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Varcare il confine [IV/IV]


INEJ.

Serratura a due chiavi. Doppia mappa. Finestra rinforzata. Unico cilindro solido. Una serie di pin per ogni chiave.

Nella testa di Inej queste informazioni sono illuminate da aloni di frustrazione, mentre striscia come uno spettro attraverso la radura tra le Cabine. Evita con grazia gli sbatter d'ali minacciosi delle arpie di guardia sul perimetro, procedendo a zig zag per approfittare delle ombre dei cespugli e delle tettoie sporgenti di alcune delle Case più grandi.

Serratura a due chiavi. Doppia mappa...

Quelle parole si accavallano in un loop estenuante nella voce riecheggiante di Kaz, come se lui le stesse parlando a pochi centimetri dall'orecchio. Ha lo stesso tono pratico e spiccio con cui lui le aveva pronunciate nel silenzio inquieto di qualche ora prima, uscendo dalla discussione con Chirone. Quando Inej gli aveva gettato uno sguardo perplesso, camminandogli affianco, si era accorta con un brivido che la testa del ragazzo era leggermente inclinata di lato, gli occhi scuri scintillanti persi nel vuoto.

– Sta facendo quella faccia – aveva mugugnato Jesper a Inej, chinandosi accanto a lei per arrivare alla sua stessa altezza. Il figlio di Apollo aveva storto la bocca in un sorriso nervoso – Forse è un buon segno, vuol dire che è tornato in sé.

Ma lei era rimasta in silenzio, improvvisamente strattonata da flussi ugualmente intensi di preoccupazione - per quello che poteva significare uno dei folli piani di Kaz dentro i confini amici del Campo Mezzosangue -, e di sollievo - nel vedere che il brillio argentato che aveva visto estinguersi dentro di lui mentre voltava le spalle alla Stecca, si stava ravvivando man mano, una biancastra scintilla alla volta.

Un contrasto terribile che le rimescola le emozioni nelle viscere come se stesse precipitando nel vuoto.

In mezzo a quei sentori contraddittori, era emersa pungente anche la paura. Si era sentita irrigidire dal timore che quel fuoco famigliare che animava Kaz da sempre, che aveva acceso New York da dentro come il nucleo incandescente di una lanterna... avrebbe potuto tornare a crepitare troppo presto nel posto sbagliato. E quando si fosse infine liberato dalla prigione di tenebre in cui aveva visto piombare Manisporche nei giorni precedenti, avrebbe potuto ardere micidiale sui confini del Campo, disgregandoli, incontenibile come un incendio violento di stelle bianche.

A Kaz non piace il Campo, e quello che non piace a Kaz Brekker è inevitabilmente a rischio. Era improbabile quanto una gita turistica del Tartaro, ma Inej aveva sperato nel profondo – desiderio stupido, pericoloso come qualsiasi sentimento lasciato a briglia sciolta dentro la testa – che, nel vedere da vicino l'interno di quel piccolo paradiso, anche Manisporche avrebbe iniziato a coglierne le reali possibilità. Avrebbe cominciato ad apprezzare la presenza di alleati simili a lui, a costruirsi un equilibrio sano, lontano dalla criminalità in cui aveva navigato per tutta la vita.

Un equilibrio sano con lei.

E Inej adesso alza gli occhi al cielo stellato, pensando a quanto è stata ingenua. A quanto sia stato sciocco permettersi si provare qualcosa per quel ragazzo di affilato vetro nero, che fa sanguinare le dita ad ogni minimo tocco.

Nel vederlo così taciturno, chiuso in uno strano silenzio riflessivo, forse qualcun altro potrebbe credere che il Campo in fondo lo stia effettivamente ammorbidendo, ma Inej lo conosce troppo bene per non essersi accorta del modo in cui la sua mascella si è contratta dall'entrata nel Campo del giorno prima, la lingua costantemente intrappolata nella stretta violenta degli incisivi. Se la morde sempre quando non si sente a casa, o durante le missioni lontane decine di chilometri dalla Stecca. Si morde la lingua quando qualcosa di incrina, e i pezzi sulla scacchiera iniziano a incasinarsi in schemi pericolosamente indecifrabili. Kaz è un labirinto di minimi scatti, come una gigantesca serratura composta da migliaia di piccoli pezzi tra loro perfettamente incastrati. Inej sa che forse non dovrebbe essere capace di cogliere la moltitudine di quei suoi movimenti accennati, o il significato nascosto di ogni sua espressione, ma il linguaggio dei segreti le scorre nelle vene come sangue, e, con il passare del tempo, si accorge sempre di più di non poterne fare a meno. È così che i suoi occhi schizzano, in un automatismo spaventoso, ai segni dei morsi sulla punta della lingua di Kaz, ogni volta che lui apre bocca. Tracce sottili di rosso vivo, unico minuscolo indizio delle sue incertezze, nascosto gelosamente dietro ad una parete salda di parole attente e battute minimamente programmate.

