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Capitolo 13

"Quando la primavera svanisce, v'è il ricordo di non averla guardata abbastanza"
(Emily Dickinson)

Dopo quel giorno in cui Louis mi aveva vista abbracciare Calum non ci eravamo più visti, lui non era più venuto a scuola, nemmeno per prendere suo zio, di solito lo faceva. La sua macchina blu notte non passava più davanti al grande cancello dell'edificio, i suoi occhi non incontravano più i miei davanti alla fermata del bus. Forse avevo sbagliato, forse non gli avevo permesso di mostrarmi il vero Louis Tomlinson, mi ero lasciata trasportare dalle mie sciocche convinzioni.

"Abby secondo te è possibile sentire la mancanza di qualcuno che in realtà non c'è mai stato?" La mia amica, la maggior parte delle volte, aveva delle parole di conforto, se così si potevano chiamare. "Ti manca?" Questa volta no. Era andata dritta al punto. "No." Risposi schietta. "Hai visto, lui ti manca!" Esclamò lei compiaciuta. "Ho detto di no, perché continui a affermare il contrario?" Spesso le nostre discussioni non avevano un senso. "Noelle, io non avevo fatto nessun nome, ti sei data da sola la risposta." Stava cercando di farmi impazzire?! "È inutile negare a te stessa che quel ragazzo ti interessa, non ne sei innamorata, magari nemmeno ti piace ma, ha un effetto su di te che neanche tu sai cos'è e ti fa paura, perciò cerchi di non pensarci ma, è inutile, lui è sempre fra i tuoi pensieri." Aveva ragione? Ero io quella che non riusciva a distaccarsi? "È che non riesco a dimenticare il modo in cui ci ha guardati, come i suoi occhi mi mostravano tutta la delusione che lui provava per me in quel momento." Risposi. "Noe, ora non puoi più tirarti indietro, lui ha provato a farsi avanti, adesso tocca a te." Ero così complicata, mi odiavo così tanto per questo mio strano modo di essere, non ero capace di gestire i miei sentimenti.

Oggi non sarei tornata a casa per pranzo, avevo detto a mio papà che dovevo finire un progetto a scuola ma in realtà avevo bisogno di stare da sola a pensare.

Cosa avevo di sbagliato? Perché non riuscivo a tenermi accanto le persone che amavo? E perché mandavo via tutte quelle che cercavano di conoscermi? Soffrire per Calum mi aveva davvero cambiata o era solo una scusa per non accettare la realtà? Prima ero forte perché avevo un ragazzo che mi amava al mio fianco o perché ero solo convinta di esserlo? Forse il mio limite, tutte le mie paure e le mie convinzioni errate, ero io. Ero io a convincermi che non potevo più essere la stessa ragazza di qualche mese fa, il mio unico muro da abbattere ero io stessa.

Presi un hot dog e continuai a camminare per poi fermarmi in una panchina a Central Park.

Vidi una bambina giocare con la sua mamma e una lacrima rigò il mio viso. Io non sentivo la mia da circa una settimana e mezza. Non mi aveva più mandato messaggi, lettere, niente, anche lei era scomparsa dalla mia vita.

"Noelle, sei tu?" Mi girai e lui era lì. "Ciao Michael." Feci un finto sorriso. "Cosa ci fai qui da sola?" Chiese sedendosi accanto a me. "Avevo bisogno di chiarire un paio di cose ed il modo migliore era stare da sola." Risposi. "Non devi stare male per lui, non è giusto." Chissà a chi si riferiva. "Non mi guardare in quel modo. Lo abbiamo notato tutti che quel Tomlinson ti sta facendo impazzire. Noelle, non posso vederti così." Disse poggiando una mano sulla mia spalla. "Oh no, lui non c'entra.." Dissi io. "E allora chi è il colpevole di queste lacrime?" Chiese. "Mia. Solo mia Michael." Mi guardò con una strana espressione. "Io non capisco.." Non c'era da stupirsi, non mi capivo nemmeno io. "Non mi aspettavo lo facessi." Risposi sollevando le spalle e tornando a guardare la bambina di prima. "L'hai più sentita?" Chiese a voce bassa, quasi si fosse pentito di quella domanda. "Perché tocca a me? Perché devo soffrire così tanto per gente che in questo momento sta bene anche senza di me? Non è giusto Michael, non è affatto giusto." Scoppiai a piangere. "Niente è giusto in questa vita Noelle." Rispose lui abbracciandomi. "Anche io mi sono posto più volte questa domanda, anch'io ho sofferto così, e poi ho capito, non c'è niente che tu possa fare per cambiare le cose, perciò tanto vale che lasci al tempo il compito di provare a curare e ricucire le ferite." Ero io la sua ferita? "E la tua si è ricucita?" Chiesi. "Più o meno." Ero felice di averlo qui. "E perché?" Che domanda stupida. "Le ferite si possono curare ma le cicatrici rimarranno per sempre." Disse guardando in basso. "E chi è la tua cicatrice?" Questa domanda mi venne spontanea, fin troppo, e avrei voluto rimangiarmela alla stessa velocità con cui l'avevo sputata. "Amore, andiamo?" La ragazza di Michael si avvicinò a noi interrompendo il discorso. "Oh si, arrivo subito." Le sorrise. "Ti aspetto vicino a quel negozio, ciao Noelle." Disse sorridendo e andando via. "Io devo andare, mi.." Scossi la testa. "Tranquillo, vai." Finsi un altro sorriso e lui andò via.

Dopo quel discorso fatto al parco con il mio amico, decisi che se volevo stare meglio dovevo cominciare a ricucire la mia ferita. 'Ho bisogno di parlarti, possiamo vederci a Central Park?' Mandai un messaggio a Louis aspettando una sua risposta.

'Quando puoi chiama, le cose lasciate a metà non mi sono mai piaciute.' Ne mandai uno anche a mia mamma quando mi accorsi che era troppo tardi per sperare nell'arrivo di Louis.

Avevo aspettato a sufficienza su quella panchina e il cielo stava cominciando a diventare scuro.

Amavo vivere a New York perché prendeva vita di notte ed io amavo la notte. Era la parte preferita di tutte le mie giornate.

Central Park era tutto illuminato e le persone camminavano mano nella mano. Mi sentivo sola. Non apprezzata. Infelice.

Arrivai a casa e senza fare rumore andai in camera mia.

"Tesoro, posso?" Mio padre entró. "Dimmi.." Chiusi il libro e lo posai sul cuscino. "Che leggi?" Chiese lui. "Oh niente, è solo un noioso libro che ci ha dato il prof a scuola." Risposi. "Non hai fame?" Feci cenno di no con la testa e lui mise una mano sulla mia gamba. "Va tutto bene?" Mi guardo dritto negli occhi. "Va e basta." Risposi schietta. "Potrebbe andare meglio?" Chiese mio padre ed io feci spallucce. "Io vado sotto a far mangiare i tuoi fratelli, se hai bisogno, sai dove cercarmi." Mi diede un bacio in fronte e uscì.

Stavo ancora leggendo il libro quando il telefono vibrò. Lo presi subito, era un messaggio di Louis. 'Non cercarmi più. Noi non abbiamo niente da chiarire perché noi non siamo niente.'

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