per farti una serenata. Sta' a sentire.»
Den spalancò gli occhi e gli strappò la rosa di mano, tappandogli la bocca con il palmo destro.
«I miei stano dormendo, non cantare!»
La sensazione delle labbra di Luke a contatto con la sua pelle gli trasmise i brividi.
Su, andiamo. Non mollare proprio ora.
Il ragazzo davanti a lui lo stava fissando dritto negli occhi.
Anche lui sentiva lo stesso brivido lungo la schiena e il cuore a mille?
Quasi si dimenticò di essere arrabbiato quando il ragazzo lasciò un bacio sulla sua pelle.
Ritirò il braccio di scatto e indietreggiò, buttando la rosa e mettendosi sulla difensiva.
«Luke, ho detto vattene.»
Il ragazzo davanti a lui si avvicinò e gli prese il viso tra le mani.
E lo baciò di nuovo.
Donovan gli morse il labbro inferiore e riuscì ad annaspare qualche parola.
«No, Luke, smettila.»
Ma quello non lo ascoltò e si avvicinò nuovamente mentre lui, invece, provava ad allontanarlo con pochi risultati.
Che non ci stesse mettendo abbastanza forza?
Forza, fai il duro per una volta! Puoi essere forte quanto lui!
Ma semplicemente non ce la fece. Luke era Luke, e Donovan non sarebbe mai riuscito a dirgli no.
Non sarebbe mai riuscito ad allontanarlo definitivamente. Quindi si perse nel bacio. Dimenticando che fossero le due di notte e che il giorno dopo Brown lo avrebbe ucciso.
Juno
Juno si risvegliò di colpo, le mani che tremavano e il respiro affannato.
La sala d'aspetto era leggermente illuminata dalla luce del sole e al bancone c'era un'altra impiegata.
Si scostò leggermente dalla spalla di Lyllian e lanciò un'occhiata all'orologio sulla parete, segnava le 06:03.
Dovevano muoversi.
Finnick la stava guardando quando lei si voltò per controllare se fosse sveglio.
«Hai finito di rovistare nel nostro futuro? Possiamo tornare a casa adesso?»
Lyllian mugolò, appoggiata alla sua spalla.
«Che bello svegliarsi sentendovi litigare. Fate silenzio.»
Finn sbuffò e roteò gli occhi.
Juno si alzò e si passò una mano sulla faccia. Aveva tanto voglia di un caffè e qualcosa da mangiare, il giorno prima non aveva neanche cenato e ora si sentiva un buco allo stomaco che proclamava del cibo.
«Lyl, svegliati. Non abbiamo molto tempo» ordinò lanciando un'occhiata anche a Finnick.
Quello si alzò recependo il messaggio e per poco Lyllian non cadde non avendo più il supporto della spalla del suo migliore amico.
«Okay, okay, ci sono.»
Juno si guardò intorno, secondo il suo sogno avevano più o meno venti minuti di tempo.
«Cosa stai pensando?»
Le chiese Finnick passandosi una mano tra i capelli.
«Dobbiamo andarcene da qui» rispose la veggente guardandosi intorno sospettosa.
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