Capitolo 10
Nella vita purtroppo succede, nulla va come avevamo programmato. Quello che volevamo rosso era grigio. Il vestito che amavamo diventava uno scialbo pantalone. Il ragazzo che ci sembrava simpatico era poi il nostro peggiore nemico. Gli arrivederci si trasformavano in addii. Le gioie in delusioni e le lettere in messaggi. Stupidi ed insignificanti. Proprio come quello che avevo ricevuto. Era la cosa peggiore che potesse arrivare. Sentirsi dire "Mi manchi." dalla stessa persona che aveva provocato la mancanza era come sentirsi dire "Scusa, non volevo!" da chi prima ti aveva sparato. Inutile. Però la cosa più brutta, la peggiore erano i rimorsi. Quelli che ti assalivano e ti distruggevano, che ti entravano fin sotto la carne e ti facevano sentire uno straccio quando in realtà non doveva andare così.
Decisi di non risponderle. Di lasciar perdere e far finta di nulla. Mi mancava, si, ma, non ero stata io ad andare via.
Guardare fuori dalla finestra era diventata quasi un'abitudine noiosa e spesso disastrosa. Mi venivano in mente scene orrende. Come quella di mia madre o quella di Louis che, tutto contento, andava via con la sua stupida auto.
Louis, altra persona creata solo per portarmi problemi. Non riuscivo a capirlo. Mi dava la nausea. Ogni volta che lo vedevo preferivo sempre fosse l'ultima. Stava lì con quel suo sguardo furbo e quel finto sorrisetto. Lo odiavo? Forse. Ma, non lo conoscevo e non potevo esserne certa. Però c'era qualcosa in lui che mi faceva sentire strana. Probabilmente era quello il motivo per il quale avevo accettato il suo invito. Non per compassione nè perché mi andasse, ma, perché non ero riuscita a resistere ai suoi occhi. Ce ne voleva di forza per affrontarli ed io, non ne avevo e finivo per affogarci dentro, di continuo.
Avevo un altro problema: mio padre e mio fratello.
Li avevo descritti entrambi in un modo non molto carino. Ero stata davvero una stronza di prima categoria e non se lo meritavano. Dovevo farmi perdonare.
Decisi di scendere al piano di sotto. Loro erano usciti per fare la spesa e il minimo che potessi fare per chiedere scusa era cucinare qualcosa di più sostanzioso della solita pasta.
Mi misi ai fornelli per preparare un buon piatto di carne. Cucinare era come una seconda dote per me. Mi aveva sempre affascinata perciò, cominciai.
Alle otto e mezza sentii aprire la porta. Erano tornati. La tavola era apparecchiata e la carne pronta per essere servita. Sembrava di essere in un ristorante.
Arrivarono in cucina e rimasero fermi a fissare il tutto. "Hai preparato tutto tu?" Chiese mio fratello. "Si, è il mio modo di chiedervi scusa. Anche se non basta cucinare qualcosa." Risposi. Entrambi si guardarono come per dire 'Perdoniamola' ma era solo un'illusione. "Beh, noi abbiamo già cenato quindi, spero tu non abbia preparato una cena abbondante." Le parole di mio padre mi colpirono. Proprio lì, al centro del petto, perforandolo fino in fondo.
Mangiai sola per poi pulire tutto e tornare in camera. I miei fratellini dormivano già da un po', ci aveva pensato mio padre.
Il giorno dopo sarei dovuta uscire con Louis ma, avrei preferito una lezione di vita dal singor Ross, più che passare una giornata con lui a..non mi aveva detto dove mi avrebbe portata. Bene.
Il pensiero dell'imminente uscita con Louis mi portava a farmi così tanti complessi che cominciavo a farmi paura.
Non avevo mai avuto problemi con i ragazzi, mi ero sempre saputa rapportate come meglio chiedeva la situazione. Se eravamo solo amici mi comportavo come tale, se, quella persona mi interessava cercavo di farglielo intuire.
Però lui era diverso. Mi bloccavo. Dimenticavo persino le cose più semplici. Mi dava fastidio il potere che aveva su di me. Riusciva a farmi incazzare e sorridere un attimo dopo in una maniera detestabile. Proprio non lo sopportavo.
Erano le quattro del mattino e in tutto avevo dormito due ore e mezza. Non molto per una ragazza che fra tre ore si sarebbe dovuta alzare per andare a scuola. Il chiasso delle auto era costante. New York aveva un sconveniente, era una città che non dormiva mai.
Abby oggi sarebbe tornata a scuola e nulla mi avrebbe fatta più felice.
Alle sette e trenta ero già in aula pronta per la lezione di fotografia. Avevo preso una bella tazza di caffè perché, sembravo uno zombie.
"Carter, già qui?" Era Chase, un ragazzo conosciuto qui. "Mi sono svegliata presto." Dissi ridacchiando, non era mio solito essere puntuale. "Qualcosa o qualcuno ha disturbato il tuo sonno?" Chase non era uno di quei tipi attraenti, che al primo sguardo ti toglievano il respiro ma, era abbastanza simpatico e tra noi c'era molta intesa. "Si vede così tanto?" Dissi sbagliando. "Adesso si nota sicuramente." Rise e ammiccò per poi sedersi a fianco a me.
Abby non sapeva ancora di questa uscita con Louis, in realtà, non sapeva nulla. "Tesorooo." Mi corse incontro. "Finalmente sei qui. Promettimi che non partirai più. Mi hai lasciata sola in questa giungla." Esclamai abbracciandola.
