Capitolo 46
"I ricordi mi tengono in sospeso su un filo di un passato che non riesco e non posso tagliare."
(Valentina Ardimento)
"Louis.." La voce mi si ruppe in gola. "Ma non eri sotto la doccia?" Chiesi raddrizzandomi ma senza avvicinarmi.
"Si, ma avevo bisogno del bagnoschiuma e sono uscito non appena ho notato che era finito." Rispose guardandomi ancora con sguardo incredulo.
"Hai..hai sentito tutta la discussione?" Tentennai leggermente per la paura.
"Più o meno." Rispose lui. "Mi hai mentito. Noelle, perchè lo hai fatto?" Le parole uscirono dalla sua bocca quasi come un lamento. Mi fissava senza staccare gli occhi nemmeno per un secondo.
"Non ti ho mentito, Louis. E' solo che sono confusa e non capisco cosa mi stia succedendo." Ero sincera. Non volevo dirgli bugie, solo non sapevo cosa stesse accadendo dentro me. Mi sentivo continuamente strana, diversa, ed era così da quando era arrivato lui.
"Diamine!" Urlò lui. "Per una volta, una sola volta, potresti dirmi la verità? Mi sembra di essere sempre quello di troppo. Da quando sono arrivato le cose con il tuo ragazzo vanno male, lo hai detto persino tu l'altra sera. Io per ora ho fatto finta di niente, però adesso voglio sapere la verità, perchè sennò prenderò le uniche borse che ho con me e andrò dritto in aeroporto." Per fortuna in casa non c'era nessun altro. Mio padre e i miei fratelli erano usciti per andare da alcuni amici di mio padre a fare gli auguri.
"Louis, ascoltami.." Cominciai ma mi interruppe alzando un dito.
"Non voglio sentire scuse, non voglio sentire nessuna frase fatta, non voglio sentire nulla se non la verità. Non provare a mentirmi, lo capirei subito e lo sai. Non provare a cambiare argomento, non ci riusciresti. Se invece non vuoi dirmi la verità, d'accordo, andrò via e non tornerò mai più, Noelle, perché sono stanco di questa situazione." Le parole che pronunciò le disse a denti stretti con una tale rabbia negli occhi che sembrava potessero cambiare colore ad ogni frase che pronunciava: verde, azzurro scuro, blu notte e un miscuglio di tutti questi colori.
Rimasi immobile a pensare quello che potevo dire senza rovinare tutto, alle parole giuste da usare. Alla fine, parlai. "Ci sono tante cose che non sai. Molte che non posso dirti, altre che non capiresti e alcune che non conosco nemmeno io. Non so cosa mi stia succedendo in questi gironi, non so perché faccio quello che faccio, non ho la più pallida idea del perché con Jordan le cose stanno cominciando a barcollare. Non so se è per il tuo arrivo, o per il fatto che il mio ragazzo molte volte è insicuro, soprattutto quando si parla di te. Non so cosa frulli nella sua testa e non so nemmeno cosa frulli nella mia. Perciò, non so rispondere a questa tua domanda, perché non ho davvero la più pallida idea di cosa intenda tu per verità. Se ti interessa sapere cosa provo per te, mi dispiace, ma dovrai accontentarti, perché come ho appena detto, non ho la minima idea di cosa succeda nella mia testa e nel mio cuore. L'unica cosa di cui sono certa è che se andrai via oggi sarà tutto troppo difficile, perciò ti prego di rimanere. Non andare via, Louis. Se non vuoi restare per me, almeno fallo per mio padre. Fa che questo Natale non sia un totale disastro come gli ultimi che abbiamo passato." La mia voce si incrinò leggermente quando pronunciai le ultime parole. Quando si trattava della felicità di mio padre era inevitabile stare male.
Non parlò. Rimase per pochi secondi immobile a fissarmi, poi girò i tacchi e si diresse in camera chiudendosi la porta alle spalle.
Sospirai stremata da questa situazione. Dove sbagliavo? Perché non capivo più nulla? Amavo Jordan? Era lui l'amore della mia vita? Oppure era il ragazzo che avevo di fronte pochi secondi prima?
Mi distesi sul divano sbuffando e sfregando le mani sul viso. Pensare a tutte queste cose mi mandava in confusione e non riuscivo a fare nient'altro se non pensare a questa situazione.
