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19. CHE C'E'? E' CALDO...

Un rumore alla porta ci svegliò. Il tempo di aprire gli occhi e trovare i nostri guardi assonnati e l'asse di legno sbatté forte contro al muro. Fu tardi quando realizzammo di non esserci staccati in tempo dal nostro abbraccio. Le membra intorpidite versavano ancora le une sulle altre. Le gambe intrecciate si scossero appena al risveglio traumatico mentre le mie braccia restarono esattamente dov'erano, strette e perfettamente a loro agio attorno al corpo minuto e muscoloso di Levi che a sua volta non si mosse di un millimetro.

"Uh... Cosa...?" Ci girammo verso la voce incerta all'ingresso della stanza. Il terrore svanì gradualmente dai nostri volti ghiacciati quando mettemmo a fuoco Reagan. Levi espirò sonoramente, mettendosi a sedere.

"Che c'è? E' caldo." Levi giustificò alla bene e meglio il nostro intreccio, ma se lui riusciva a dissimulare fin troppo bene l'imbarazzo, io avevo più difficoltà nel gestire il rossore sulle guance. Di rimando mi misi a sedere anche io per trovare una postura più adatta alla situazione e forse nella vana speranza che Reagan dimenticasse quello che aveva visto.

"Già, non puoi riprenderci per cose che facciamo involontariamente durante il sonno e poi... non sei contento che andiamo d'accordo?" come al solito risposi a tono, con vergogna travestita da arringa petulante.

"Sì, sono contento che andiate d'accordo. Siete fortunati che sia stato io ad entrare e non qualcun altro." Reagan ritrovò sicurezza nell'ammonirci per la nostra sconsideratezza.

"Ah che due cogl-"

"Levi," Reagan lo mise in guardia con una semplice occhiata eloquente. Il corvino scosse il capo, rassegnato.

"Sono ancora irritabile appena sveglio. Scontami un po' la pena."

"Amico, quattordici giorni e poi diventi maggiorenne. Non sei contento?!" Reagan cambiò totalmente argomento per abbassare il Ph acido di Levi. In quel momento però fu l'acidità del mio stomaco a salire. Non avevo minimamente realizzato che Levi stesse per compiere diciotto anni. Restai concentrato sul dialogo in corso, ma le parole mi giunsero ovattate alle orecchie. ll fastidio sconosciuto già vivo nel mio petto.

"Sì, più o meno." Levi rispose impassibile. "Sarò solo. Nessuno su cui sia costretto a fare affidamento." L'immagine di suo zio, o meglio della voce che potevo affibbiare a quell'uomo, vorticò nella testa e fu impossibile non sentirmi sollevato all'idea che Levi potesse finalmente liberarsi di lui. La leggerezza però durò poco. La consapevolezza che fosse solo faceva più male di quanto mi sarei mai aspettato.

"Non avevo capito che stai per fare i diciotto." Levi mi guardò prima di rispondere. Un'emozione che non riuscii a decifrare passò sul viso indifferente e ancora provato dal sonno agitato.

"E quanti anni pensavi che stessi per compiere, Jaeger?" chiese, tra il confuso e lo spaesato. Probabilmente più che la domanda in sé, ciò che attentava alla sua espressione neutra era la mia, sconsolata e attonita.

"Non lo so, solo... non diciotto."

"Quattordici giorni e potrò andarmene da qui." Levi constatò. Un mero, disturbante dato di fatto.

"Dannazione, manca davvero poco." Riflettei profondamente su quei miseri quattordici giorni. Non volevo perderlo prima di andare via. La presunta data del mio diploma era già stata uno shock sufficiente per entrambi. La prospettiva che il poco tempo a disposizione si fosse ulteriormente accorciato era quasi insopportabile.

"Eren, il linguaggio! Vedo che Levi è contagioso." Reagan mi rimproverò, scoccando un'occhiata di disapprovazione a me e al corvino al mio fianco.

"Dannazione non è neanche una vera parolaccia. Dannazione, dannazione, dannazione. Visto? Lo usano nella Bibbia, non può essere considerata una brutta parola." Levi mi difese. Come riuscisse a mantenere un tono serio con la sequenza di stronzate che stava sparando restava un mistero.

"Sai cos'altro c'è nella Bibbia, Levi? L'incesto. Dobbiamo iniziare ad approvare anche quello secondo la tua logica?" Reagan ribatté soddisfatto. Levi si limitò alla solita alzata d'occhi.

"Allora abbiamo finito qui? Possiamo farci la doccia?" Levi sviò prontamente l'argomento a suo sfavore e tirò la t-shirt che usava per dormire, scostandola dal petto. Effettivamente il panico notturno l'aveva fatto sudare un bel po' e conoscevo abbastanza il corvino da non sorprendermi per la smorfia di disgusto con cui arricciò le labbra.

"Non insieme." Reagan scherzò, troppo seriamente.

"Dio, ma quanto ti ha raccontato Jean?" Levi sbottò, più irritato che sorpreso, agitando in aria il braccio ammanettato che fece risuonare la catena tra i nostri polsi. Provai pena per il membro dello Staff che perse ogni contegno. La mascella toccò terra mentre gli occhi si allargavano come se avessero visto un alieno.

"Oddio, stavo scherzando! Ah, datemi della candeggina. Non volevo saperlo!" Reagan protestò. Il viso leggermente arrossato e gli occhi strizzati per rimuovere qualcosa che era appena stato impresso a fuoco nella sua mente. Io dal mio canto avvampai.

"Okay, pensiamo a lavarci." Intervenni. Con non so quale coraggio cercai il contatto visivo con gli occhi nuovamente aperti di Reagan e sollevai il braccio incatenato. Feci tintinnare l'intera montatura argentea, intimando allo staff di sbrigarsi. Reagan sembrò dimenticare la conversazione e si precipitò a slegarci. Una volta staccati non ci mettemmo più di mezzo secondo a prendere il nostro cambio e infilarci in doccia. In due docce, separate. Aprii l'acqua, ma il getto fu meno rilassante del previsto. Mentre le gocce bollenti penetravano nei pori, nella mente spingeva la nuova presa di coscienza della mattinata. Levi stava per compiere diciotto anni. Il cuore saltò un battito. Non volevo che se ne andasse dall'istituto e si lasciasse tutto alle spalle, me compreso. Strinsi le labbra per impedirgli di tremare. Non volevo che il prossimo Natale e compleanno sarebbe stato l'ultimo in sua compagna. I miei desideri erano brucianti e si scontrarono con un disperato dato di fatto. Io non ero neanche della East Coast per cui sembrava proprio che per me e il corvino la mezzanotte stesse per scoccare.

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