5. UNA BOTTA E VIA
Restammo stesi per alcuni minuti prima di trovare le forze per alzarci e rivestirci. Navigavamo nel silenzio più assoluto mentre elaboravamo lentamente cos'era appena accaduto. Cosa avevamo realmente fatto. L'aria intorno a noi traboccava degli ansimi che ci erano sfuggiti dalle labbra, delle parole con cui ci eravamo pregati, dell'odore appagante e spaventoso del sesso. Persi, entrambi vagavamo con sguardo sempre più cosciente su di noi. Sui nostri corpi nudi e sudati, ancora vicini e pervasi dalle scosse di assestamento di quell'inaspettato piacere.
"Ah, cazzo!" Levi esclamò all'improvviso. I suoi occhi si piantarono sull'unico indumento che le manette gli avevano impedito di togliersi. "Questa macchia non verrà mai via" disse vagamente irritato mentre pizzicava con le dita i contorni di quella testimonianza imbarazzante. Io dal canto mio arrossii violentemente e rotai gli occhi su qualunque punto della stanza che non fosse la sua camicia. Tutto pur di non pensare all'entità di quell'alone bianco sulla sua divisa. Il tintinnio metallico delle manette mi privò del diritto di sprofondare nella vergogna. Le mie gambe si mossero automaticamente quando Levi si alzò. Senza dire una parola, inveì con falcate decise sul pavimento della camera, trascinandomi con lui fino alla porta chiusa. "Hai un coltello?" si voltò verso di me mentre pronunciava quelle cose insensate. Mi presi un secondo per captare nella sua espressione qualcosa di diverso dalla glaciale indifferenza che indossava sempre, ma non scorsi nulla.
"Perché mai dovrei, Levi?" chiesi retoricamente, chiudendo la zip dei pantaloni e raccogliendo da terra la camicia stropicciata. D'un tratto essere mezzo nudo di fronte a lui mi sembrava la cosa più sbagliata mondo. Sopratutto quando i suoi occhi non facevano che oltrepassarmi con noncuranza, come se fossi trasparente.
"Perché no? Potrebbe tornare utile." Levi rilanciò, indicando la sua camicia con l'imbarazzante macchia al centro. Con il sopracciglio inarcato ci mise poco a farmi sentire uno stupido. Come se la sua domanda fosse la più lecita del mondo e io fossi solo un idiota. Era il solito Levi, dedussi. E forse mi dava così fastidio perché io non mi sentivo per niente il solito Eren. "Beh, devo tagliare questa camicia perché non ho intenzione di andarmene in giro conciato così. Piuttosto resto senza."
"Oh, anche io fossi in te non indosserei niente." decisi che ne avevo abbastanza di starmene lì in silenzio con una faccia da ebete. Flirtai e, non so con quale coraggio, non mancai di ammiccare nella sua direzione. Levi però restò impassibile, se non per gli occhi che guizzarono con una luce malsana nei miei. Si fecero scuri e penetranti nello scrutarmi fino in fondo all'anima. Avevo la sensazione che stesse passando ai raggi x ogni poro del mio viso e individuasse senza fatica ogni strana emozione che mi vorticava dentro. Un brivido di puro terrore mi scosse il basso ventre quando il suo volto si fece più serio e minaccioso, poco prima che mi parlasse con il suo solito tono duro e sprezzante.
"Lascia che ti chiarisca una cosa: quello che è successo? E' stata una botta e via. Non ha significato nulla. E' stato solo uno sfogo di tutta la frustrazione che la repressione sessuale di questo cazzo di posto ci mette addosso, okay? Non c'era un dannato sentimento in mezzo." Levi scandì accuratamente ogni sillaba senza mai lasciare i miei occhi. Mi guardava, smanioso di vedere se la cosa mi fosse chiara. Non l'avevo mai visto mettere tanta attenzione in un discorso. Quelle parole mi colpirono peggio di un pugno in piena faccia. Non è che mi aspettassi qualcosa. Non avevo neanche avuto il tempo di pensarci concretamente in realtà, ma faceva comunque male per qualche motivo che non riuscivo a giustificare. Lo sguardo di Levi era semplicemente neutro e privo di qualsiasi emozione mentre assorbivo il suo discorso. Davvero prendersi la mia verginità non aveva significato nulla per lui? Ero stato solo un oggetto per svuotarsi i testicoli? Non potei fare a meno di scuotere la testa, frustrato e ferito, chiedendomi come mi fosse venuto in mente di provare ad avere qualche minima aspettativa nei suoi confronti.