Stavo finendo di pulire la cucina, quando sentii la porta della camera degli ospiti aprirsi. Poco dopo Louis passò dritto senza rivolgermi nemmeno uno sguardo ed uscì di casa.
Corsi verso la porta e la aprii urlando il suo nome, ma era già scomparso.
A mezzogiorno avevo finito di sistemare e pulire casa e sfinita mi sdraiai sul divano e accesi la TV. Rimasi sveglia per poco, poi mi addormentai.
Non chiusi gli occhi nemmeno per cinque che sentii suonare al campanello di casa. Mi alzai di soprassalto e andai ad aprire sperando di trovare Louis dietro quella porta.
Aprii e invece di trovare il mio amico, trovai il mio ragazzo.
"Buongiorno." Disse lui sorridendo e porgendomi un sacchetto di Starbucks. "Ti ho portato la colazione."
"Ma è quasi ora di pranzo.." Commentai fissandolo con occhi confusi.
"Avevo bisogno di un pretesto per venire qui." Rispose lui.
"Sei il mio ragazzo, Jordan. Non hai bisogno di un pretesto per venire da me." Dissi con tono alterato.
"Lo so, è solo che avevamo litigato e non sapevo se volevi vedermi o meno." Mi accorsi di quanto fosse risultato acido il mio tono solo dopo la sua risposta.
"Entra." Mi spostai facendolo passare e chiusi la porta.
"Ecco a te." Dissi portandogli un piattino con metà della brioche che aveva preso da Starbucks.
"Grazie." Sorrise e diede un morso.
"Volevi dirmi qualcosa?" Chiesi divorata dall'ansia.
Jordan posò la ciambella nel piattino per poi poggiare entrambi suo tavolino di fronte al divano. "Si. Volevo parlarti dell'altra sera."
"Bene, allora parla." Lo invitai con tono deciso.
"Ieri sono stato duro con te. Non dovevo risponderti in quel modo, soprattutto davanti ai miei genitori, se non ti avessero conosciuta prima ti avrei messa in cattiva luce. Sai benissimo come sono, conosci il mio carattere come nessun altro e sai che quando si tratta di Louis sono leggermente geloso, anche se non lo do a vedere. Lui è stato importante per te ed io non so se riuscirò mai a prendere il suo posto. È sempre presente, me ne accorgo, anche quando non c'è tu lo cerchi." Disse facendo un gesto con le braccia come per farmi capire che lo stavo facendo anche adesso, ed era vero, non potevo non ammetterlo. "Non ho mai voluto essere onnipresente nella tua vita, però mi sono accorto che le cose sono andate diversamente. Ho capito che sono diventato pensate e oppressivo e non era sempre andata così. Tornare a New York mi rende ansioso e mi agita perché ho paura che possa sempre arrivare lui, bussare alla tua porta e portare con sè quell'ondata di ricordi e sentimento sufficiente a farti allontanare da me. E credo sia già successo, ciò che più temevo è successo proprio sotto i miei occhi. Quello che più mi ha dato fastidio ieri sera, è stato il tuo gesto, la tua menzogna. Non ti avrei detto di no, ti avrei appoggiata, non ti avrei vietato di uscire con il tuo amico. Mi fidavo di te. Mi sono sempre fidato di te. Tu, invece, hai agito alle mie spalle, sei uscita con lui senza dirmelo ed è stato questo a farmi infuriare. Il tuo silenzio nei miei confronti è stato un duro colpo. Ripeto, non voglio essere un fidanzato noioso ed appiccicoso, però non voglio nemmeno essere preso in giro, perché io ti amo ed è forse questo mio amore a rovinare le cose. Ti amo troppo, a tal punto da fidarmi ciecamente. Non so se potrò ancora farlo, però so che non voglio che tra noi le cose finiscano, non riuscirei a sopportare di averti persa così." Sentii le sue parole entrarmi nella testa e scorrermi nelle vene per poi darmi uno strano senso di tranquillità. Io amavo Jordan, lo amavo tanto e neanche io volevo perderlo. Le cose tra noi non andavano bene come una volta, ma era solo un periodo, ne ero certa.