E mentre Kaz sussurrava il suo piano, zoppicando insieme a lei e Jesper di ritorno allo spiazzo delle Cabine, i suoi denti erano sporchi di sangue.

Inej si accorge si starsi facendo passare la lingua tra i denti, e immediatamente la tira indietro, imponendosi concentrazione.

Sopra la sua testa, le stelle sono un tappeto di scintille benevole, di una lucentezza sconvolgente in assenza completa di nubi o dell'inquinamento della città. Trova incredibile come ogni dettaglio di questo posto sembri una versione più colorata e pulita della sua vita. Anche la notte ha l'odore dolce di fragole al sole, illuminata da una luna paziente. Non è la notte adatta per compiere un reato. A New York era il vento fetido dei vicoli a sussurrarle nelle orecchie come infiltrarsi in una casa, a guidarla dove non era permesso, a sibilarle attorno come un coro informe di demoni provocatori.

Fallo, Inej, sembrava dire la notte, le luci sfarfallanti del traffico che le danzavano sinistre sul viso mentre i tetti della città le si dispiegavano sotto i piedi come le enormi ali di un corvo silenzioso, sporca i coltelli di sangue.

La notte di Long Island ha il profumo di frutta matura. E Inej inghiotte con rabbia la sensazione di essere tremendamente sporca, davanti alla lustrezza immacolata del cielo che la sovrasta.

Impostora, stridono le stelle mentre Inej incastra la punta della scarpa tra la grondaia e il muro della Casa Grande, issandocisi sopra senza il minimo cigolio, ladra.

Sono la figlia del dio dei ladri, pensa la semidea con irritazione, infilandosi una mano in tasca per estrarre i grimaldelli che Kaz le ha fatto scivolare tra le dita un'ora prima e ficcandoseli tra i denti mentre continua a salire, forse tutto questo era destino.

...Finestra rinforzata. Unico cilindro solido...

Per Kaz analizzare ogni singola serratura nell'arco di dieci metri pare venire spontaneo, e Inej non avrebbe dovuto essere sorpresa che, con la sua vista acuminata, fosse riuscito a scorgere con chiarezza le caratteristiche della serratura a guardia della finestra più alta della Casa Grande, mentre ne uscivano; lo sguardo di Chirone che ancora sembrava seguirli dal portico.

– Ah! Lo sapevo che avremmo provato ad entrarci – aveva detto Jesper in un bisbiglio entusiasta quando Kaz aveva esposto l'idea quella mattina – Quante dracme potrebbe nascondere là sopra quello strano cavallo?

Ma Kaz aveva scosso la testa.

– Non parliamo di soldi, ma di presunte apocalissi imminenti – aveva dichiarato in tono asciutto – C'è qualcosa, lassù, che incide in modo drastico sulla nostra prossima sopravvivenza.

– Stai parlando di quello che ha detto Chirone sulla guerra contro i Titani e la battaglia del Labirinto? – aveva domandato Inej, aggrottando la fronte.

– Sì e no – aveva risposto Kaz, il capo che ora tentennava da una parta e dall'altra, come inseguendo un filo di pensieri visibile a lui soltanto – È evidente ci sia qualcosa di preoccupante in quello che ha accennato riguardo alla violazione dei limiti del Campo dei mesi scorsi, ma io mi riferisco a quello che non ha detto. Alle domande che non ha fatto – aveva fatto schioccare seccamente la lingua – Un uomo... o cavallo millenario che sia, poco cambia... – i suoi occhi avevano fatto una giravolta verso il cielo – tradisce i suoi reali crucci se, mentre spiega gli orari inutilmente complicati di un Campo estivo, continua a lanciare occhiate stranamente nervose alla soffitta dove apparentemente nessuno è autorizzato a mettere piede, o se parla come se sapesse benissimo di stare discutendo con quelli che potrebbero essere dei cadaveri induriti da una morte atroce. Se è davvero così raro che qualcuno sopravviva fuori da questo luogo, perché non ha chiesto nulla sulla nostra vita? – si era fatto passare le dita guantate tra i capelli scuri e a Inej non era sfuggito il suo uso apparentemente casuale del termine qualcuno, invece di mezzosangue – Inoltre – aveva proseguito Kaz – non sono state accidentali le sue menzioni ad una Grande Profezia e alla guerra contro i Titani. Lavoro con i segreti da troppo tempo per non riconoscere qualcuno che li nasconde.