Levi si incamminò alla porta, incurante del mio stato d'animo e del polso che si stava tirando dietro senza riguardi. Scandagliò bene il corridoio per assicurarsi che fosse deserto prima di fiondarsi al "cassetto dei coltelli", ovvero l'unico mobile in cui erano custoditi tutti gli oggetti taglienti dell'Istituto. Girammo l'angolo, arrivando finalmente alla stanza designata e, benedetti da una sfortuna che proprio non voleva lasciarci in pace, ci imbattemmo nel mio migliore amico. Vidi Armin incespicare nei proprio passi mentre la mascella gli cadeva palesemente ai piedi.
"Hey, Armin." bofonchiai, in un vano tentativo di dissipare l'imbarazzo generale. "Come va?" lui si limitò a fissarci, sbattendo le palpebre un paio di volte. I suoi occhi celesti sfrecciarono dalla camicia imbrattata di Levi ad un punto preciso sulla mia. Fu solo grazie al suo spirito di osservazione che mi accorsi dei bottoni che avevo allacciato male, lasciando un buco dove avevo mancato l'asola. Quando Levi vide Armin fare letteralmente due più due, lo derise senza riguardo.
"Cosa stai guardando, moccioso?" Levi colpì, diretto e sprezzante, lasciando Armin senza parole.
"Non dovrei parlarvi, ragazzi." Armin finalmente si riprese, sussurrando. "E Sunni...ha detto che eravate malati." azzardò, guardandoci di sottecchi.
"E pensi che ce ne importi qualcosa?" Levi ribatté. "Perché stai parlando con le persone sbagliate se sei in cerca di qualcuno a cui frega un cazzo di qualcosa." potei letteralmente vedere tutta la cattiveria di Levi sfrecciare sulle sue parole masticate tra i denti e infrangersi senza riguardo sull'espressione innocente e impaurita di Armin.
"Ma voi...ecco...st-stavate..."Armin balbettò. "Sì, beh...avete capito...?" il mio amico cambiò diverse gradazioni di rosso ed io non potei che compatirlo per come finì sotto allo sguardo affilato e perforante del corvino.
"E perché dovrebbe riguardarti?" Levi lo guardò storto, peggio di un serial killer colto sulla scena del crimine.
"Perché è mio amico." lo interruppi secco. "Ed è un suo diritto sapere se il suo migliore amico è stato sopraffatto dal ragazzo a cui è legato fino a chissà quando. Gli amici si preoccupano di certe cose, Levi, ma non mi aspetto che tu lo sappia." ero veramente stufo marcio di Levi e del suo atteggiamento da padrone del mondo con cui si permetteva di trattare tutti a pesci in faccia. "Insomma, di certo non sei circondato di persone che si ammazzano per esserti amici." conclusi, assaporando la vaga sensazione di leggerezza per averlo messo al suo posto.
"Uh-" Levi provò a controbattere, ma era come se qualcosa gli si fosse bloccato in gola. Non era male vederlo strozzarsi con la sua stessa, acida saliva una volta tanto. I suoi occhi si sgranarono impercettibilmente. Segno inequivocabile che avevo fatto breccia nel suo cuore di titanio. Ben gli stava. Gli rifilai un ghigno a dir poco malefico, incrociando le braccia.
"Di sicuro io non sono tra questi comunque." sibilai con tutta la cattiveria che il corvino era capace di seminare nel mio essere. Potevo essere bravo quanto lui a giocare a fare lo stronzo. Che se ne rendesse conto.
Armin perse completamente padronanza delle palpebre. Temevo che gli occhi chiari gli sarebbero usciti dalle orbite finendo a rotolare sul pavimento lucido. "Io...vado. Sembra che voi due abbiate parecchio di cui discutere."
Si dileguò in fretta senza aggiungere altro ed io lo lasciai andare. Come avrei potuto biasimarlo? Fossi stato al suo posto, avrei fatto esattamente la stessa cosa.
Approfittando della mia attenzione deviata si Armin che correva dall'altra parte del corridoio, Levi si voltò, privandomi della visuale sul suo viso e setacciò il cassetto. Il rumore metallico dei vari oggetti proibiti che il corvino miscelava nel suo rovistare tintinnò nell'ambiente circostante finché Levi non rimediò un paio di forbici. Quegli affari di tagliente avevano ben poco, come per tutti gli utensili a disposizione in quella scuola a prova di neonati, ma non aveva molto altro a disposizione. Io invece ero completamente ammutolito; ancora inchiodato sulle sue parole arcigne. Levi squarciò a colpo sicuro la camicia e la appallottolò sotto braccio nudo. Con la coda dell'occhio mi concessi di sbirciare il suo corpo niveo, stando ben attento a non farmi cogliere in flagrante.