"E infatti non mi perderai. Anche io ti amo e voglio stare con te. Mi assumo tutte le colpe, sono io ad aver sbagliato e ammetto di aver agito come una bambina, ma sai come sono, mi conosci. Perdonami, perdonami se sono stata così sciocca. So che la fiducia non è una cosa che si regala, che va guadagnata ed io ne ho persa molta da parte tua, perciò ti chiedo di ricominciare da capo. Non voglio far finta che non sia successo nulla, ieri è stata una lezione per entrambi e non possiamo cancellare tutto e basta, non si fa così, sarebbe come barare, giusto? Certo, non posso non ammettere che rivedere Louis e passare del tempo con lui non sai stato bello o che i ricordi non mi abbiano travolta, però posso assicurarti che tra noi c'è solo una grande e profonda amicizia. Ed è per questo che ti propongo di andare avanti con la consapevolezza di ciò che è successo e tenendo sempre a mente ciò che proviamo l'uno nei confronti dell'altra. Tu che ne dici?" Sorrisi più per il nervosismo che per la felicità.
"Dico che hai pienamente ragione e che sono d'accordo con te." Così dicendo in un attimo mi ritrovai fra le sue braccia, con le sue labbra contro le mie. Dovevo ammettere che mi sentivo decisamente meglio.
Jordan era rimasto per poco tempo, dato che doveva tornare a casa per pranzo.
Mio padre era tornato poco dopo mentre di Louis non c'era l'ombra.
"Non ti ha ancora chiamata?" Continuavo a fissare il telefono aspettando un messaggio da parte del mio amico. Dovevamo pranzare e avevamo bisogno di sapere se anche lui ci avrebbe fatto compagnia.
"No, non ancora." Risposi alla domanda di mio padre. "Magari ha il telefono in silenzioso. Ora provo a richiamarlo." Mi alzai da tavola e andai in corridoio. Dopo qualche squillo rispose.
"Pronto?" La sua voce era tranquilla ma sentivo una gran confusione.
"Louis, dove sei? Fra poco mangiamo e mio padre vuole sapere se deve cucinare anche per te." Dissi a voce bassa, quasi sussurrando.
"Si, sto arrivando, chiedigli scusa per il mio ritardo, ho avuto un contrattempo." Rispose facendo placare la mia agitazione.
"D'accordo, a fra poco." Chiusi la chiamata e tornai in cucina.
"Ha detto che sta arrivando e si scusa ma ha avuto un contrattempo." Annunciai alla mia famiglia.
"Questo pollo è davvero buono, complimenti." Disse il mio amico rivolgendosi a mio padre.
"Grazie Louis, mi fa piacere che almeno tu gradisci la mia cucina." Fu inevitabile da parte mia scoppiare a ridere.
"Scusa papà, ma vorrei dirti che quando lui ha fame, potrebbe mangiare anche il cibo dell'ospedale e trovarlo delizioso." A quelle parole vidi gli occhi di Louis diventare scuri, come se un ricordo lontano gli passasse per la mente.
"È davvero così?" Chiesi mio padre ridendo.
"No, lei mente, questo pollo è davvero buono!" Affermò lui mettendo in bocca un altra forchettata.
"Vedo che hai pulito casa da cima a fondo." Commentò mio padre rivolgendosi a me.
"Si, mi merito la mancia, quantomeno." Dissi ridendo.
"Quando toglierai quel piattino dal salone forse ti darò qualcosa." Rispose lui.
"Ah già, ho dimenticato di pulire!" Esclamai ripensando a Jordan e ai diversi baci che ci eravamo scambiati un'ora prima. Al ricordo diventai rossa.
"Hai caldo?" Chiese Dylan fissando le mie guance.
"Ripensa al suo ragazzo, sicuramente. Non possiamo lasciarti un attimo sola, eh." Commentò poi Tyler. Sentii le mie guance avvampare ancora di più, così le coprii con i capelli.
"Avete fatto pace?" Chiese Louis sbalordendomi. Era la prima parola che mi rivolgeva da quando era arrivato.
"Si." Risposi secca.
"Meno male, mi sentivo leggermente in colpa." Continuò lui mettendomi in imbarazzo.
"Oh Louis, non devi. Jordan è un ragazzo davvero calmo e comprensivo, non ce l'aveva minimamente con te." Si intromise mio padre.
"Beh, allora meglio così." Sorrise fissando per un istante i suoi occhi nei miei.
"Bene, direi che è ora del dolce." Mi alzai in fretta da tavola e corsi a prendere la torta che aveva portato Louis.
"Spero vi piaccia. Questa era la mia pasticceria preferita quando vivevo qui."
