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Capitolo 8

"Ken, non ha più senso, lo capisci?" La voce di mia mamma risuonava al piano di sotto. "Barbara, pensaci su. Non puoi farlo. Pensa ai ragazzi, cosa gli diremo?" La voce di mio padre era preoccupata e lo ero anch'io. Mia mamma voleva lasciare papà? Per quale motivo? Ci mancava solo questa. "Possiamo parlarne dopo? Fra poco arriveranno i bambini e Noelle potrebbe sentirci." La curiosità era troppa e anche la paura. In pochi secondi mi ero catapultata giù dalle scale per ascoltarli meglio. "È abbastanza grande da capire, non credi?" No papà. Non avrei mai potuto reggere una cosa del genere. "Capire cosa?" Ecco. Maledetta la mia stupida bocca. "Che c'è, tutto d'un tratto non avete più nulla da dirvi?" Entrambi si guardarono sconvolti. "Sono abbastanza grande. Lo hai detto tu papà. O mi sbaglio?" Ero incazzata nera. Non potevano tenermi all'oscuro. "Noelle, tesoro, calmati." Ed eccola lì. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso. "Calmarmi? Calmarmi? Come posso calmarmi quando tutto nella mia vita sta andando a puttane? Come posso calmarmi se vengo sempre tenuta all'oscuro di tutto? Se sono quella che viene considerata sempre alla fine, quando le decisioni sono già state prese? Io non posso stare calma!" Avevo urlato così forte che la gola mi bruciava ma, era stata una cosa istintiva. "Spiegatemi come stanno le cose, adesso o vi giuro che uscirò da quella porta e non mi vedrete più tornare." La mia voce era più bassa. "Tu non puoi andartene." Mia mamma mi aveva portata al limite dell'esasperazione. "Perché mamma? Perché vuoi farlo prima tu? Vuoi essere tu la prima ad uscire di casa e anche dalle nostre vite e non tornare mai più?! Eh?" Un secondo dopo la sua mano era arrivata in contatto con la mia guancia, un pó fredda a causa del tempo, provocandomi uno strano dolore. Poggiai subito il palmo della mia mano sulla faccia e piangendo corsi al piano di sopra, sbattendo la porta.

Due giorni dopo quell'accesa discussione, mia madre andò via di casa, portando con se tutto ciò che aveva qui e lasciandoci soli.

"Noelle, posso entrare?" Papà cercava di fare del suo meglio per non farci mancare nulla o farci sentire la sua mancanza. Di solito sono sempre i padri che vanno via e sinceramente, mi ero preparata a questo un giorno. Non so perché ma ho sempre creduto che papà ci avrebbe abbandonati, era successo a molte persone che conoscevo e invece lui era qui.

"Entra.." Sussurrai. Stavo sul davanzale della finestra e l'immagine di mia madre che usciva di casa con quelle valigie ripercorreva sempre la memoria. Non ci aveva nemmeno salutati. Dopo qualche urlo di troppo era andata via chiudendo la porta dietro di se ed entrando in macchina.

"Non pensarci ok? Lei tornerà.." Mi stupivo di come mio papà, dopo tutto quello che aveva fatto mia madre, tenesse ancora a lei con la speranza di un suo ritorno. "Ha solo bisogno di tempo." Giá, tempo lontana dalla sua famiglia. "Papà, lei non tornerà." Avrei voluto ritirare subito le mie parole ma avevano già fatto effetto su di lui. "Ehi aspetta, non andartene." Lo presi per un braccio. "Scusa papà. Sono così cattiva con te perché non riesco a farmene una ragione. Perdonami." Lui mi strinse forte al suo petto e le lacrime lottavano per uscire ma, dovevo essere forte, non per me ma per lui e per i miei fratellini. "Grazie per essere rimasto. Per non averci lasciati soli." Accennó un sorriso. "Non potrei mai abbandonarvi."

La casa senza mia madre sembrava vuota. Non perché avesse una personalità pimpante e allegra ma, perché senza lei, tutti sembravano essere più tristi. Nessuno si preoccupava di litigare per sciocchezze o di accendere la televisione per guardare sciocchi programmi e questo mi dava fastidio. Come se il nostro umore e la nostra vita dipendessero solo da lei.

"Ehi piccolini, che ne dite di andare a letto?" I due gemellini, erano troppo piccoli per poter realmente capire cosa stava succedendo e così, cercavo di distrarli.

"Noelle, Noelle, ci racconti una storia?" Chiese Ryan. "Certo tesoro, però dopo a nanna." Dissi sorridendo. "Promesso. Ora racconta." Rispose Dylan. Così cominciai. "C'era una volta un ragazzino, di nome Peter Pan. Viveva su un'isola, chiamata L'isola che non c'è..."

I gemellini si erano finalmente addormentati e senza fare rumore cercai di uscire dalla stanza. "Noelle.." Dylan mi chiamó. "Si?" Aveva gli occhi semi aperti. "Mamma tornerà?" La sua vocina era così piccola e indifesa. Come potevo spiattellargli in faccia la verità nuda e cruda?! "Si Dylan, tornerà. Adesso dormi perché domani c'è scuola." Spensi la luce e andai in camera mia.

Il mattino seguente, c'era una vera e propria tempesta fuori. La pioggia era così forte che ogni goccia faceva male quando cadeva addosso. Per mia fortuna avevo preso la macchina e il tragitto da fare sotto l'acqua era breve.

A prima ora avevo lezione con il professor Ross. Dopo quel battibecco del primo giorno di scuola, non eravamo più tornati sull'argomento fortunatamente.