Tornammo veloci in camera, coordinando alle bene e meglio i nostri movimenti anche se non osavamo guardarci in faccia. Nel silenzio pesante, Levi fece canestro nel bidone con la sua ex camicia, ricoprendola alla bene e meglio con un po' di spazzatura. La tensione tra di noi era più affilata di tutta l'artiglieria che avremmo mai potuto usare di nascosto ed io finii per guardare al pavimento che poco prima avevamo inquinato con i vestiti che ci eravamo sfilati con foga. Non ero assolutamente in grado di gestire tutte le sensazioni che mi scorrevano nelle vene e a modo suo non lo era neanche Levi. Qualsiasi altro essere umano avrebbe mostrato un po' di finta compassione per la situazione corrente, ma avevo l'impressione che la lastra di ghiaccio con cui il corvino si schermava avesse raddoppiato gli strati.
"Non dirmi che ti aspettavi qualche sorta di dichiarazione." Levi se ne uscì fuori con la solita aria provocatoria e arrogante. Si girò come un fulmine verso di me, correndo nel mio sguardo spaventato. La noia capitanava il suo viso altezzoso mentre incrociava le braccia al petto, muovendo anche il mio di rimando. Senza riguardi, senza scrupoli. Mi colse del tutto impreparato, dato che ero convinto di essere rimasto l'unico a pensare e a ripensare al nostro discorso post-sfogo sessuale. Per questo motivo e per il suo sguardo intenso su di me non mi restò che attenermi al silenzio. "Uh, Dio! Sei proprio una puttanella, Jaeger. Davvero non riesce a reggere un po' di sesso senza impegno?" Inveì, impietoso e superbo. Ogni suo insulto mi trapassava come un ago. Non mi ero mai sentito così umiliato e... triste. Faceva male sentirlo parlare di quella cosa come se nulla fosse. Capire quanto poco avesse contato per lui. Levi Ackerman non si faceva sconvolgere da nulla e si faceva beffe di noi poveri umani succubi delle nostre emozioni.
"Non quando si tratta della mia verginità!" esclamai con un bisbiglio molto più simile ad un grido esasperato che trasformò il colorito olivastro della mia carnagione in un rosso scuro. "E non chiamarmi puttana, puttana!" Urlai, più per vergogna e risentimento che per rabbia. Cosa che di sicuro arrivò forte e chiaro al mio compagno di stanza, che non si fece sfuggire dalle mani l'occasione per istigarmi ancora un po'.
"Scusa, mi sa che ti ho sopravvalutato." mi derise. "Sei proprio un moccioso." aveva le labbra piegate in un ghigno mentre si godeva l'irritazione che non riuscivo a dissimulare. Levi era agghiacciante. Non perché facesse del male senza rendersene conto, ma perché ne era consapevole e lo faceva apposta. Ne godeva.
"Potrei dire lo stesso di te, Ackerman. Sei assolutamente spregevole." digrignai i denti. Ormai la delusione mi scuoteva i nervi. Odiavo la sua espressione compiaciuta. Il suo tono beffardo. Il fatto che fosse stato dentro di me. Che io gliel'avessi permesso. Che mi fosse piaciuto. Che lui se ne fosse approfittato.
"Mi dispiace averti deluso. Dovresti farti due chiacchiere con mio zio. Andreste d'accordo." Levi mi rivolse un sorriso cinico e del tutto privo di qualsiasi entusiasmo. Nei suoi occhi plumbei tutto il divertimento nel ferirmi scomparve sotto ad una scintilla di tristezza. Ne ero sicuro. Quella cosa indecifrabile che era il suo animo aveva toccato una nota di sofferenza, ma dovevo infischiarmene. Levi non mi avrebbe mai permesso di guardargli dentro. Non gli importava di me. Rimasi lì. Non potevo fare altro se non restare attaccato al polso di qualcuno che non sopportavo tanto quanto quel qualcuno non sopportava me. Non potevo far altro che ricacciare giù qualsiasi emozione fosse uscita dal seminato e riprendere il percorso del nostro odio reciproco. L'odio che ci faceva quotidianamente compagnia e che sprizzava senza remore dai pori di entrambi. Registrai il suo sguardo spento e annoiato prima di distogliere definitivamente il mio è sedermi sul letto, troppo vicino a lui a causa di quel maledetto legame metallico. Il silenzio ci avvolse ancora, amplificando i respiri che prendevamo nella nostra solitudine violata dall'altro. Come ultima, disperata risorsa pregai di essere colpito da un fulmine e morire sul posto.
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