Tagliai la torta e ne diedi una fetta ad ognuno e quando la assaggiai, ricordai subito. Un'ondata di ricordi mi investì facendomi sbiancare in viso.
"Qualcosa non va?" Chiese Louis con un leggero ghigno sul viso.
"Credo che il pollo mi abbia fatto male, scusate." Mi alzai da tavola e corsi su in camera.
Rimasi chiusa nel bagno della mia stanza per quelle che sembrarono ore.
Non volevo che qualcuno entrasse e mi trovasse sul letto, motivo per cui ero nel bagno.
Non era un caso che avesse scelto quella torta. Aveva deciso che doveva rovinarmi le feste e che lo avrebbe fatto nel migliore dei modi. Si voleva vendicare perché non ero stata sincera con lui.
Mi guardai allo specchio. I miei capelli erano tutti arruffati, le guance bianche come la neve e gli occhi gonfi di pianto. Perché si divertiva a farmi del male?
Decisi di sciacquarmi il viso e uscire dal quel bagno.
Adesso mi trovavo seduta sul tappeto della camera con in mano la scatola in cui avevo conservato tutti i nostri ricordi. Avevo deciso di non buttare via nulla, non ci sarei mai riuscita.
Lo rovesciai sul pavimento: scontrini, pupazzi, foto, lettere, persino le carte dei gelati e delle caramelle, avevo tenuto tutto quanto. In mezzo a tutte le cianfrusaglie trovai le pagine di diario che avevo strappato. Quelle in cui parlavo di lui, in cui mi sfogavo per quello che mi faceva passare o delle giornate in cui ridevamo e scherzavamo. In quella scatola di cartone era racchiusa una delle storie d'amore più belle di sempre. Ricordi di una vita che sembrava ormai lontana. Com'era possibile che un amore così grande si trovasse dentro una scatola così piccola? Ogni oggetto aveva una sua storia, un racconto alle sue spalle. Molti potevano vedere solo una carta di caramella, invece io vedevo una delle nostre uscite estive, sotto il cielo caldo di New York, quando passavamo giornate intere distesi sul prato a guardare le nuvole rincorrersi in cielo.
Mi sforzai di non pensare a queste cose, di non tornare indietro nel tempo, di lasciare i ricordi chiusi in quella scatola. Poi trovai quello scontrino, lo stesso della sua pasticceria preferita. In quel posto mi aveva detto che sarebbe partito per Dublino e che sarebbe rimasto lì a studiare. In quel posto ci eravamo detti addio senza saperlo, era lì, in quel momento, che la nostra storia era finita senza che noi ce ne rendessimo conto.
Quel giorno stavamo comprando un dolce da portare ad una delle tante feste che organizzavamo con i nostri amici.
Infine trovai il biglietto dell'Empire State Building, quanta storia c'era su quell'immenso grattacielo, quanti ricordi che facevano venire i brividi. Presi tutto quello che si trovava sul tappeto e lo richiusi in fretta nella scatola per poi posarla dentro l'armadio, in fondo, ben nascosta.
Mi guardai attorno e notai che la mia stanza non era cambiata da quando ero andata a vivere in California. Stesso colore delle pareti, stessa tenda arrotolata sulla finestra, stessa scrivania e stessi oggetti appesi sui muri. Mio padre non aveva mai toccato nulla e seppure ogni anno tornavo per diverse settimane, nemmeno io avevo voglia di cambiare le cose. Questa stanza era il posto in cui erano rinchiusi tutti i ricordi dei miei anni a New York.
Mi alzai dal pavimento e mi misi distesa sul letto a fissare il soffitto, proprio come facevo quando ero preoccupata o triste. Forse lasciare che Louis rimanesse qui non era stata una grande idea, dovevo lasciarlo andare via. Faceva parte del passato. Un passato che al solo pensiero faceva male, lo stesso che aveva appena aperto la porta e mi fissava sulla soglia della camera.
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Buongiorno e buona domenica. Scusate per il ritardo ma ieri ho avuto molto da fare. Spero non ci siano errori, in tal caso li correggerò più tardi, adesso devo andare a studiare, che tristezza..
Forza e coraggio che la scuola sta finendo ahah
Vi ricordo che oltre a questa Fanfiction ne sto scrivendo un'altra. Si chiama Secrets e la protagonista è Phoebe Tonkin aka Hayley in The Originals, se vi va passate a dare un'occhiata. Ora mi dileguo. Al prossimo capitolo xx
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