"Bene ragazzi, oggi vorrei che mi esponeste in un tema ciò che più vi affligge in questi giorni o nella vostra adolescenza in generale." E per la prima volta nella mia vita ero felice di fare un compito a sorpresa. Tutti sbuffavano ed io invece sapevo già cosa scrivere. "Potete cominciare, avete tempo un'ora."

In pochi istanti il mio foglio bianco aveva cominciato a riempirsi e la mia mano non smetteva più di scrivere. Certo, sarebbe stato imbarazzante far leggere tutte queste cose ad un professore ma, questo era il compito e volevo svolgerlo bene.

"L'ora è finita. Consegnatemi i vostri fogli e andate." Soddisfatta del mio lavoro, poggiai il compito sulla cattedra con un sorriso sul volto. "Felice di aver svolto questo compito?" Ovviamente aveva sempre qualcosa da criticarmi. "Felicissima." Risposi. "Vedremo quando lo correggerò." Rispose. "Aspetto con ansia il suo giudizio. Arrivederci." E così lo liquidai.

La seconda lezione era all'ultimo piano e il mio zaino pesava troppo perciò decisi di prendere l'ascensore che finalmente era stato aggiustato.

"Aspetta, aspetta." Urlai per farmi riaprire le porte. "Grazie." Sorrisi e appena alzai la testa, Calum era di fronte a me. "Beh è troppo tardi per scendere." Sorrise per prendermi in giro. Lo ignorai.

Un piano, mancava solo un piano e sarei uscita da questo coso maledetto. Nessuno dei due aveva detto mezza parola. Fuori c'era ancora maltempo e si sentivano i tuoni. "Certo che oggi c'è proprio una tempesta." Commentó lui cercando di diminuire la tensione. "Già." Risposi. "Sarebbe il colmo rimanere chiusi qui." Questo ascensore era maledettamente lento e Calum portava davvero sfortuna perché un attimo dopo l'ascensore si fermò.

"Ehm che diamine è successo?" Bravo il cretino. "Secondo me siamo rimasti bloccati e tu invece cosa pensi furbone?" Mi dava ai nervi. "Oh mio dio, non è possibile. Mi manca l'aria aiuto. Aiutooo." Premeva i tasti senza smettere di urlare proprio come un cretino. "Ma la vuoi finire? Non c'è luce è inutile piggiare quei maledetti tasti." Era davvero così stupido prima? "Sono claustrofobico aiuto!" Sarebbe stato perfetto un video. Lo avrei sfottuto a vita. "Calum tu non sei claustrofobico smettila." Cercavo di farlo calmare, non perché mi importasse ma perché mi stava facendo venire il mal di testa con tutti quei lamenti. "E che ne sai?" Che cazzo di stupida domanda. "Forse perché siamo stati quattro anni insieme e ti assicuro che sei stato in spazi più stretti di questo fottuto ascensore." Finalmente si era zittito.

Era già passata un'ora e mezza e nessuno aveva ancora fatto ripartire questa dannata luce. I telefoni prendevano ma nessuno si degnava a rispondere. "Forse rimarremo qui per tutta la notte. O per giorni. Nessuno ci verrà a cercare e moriremo qui senza acqua e cibo o qualcosa con cui coprirci." Prima non era così idiota, lo giuro. "Sei proprio un idiota lo sai?" Le parole uscirono spontanee dalla mia bocca. "È un'ora che non fai altro che dire stupidaggini, non ti sopporto più. Prima non eri così, forse stare con quella ti ha reso un cretino." Mi fulminó con lo sguardo. "Cosa vorresti insinuare?" Chiese. "Nulla, nulla."

"Noelle, svegliati." Forse era un sogno. "Oh sei tu." No, non lo era. "Che vuoi?" Chiesi. "Niente mi sentivo solo." Rispose lui. "Non che tu sia di gran compagnia." Stronzo. "Forse perché non mi importa parlare con te." Idiota. "Sembra un segno del destino. Tu ed io qui, chiusi in questo ascensore senza poter uscire." O forse è solo sfiga. "Io penso più che si tratti di sfortuna. Sai in questi giorni ci cammino a braccetto." Il telefono prendeva benissimo ma nessuno mi aveva cercata. "Non volevo lasciarti." No. Non volevo parlarne. Non qui, non ora. "Non mi interessa." Risposi. "Dico davvero." Zitto. Doveva stare zitto. "Calum ho tentato di parlare con te per giorni e mi hai ignorata. Ti sei messo con un'altra. Mi hai riportato tutto quello che ti avevo regalato e non mi hai rivolto più la parola. Adesso che siamo chiusi qui dentro i sensi di colpa ti stanno assalendo? Ti senti in dovere di chiedermi scusa? Tranquillo non mi interessa più. Non ho bisogno delle tue scuse ne tanto meno delle tue spiegazioni." Ero esplosa.

Stavo morendo di fame così presi il panino che avevo preparato. "Prosciutto e formaggio?" Chiese lui. "Si.." Diedi un morso al panino. "I famosi panini della signora Carter. Mi manca tua mamma sai?" Anche a me. "Già.." Risposi. "Come sta?" Non lo so. "Lei è andata via di casa." Che cazzo mi era passato per la testa? Perché gliel'avevo detto? "Che cosa? Quando?" Adesso avrei dovuto raccontare i particolari. "Non voglio parlarne ok? È andata via e basta. Non so nemmeno perché te l'ho detto." Questa volta le lacrime presero il sopravvento su di me. "Noelle, scusa non volevo farti piangere." Mi abbracció come non faceva da tempo. Appena mi resi conto mi staccai. Lui mi guardò ed io lo guardai e un attimo dopo il telefono squillò.

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