44. SOLO
Non avevo la minima idea di come avrei affrontato i giorni solitari che mi aspettavano. A Natale dovetti chiamare mia madre per gli auguri e trascorsi i quindici minuti di telefonata concessi a piangere senza ritegno. Sentire la sua voce morbida e piena d'amore era dura e sentirla parlare di Levi lo era ancora di più. Mia madre aveva passato il tempo cercando con tutte le sue forze di consolarmi. Mi sentivo così in colpa che provai a scusarmi, finendo solo per acuire i singhiozzi che non ne volevano sapere di fermarsi.
"M- Mi dis-dispiace, mamma." piansi, tirando su col naso per gestire l'ennesimo groppo di lacrime sul viso inzuppato.
"Per cosa, tesoro?" mi chiese mia madre dolcemente, come se anche solo parlarmi troppo intensamente avrebbe potuto spezzarmi definitivamente.
"Per – per parlare solo di me. Si- Siamo a Natale. Non dovrei piangere. Dovrei essere felice di sentirti." la mia gola era secca a causa dei pianti incessanti e anche gli occhi non erano messi meglio. Li sentivo bruciare e tutto l'insieme era arrivato anche alla testa, tormentandomi con un'emicrania che pulsava forte nei vasi sanguigni. Inconsciamente, mi accasciai al muro mentre tenevo a stento il ricevitore tra l'orecchio e la spalla. La voglia di lasciarmi completamente cadere a terra senza più rialzarmi era arrivata nel momento in cui Levi mi aveva lasciato e ogni istante il suo peso sulle spalle si aggravava.
"No, tesoro, me lo aspettavo e non devi scusarti. E poi qui non stiamo ancora festeggiando il Natale." mia madre mi rassicurò. Anche se non potevo vederla, immaginavo chiaramente il dolce sorriso e gli occhi carichi di compassione dall'altro capo del telefono.
"In che senso?" chiesi, stranito dal suo tono divertito.
"Beh, il nostro regalo di Natale deve essere spedito via aerea dal North Carolina," mia madre rise e potei distinguere senza sforzo il ghigno sul volto furbesco. "Non possiamo festeggiare finché non torni qui da noi."
Mi strofinai gli occhi, abbozzando l'ombra di un sorriso al pensiero che mancassero pochi giorni per riunirmi alla mia famiglia; perlomeno ad una parte di quest'ultima.
"Comunque, parlando seriamente, è del tutto normale che tu stia male, caro. Capisco perfettamente e mi dispiace tanto, Eren. Ma Levi ha detto che sarebbe tornato ed è a questo che ti devi aggrappare. Non pensare a quanto sei triste ora. Sii felice per il momento in cui vi rivedrete. Questo è il mio consiglio: continua a sorridere. Il dolore non sparirà, ma andrà meglio e in quattro giorni saremo di nuovo insieme. Non credo che Mikasa e Maxxie ti permetteranno di essere triste troppo a lungo. E anche io farò del mio meglio. E credimi, Maxxie ti sta aspettando. Continua a sedersi sul tuo letto e a scodinzolare come se dovessi spuntare dalla porta da un momento all'altro."
"Beh, quel cane mi adora. Non per vantarmi, ma sono sicuramente il suo preferito." risposi con il tono più leggero che riuscii a improvvisare, volenteroso almeno in parte di seguire i consigli di mia madre che si sforzava così tanto per tirarmi su. Mi morsi il labbro per bloccare il tremolio che non riuscivo a fermare del tutto. Arrivai alla fine della chiamata con tutta la forza che avevo in corpo, impedendomi di scoppiare ancora a piangere anche se gli occhi erano ben lontani dall'essere asciutti. Salutai mia madre e Mikasa che nel frattempo si era incollata alla cornetta.