– E quindi tu credi che il cavallo abbia scheletri nell'armadio? – aveva domandato Jesper, profondamente accigliato.

Kaz aveva annuito piano.

– Quegli scheletri potremmo essere noi, Jes.


Con un balzo agile, Inej raggiuge la prima tettoria. Si getta uno sguardo prudente alle spalle, assicurandosi che le ombre alate delle arpie siano fuori portata di sguardo e si perde per un istante a guardare la distesa notturna dei campi di fragole in lontananza, e le figure squadrate delle Cabine oltre il prato.

Il Campo, baciato dalla bianca luce lunare, è di una bellezza morbida e pura che la lascia incantata. È la dolcezza quieta di una bambina appallottolata tra le coperte soffici di un carro. È la certezza innocente di immergere la mano in una più grande e salda e sentire la sicurezza del presente piegare le labbra all'insù, gli occhi come specchi in cui si tuffano i bagliori della notte.

Serratura a due chiavi. Doppia mappa...

L'urgenza ruvida della voce di Kaz dentro la testa la fa riscuotere.

– D'accordo, ora vado – bofonchia pianissimo attraverso il sapore metallico dei grimaldelli, anche se sa perfettamente che Kaz è dall'altra parte del Campo e che sta parlando a se stessa.

Scala con cautela un'altra grondaia, mantenendosi nell'ombra della Casa Grande oltre la luce intensa della luna. Non ha idea del se i centauri dormano, ma tenta di non interrompere in alcun modo il silenzio quasi inquietante che l'ha avviluppata, per non correre il minimo rischio che Chirone possa notare la sua presenza. A New York il frastuono delle strade copriva perfettamente qualsiasi ansimo o mugugno soffocato tra i denti, mentre si gettava giù da qualche tetto, ma adesso è come se ogni accennata mossa falsa possa rovinare ogni cosa, e infrangere in mille pezzi l'immobilità soffice del buio. I due piani scarsi della Casa Grande sembrano dilatarsi infinitamente sotto i suoi piedi.

Cosa mi farebbero se mi trovassero qui?, si trova a domandarsi, percorsa da un fremito di orrore, Kaz vuole che mi trovino per vedermi cacciata via? È un piano per tornare alla vita di prima?

Arrampicati, Inej, riflette con amarezza per concentrarsi, la stessa cosa che sentiva ripetersi nella mente da piccolina, mentre si esercitava tra i tessuti aerei, con quel tono caldo ed energico che sembrava provenire da fuori di lei, e che le ricompariva dentro come una magia quando i grattacieli di New York apparivano troppo alti per essere scalati. Arrampicati, Inej...

Arriva in cima, sulla seconda tettoia. Si acquatta sulle tegole, fredde e umide sotto le dita, e striscia verso la finestra. I grimaldelli sono come bacchette di luce argentata tra le sue mani mentre avvicina le punte alla serratura.

– Manipola i pin interni – le aveva detto Kaz quel pomeriggio, facendo scattare i grimaldelli in una serratura fantasma davanti a sé per farle vedere il movimento preciso – Solleva i pin driver dentro al cilindro uno alla volta, rilascia gradualmente la pressione sulla serratura e lascia che i pin chiave cadano nella tacche. Usa le dita per il feedback tattile.

– Anche tu usi le dita per controllare la posizione dei pin? – gli aveva chiesto Inej, lo sguardo inevitabilmente ricaduto sui guanti, troppo spessi perché lui potesse percepire con precisione gli intarsi dei pioli sul cilindro.

Lui le aveva lanciato uno sguardo in tralice.

– No – aveva risposto con semplicità, prima di tornare a farsi roteare i grimaldelli tra le nocche – Mi piace rendere le cose complicate.

Adesso Inej ripercorre con attenzione le sue istruzioni, senza nemmeno accorgersi di trattenere il respiro mentre infila la punta del primo grimaldello nella serratura.