"E quindi cosa pensi di fare?" Eravamo a mensa. "Cosa vuoi che faccia?! Ormai gliel'ho promesso, ci esco una volta e poi basta. Finirà li, Louis Tomlinson uscirà dalla mia vita." Questa era l'unica cosa certa in questo momento.
Erano le sette e mezza e lui sarebbe arrivato di li a poco. Avevo messo un pantalone ed una maglietta più eleganti del solito, giusto per non fare la stronza menefreghista.
Mi stavo guardando un'ultima volta allo specchio quando bussarono alla porta. Scesi con calma e aprii, Louis era lì davanti. "Wow, ti sei messa in tiro." Sorrise ma io la presi come una battuta sarcastica. "Beh, scusa se ho voluto almeno concederti questa uscita." Si, mi sarei comportata da stronza. Decisione presa. "Ehi, non ti scaldare, voglio passare una bella serata ok?" Mi supplicò quasi con lo sguardo. "Ok." Risposi. "Papà io esco." Presi borsa e cappotto e uscì.
"Dove andiamo?" La curiosità si stava facendo sempre più grande. "Sorpresa." Sorrise. "Dai Louis, dimmelo." Speravo in un posto buio e lontano da occhi indiscreti. Lui fermó la macchina e mi guardò. "Eccoci arrivati." Mi aveva portata al Luna Park(?)
"Eh, stai scherzando spero?!" Quelle montagne russe erano troppo alte. "Dai su, è l'unico gioco in cui la fila scorre velocemente." Certo, la gente scappava a vomitare, ci credo che la fila scorreva veloce. "Oppure è l'unico gioco in cui speri che io mi stringa a te per la troppa paura." Dissi ridendo. Louis fece spallucce. "Tomlinson, non ci provare." Lo minacciai ridendo. "Va bene, che montagne russe siano ma ti avverto, potrei spezzartelo quel braccio lì." Lui scoppiò a ridere.
La serata non era stata poi così male, sarei dovuta tornare a mezzanotte e ancora avevamo un'ora di tempo.
"Uhh lo zucchero filato." Dissi saltellando. Lo amavo, da piccola lo mangiavo sempre. "Me ne può dare uno?" Chiese Louis al signore. "Oh no, non preoccuparti, lo prendo io, tu hai già pagato i giochi." Era il minimo che potessi fare per farmi perdonare per averlo giudicato troppo in fretta. "Troppo tardi." Disse dandomi la stecca in mano.
Stavamo camminando in un vialetto pieno di alberi. "Allora, raccontami un po' di te, non so quasi nulla." Di me? Cosa potevo mai raccontargli? Che ero una totale fallita? "Non c'è molto da dire." Risposi. "Beh tu provaci, ti ascolto." In qualche modo dovevamo occupare questo tempo. "Cosa vuoi che ti dica, sono una ragazza semplice, non pretendo cose strabilianti dalla vita, vivo ogni giorno con la consapevolezza che tutto potrebbe accadere ma senza aspettarmi nulla. Sono una semplice ragazza che ascolta la musica che sentono tutti, a cui piace la fotografia e che spera un giorno di diventare qualcuno. Una ragazza che crede nell'amore ma non nelle favole a lieto fine. Tengo molto ai miei amici e mi farei un quattro per loro senza aspettarmi nulla in cambio ma, negli ultimi tempi, sto cercando di cambiare. Mi sono accorta che alcune parti di me vanno, non eliminate ma, migliorate. Devo smetterla di giudicare le persone a prima vista o di fidarmi troppo di altre e a volte dovrei ascoltare i consigli di chi sa davvero. Devo essere un po' più matura e meno quel tipo di ragazza che sogna e cammina con i piedi a mezzo metro da terra. Capisci?" In realtà, non sapevo se avrebbe capito, nessuno riesce mai a farlo, a capirmi intendo. "Ti capisco si, anche io ero come te." Rispose. "Perché eri? Adesso come sei?" Toccava a lui parlare. "Il tempo e i suoi svariati avvenimenti ti fanno comprendere che spesso ci sono cose che devi cambiare, è essenziale farlo. Ed è quello che in parte ho fatto io. Non sono cambiato del tutto ma, ho chiuso nel cassetto quella parte allegra e vivace di me. Quella parte del bambino giocherellone e infantile, quello che non voleva mai crescere. A cui piaceva sognare, vivere la vita fuori dagli schemi ed ignorare il mondo che lo circondava." Rispose. "E perché lo hai fatto?" Chiesi incuriosita. "Perché a volte nella vita capitano certe cose che ti obbligano a fare delle scelte ed io non potevo più essere quello di una volta. Si cambia per diverse ragioni, per diverse persone, si cambia per le persone che amiamo." A chi si riferisse in quel momento non lo sapevo per certo ma di una cosa ero sicura, potevo detestarlo. Poteva starmi simpatico la metà delle volte ed essere anche una delle persone più antipatiche di questo mondo, poteva farmi incazzare con una sola parola o un gesto e farmi venire una voglia improvvisa di prenderlo a ceffoni ma, tutto l'odio che provavo nei suoi confronti, si dissolveva ogni volta che guardavo i suoi occhi e non so per quale stupido motivo ma, in quel momento feci quello che il mio istinto mi suggerì, buttai quello zucchero filato che ci separava per terra e lo baciai.
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