Mi portai nel cuore i loro abbracci a distanza, facendo in modo di sciogliere quel freddo che sentivo attorniarmi da dentro. Avevo iniziato a notare che, involontariamente, stringevo spesso la maglietta sul petto, come se il palmo della mia mano avesse potuto lenire la punta di sofferenza che sentivo trafiggermi. In ogni istante gli occhi di Levi erano nei miei. Quelle tempeste traslucide sparavano brividi lungo la mia spina dorsale, scendendo fin nello spirito. Pensavo alla sua voce bassa e sabbiata quando si improvvisava arrogante. O al tono fermo, ma più incerto quando si sentiva a disagio. Mi concentravo così tanto da vedere senza sforzo il raro rossore che gli dipingeva le guance nei momenti di imbarazzo. Mi ritrovai persino a ridere da solo per le sue risposte pronte e taglienti. Ora, persino le nostre litigate o gli insulti con cui mi aveva vessato avevano un altro sapore. Cosa non avrei dato per essere rimproverato da lui con una delle sue alzate di occhi, capaci di far sentire un perfetto idiota persino il Presidente degli Stati Uniti.
Trascorsi il Natale così. Tra gli auguri dello Staff e dei miei compagni a cui risposi con un sorriso triste. Chiacchierare fu arduo e decisi di rinchiudermi in camera per buona parte del pomeriggio. Rigirai l'anello di Levi sul dito, giocando con i solchi dell'incisione e ripassando ogni istante della nostra ultima notte insieme. Anche quando il sole calò, i nostri ricordi continuarono a cullarmi. Era un dolore strano il mio. Un male che non avrei augurato a nessuno, ma che allo stesso tempo mi era più caro di qualsiasi altra cosa. Perché non importava dove fosse o cosa stesse facendo. Levi mi faceva sentire pieno, vivo come non mi sembrava di essere mai stato. Era più assuefacente delle sostanze che mi avevano fatto internare ad Ashville, ma il suo era un male prezioso.
Realizzai che era arrivata l'ora di dormire solo quando CJ si affacciò alla stanza per spegnere le luci e rinnovarci gli auguri di Natale. I miei compagni rientrarono obbedienti in camera, provati dai festeggiamenti in mensa.
"Buon Natale, ragazzi. Ci si vede domani." CJ ci rifilò un sorriso a trentadue denti. Sembrava proprio una bambina in attesa dei regali. Quando si soffermò su di me, gli occhi vispi lampeggiarono con una nota di preoccupazione. Sapevo che il mio viso sbattuto era più eloquente di qualsiasi cosa avessi mai potuto dire. La vidi piegare le sopracciglia in un'aria apprensiva e feci del mio meglio per non crollare di nuovo sotto alle macerie della mia integrità distrutta.
"Auguri CJ." fui in grado di rispondere dopo essermi assicurato che la voce non tremasse più del dovuto.
"Coraggio, Eren. Resisti." CJ mi rispose, incurante degli sguardi fintamente indifferenti degli altri studenti nella stanza. Le schioccai un'occhiata scocciata, ma mi morsi la lingua prima di risponderle a tono. Sapevo che non era colpa sua se Levi non c'era ed io stavo male. Eppure persino le sue accortezze mi irritavano. Ero convinto che nessuno sapesse cosa stessi provando e per questo avrei preferito che facessero come Armin e si limitassero a starmi vicino in silenzio, se proprio non avessero potuto lasciarmi solo.
Alla fine spostai lo sguardo sul muro di fronte per poi girarmi dall'altra parte e dare le spalle al mondo. Mi abbandonai ad un sospiro sofferto, stringendo le braccia sotto alle coperte per abbracciarmi da solo e tamponare il bisogno urgente di sentire il tocco freddo di Levi su di me. Misi da parte le risate sguaiate dei miei compagni e provai ad addormentarmi con la testa ancora vessata dal dolore. Sarebbero stati quattro giorni davvero difficili.
NOTA: Capitolo di passaggio, ma obbligatorio. Scusate se vado un po' a rilento, ma il lavoro non mi dà tregua. Scrivere mi manca tantissimo e quindi, con un po' di fortuna, ci vediamo Domenica con altri due capitoli pieni di sorprese ❤️
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