Il lavoro sembra durare ore. Allo scatto di ogni più piccolo pin, il suo cuore perde un battito. Non è mai stata brava come Kaz a scassinare porte o casseforti, ma quando gli ha chiesto perché lui non potesse seguirla alla Casa Grande per rendere la missione più rapida, la sua risposta era stata che aveva altre ricerche da svolgere nel Campo, e che anche a Jesper avrebbe affidato qualche luogo da visitare illegalmente durante la notte.

– Che cos'è che devi fare? – aveva insistito Inej, le braccia seccamente incrociate sul petto.

E allora Kaz aveva sorriso. Non lo vedeva sorridere da tanto tempo, soprattutto in quel modo maniacale, con i denti appena scoperti e brillii dorati che gli sbrilluccicavano nello sguardo come pepite d'oro sul fondo di un pozzo.

– Faccio qualche amicizia, Inej – aveva ribattuto, munito di ironia graffiante – È per questo che siamo venuti qui, non è vero?

Clack.

La serratura scatta e Inej rilascia il fiato, asciugandosi con il lembo della manica il velo di sudore che, nonostante la temperatura autunnale, le ha ricoperto la fronte mentre armeggiava.

La quasi completa assenza di pioggia sul Campo ha permesso alla polvere di divorare la limpidezza del vetro della finestra, che è grumoso di sporcizia quando Inej lo sfiora con l'indice, spingendolo verso l'oscurità torbida della soffitta.

Una zaffata di lezzo di muffa la investe, facendole storcere il naso. Inej ripone i grimaldelli in tasca ed estrae una piccola torcia elettrica - una delle poche cose che loro tre si sono portati dietro, dopo aver lasciato la Stecca, e che sono sopravvissute ai numerosi attacchi lungo il tragitto verso il Campo.

Inej scavalca il davanzale, lasciando la finestra socchiusa dietro di sé. Allontana con rimpianto le dita dal vetro, provando a soffocare la paura irrazionale che questo possa richiudersi permanentemente e intrappolarla lì dentro come un ragno in un barattolo.

Nella soffitta fa stranamente caldo, e Inej sente il pizzicore dei vortici di polvere nelle narici.

Accende la torcia alla luminosità minima e un fascio di pallido bagliore artificiale le si distende tra le dita, schiarendo un ambiente caotico di oggetti apparentemente dimenticati da decenni.

Osserva con nervosismo teste grottesche di mostri ammassate nella sporcizia, che sembrano scrutarla con i loro grandi occhi morti; armi arrugginite contrassegnate con targhette scolorite e altri mucchietti di manufatti dalla dubbia provenienza, come un paio di dadi pelosi o una paffuta mela dalla buccia dorata.

Inej lascia correre il fascio di luce tutt'attorno, illuminando anche le assi pericolanti che reggono il tetto. Sembra di guardare dentro la cassa toracica di un animale gigantesco.

– C'è qualcosa di importante, là – le aveva ricordato Kaz, incappucciato sull'ingresso della Casa di Atena, quando lei era passata per prendere i grimaldelli e la torcia poco prima, che nella folla della Casa di Hermes non sarebbero passati così inosservati – Ma non devi portarlo fuori, per ora, qualsiasi cosa sia. Non correre rischi inutili – i suoi occhi erano due sprazzi luminosi di cielo stellato sotto il cappuccio. Era parso esitare – Sta' attenta – aveva aggiunto poi, talmente piano che Inej per un momento aveva creduto di averlo immaginato.

Ora, però, in mezzo a quel caos di oggetti incoerenti, Inej non ne vede nessuno che possa essere lontanamente etichettabile come prezioso, interessante per la loro immediata sopravvivenza o abbastanza pericoloso da rendere valida la premura di Kaz. Si mordicchia un labbro, sempre più confusa. Adocchia un groviglio di lenzuoli e sciarpe nell'angolo in fondo, e poi, continuando a far scorrere il cono di luce sul perimetro delle pareti, per poco non sussulta quando i suoi occhi incontrano le orbite nere di una mummia accasciata a terra.

Inej deglutisce a vuoto.

È stata spettatrice di molteplici sfumature della morte, ma l'abbandono arido di quel corpo rachitico le causa un nuovo tipo di ribrezzo, meno viscido della visione del sangue sulle mani, ma secco e artigliante, come un colpo del bastone di Kaz scagliato all'altezza dello stomaco.

Continua a scrutare la mummia, incapace di distogliere lo sguardo, ed è solo quando una intensa luce smeraldina inizia a rilucere nell'oscurità di quel cranio, che Inej si lascia sfuggire un gemito e arretra istintivamente verso la finestra.

Fumo verdognolo si srotola dalle orbite vacue, lambendo le vecchie ossa e tracciando nastri luminosi alla luce fioca della torcia di Inej.

La ragazza rimane paralizzata, una mano tesa dietro di sé alla ricerca della maniglia della finestra, ma gli occhi ancora incollati alla figura della mummia, che in uno scrocchio disgustoso raddrizza il collo, la mascella che si spalanca in una voragine di volute velenose.

E inizia a parlare.

La voce riecheggia inumana e raspante come una cosa morta da troppo che provasse a comunicare dalle profondità di un baratro infernale.


Giunger vedrete la Morte piegarsi,
Un'eredità oscura cullare rimorsi.

Figlia degli Inferi e la progenie di gelido vento,
Che da un lontano orizzonte riportano tetro lamento.

Uniti nel legame che il fato ha intrecciato,
L'equilibrio restituiranno all'angelo annientato.

Un figlio della Saggezza con occhi di pietra nera,
Un astro buono dalla sorte severa,
E uno spettro silente, ombra sincera.

Richiameranno colui che è dal suo sangue in fuga,
E due muti paladini che la Morte non prosciuga,
Per spezzare il gelo dove la fiamma attende nuda.


Inej guarda attonita la testa della mummia ricrollare inerme sul petto scheletrico. Il fumo si dilegua senza lasciare traccia e per un lunghissimo istante si ode soltanto il suono martellante del suo cuore che sbatte ansioso contro le costole.

La ragazza ha la bocca di carta vetrata. Ha sentito più volte nominare oracoli e profezie, ovviamente, ma nessuno le aveva mai parlato di mummie che si muovono, o morti che sputano fumo. È abbastanza certa che anche Kaz potrebbe rimanerne sconvolto. Rimane cristallizzata sul posto, temendo che qualsiasi suo respiro possa rianimare il cadavere dall'altra parte della soffitta.

Poi, quando non riesce più a trattenere il fiato, si volta di scatto ed esce come vento fuori dalla finestra, richiudendosela freneticamente alle spalle e provando a sedare lo spavento che ancora le fa pulsare brutalmente il sangue nelle tempie.

Quelle parole sepolcrali le volteggiano nella testa come una maledizione.

– Padre, proteggimi – bisbiglia al buio, intrecciando le dita davanti alla bocca – Guidami, ti prego.

Nessuno risponde. Un soffio di aria leggera proviene dalla baia e le fa svolazzare attorno al viso le ciocche scure sfuggite alla presa della sua treccia.

Inej sospira a singhiozzo, rialzando il capo in direzione della sagoma imponente della Collina Mezzosangue in lontananza e al bosco che la ricopre, ed è allora che scorge qualcosa muoversi nella vegetazione, facendo frusciare i cespugli ad una ventina di metri dalla Casa Grande.

Estrae il pugnale Demetra in un sibilo metallico, acquattandosi immediatamente sulle tegole, l'esperienza degli ultimi due anni che prende il sopravvento sulla paura.

Ma poi si blocca, esterrefatta.

Una ragazza con un lungo vestito pieno di foglie e i folti capelli arruffati emerge dagli alberi sotto il freddo bagliore lunare, ansante mentre un enorme ragazzo semisvenuto arranca debolmente, aggrappandosi a lei come un moribondo.

– Aiuto – prova a gridare la ragazza, senza fiato, e la sua voce giunge a Inej trasportata dalla brezza lieve – Per favore, mi chiamo Nina – mentre si avvicinano, Inej vede le brillanti strie di lacrime che le rigano le guance – Penso di essere morta.



Cover credits: @ / _chipsip su Instagram

NdA:

Okay, la profezia fa un pochetto schifo ma EHI, non potrei mai scrivere una fic in PJO AU senza un sano oracolo che vomita fumo verdognolo, vi pare?

Non so ancora di preciso quanto delle vicende di Sei di Corvi sarà narrato qui dentro in chiave PJO. La storia la conosciamo già tutti e penso che chiarirò soltanto gli adattamenti mitologici a cui sto pensando, perché concentrarmi solo sull'assalto alla Corte di Ghiaccio sarebbe noioso per tutti. Nel frattempo, però, introdurrò decentemente anche il resto dei Corvi.

Per Nina e Matthias ho in serbo qualcosa di min blowing (che probabilmente sembra una figata pazzesca solo a me ma shh) e sarà molto carino approfondirlo **

Voti e commenti sono sempre ben accetti <3

Nessun rimpianto. Nessun funerale,

Cossiopea

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