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6.2

«Non vorrei interrompere qualunque cosa voi due stiate facendo», esordì una voce maschile, bassa e rauca, che la distolse bruscamente da quei pensieri. «Ma si è fatto tardi.»

Judith sollevò lo sguardo a incontrare quello di suo padre, incapace di proferire parola. Sapeva che aveva ragione e che Jason e Christopher avrebbero dovuto lasciare la casa e tornare alle proprie vite, ma non aveva immaginato che il momento sarebbe giunto così in fretta. Con le mani tese verso quelle di Dave, si schiarì la gola.

«Mi dispiace... », gli sussurrò, tentando di ignorare gli occhi di suo padre puntati con insistenza su di lei. Tutto ciò che Dave fece fu annuire. Lei non comprese il motivo per cui non disse nulla, ma la domanda rimase intrappolata nella sua mente per tutta la durata della conversazione.

Si udì un altro rumore di passi e Christopher avanzò fino a loro.
Judith si rese conto solo in quel momento di quanto superasse John Wilson in altezza e di quanto, al confronto di suo padre, sembrasse molto più possente.

«Perdonate l'intromissione», esordì a bassa voce per non destare Jenna, assopita in poltrona. «Non vorrei essere invadente, e sono sicuro che non lo vuole nemmeno Dave, ma abbiamo affrontato un lungo viaggio per incontrare Judith e... »

«Non pretenderete di certo che acconsenta a lasciarvi restare in casa mia», replicò l'uomo girandosi verso di lui e incrociando le braccia sul petto. «Io non vi conosco e nemmeno mia figlia.»

«Ti sbagli, papà», intervenne Judith, determinata. Vide Dave osservarla in silenzio, porle una domanda che rimase intrappolata nel suo sguardo e lei annuì, quasi impercettibilmente. «Vivevano qui, ricordi? Li conosciamo, in fondo.» Uno spasmo la colpì alla spalla, ma lo ignorò. Sperò che anche gli altri lo avessero ignorato.

John Wilson le rivolse uno sguardo stranito. «Spero che tu stia scherzando, Judith. Tua madre... »
Abbassò la voce, sporgendosi verso di lei. «Sai che non sono le condizioni adatte, queste, ad accogliere degli ospiti in casa.»

«Non hai visto quanto ne è entusiasta, invece?», ribatté lei con uno sfavillio negli occhi. Percepiva un calore intenso, scaturito probabilmente dal contatto con la mano di Dave, sentiva il suo sguardo addosso e sapeva in tutta certezza che desiderava che restasse.

«Papà...»
Cominciò a farle male la testa.
L'uomo scosse la testa determinato, sospirando.
«Dovete andarvene», affermò tornando a guardare i due ragazzi e suscitando un'espressione affranta sul volto della figlia.

«Papà.»

«Judith

Lei serrò le labbra in una linea dura e la mano, stretta in quella di Dave, tremò. Poi, lentamente, percepì il tocco leggero di lui sul dorso e comprese che la stava accarezzando con i polpastrelli. Per un attimo le si strinse il cuore e fu sul punto di dire qualcos'altro, ma venne preceduta da Dave che, lasciando la presa, si alzò in piedi. Judith avvertì la sua mancanza, tagliente e crudele, solo negli istanti successivi. Poi tutto quello che provò dal suo allontanamento fu sollievo.

Dave mise una mano sulla spalla del fratello, il quale assunse la stessa espressione confusa dell'uomo accanto a lui, mentre afferrava con l'altra il suo quaderno.

«Non si preoccupi, signore», disse in tono pacato ed educato. «Ha già fatto un sacrificio acconsentendo affinché rimanessimo a cena, non ci sogneremmo mai di approfittare oltre della sua ospitalità.»

Judith lo guardò con amarezza, cercando invano di celare la delusione che quelle parole avevano provocato nel suo cuore. Fu come un pugno nello stomaco. Ma che cosa aveva creduto? Che quel ragazzo sarebbe voluto rimanere, nonostante si conoscessero solo da poche per? Era insensato. Lei avrebbe dovuto saperlo. Come lo sapeva la cosa. Era la cosa che comandava, non lei, lei non valeva nulla.Eppure c'era stato qualcosa nei suoi occhi verdi e così spontanei, qualcosa che lei stessa sentiva di possedere. Era sicura che l'intensità di quel legame invisibile avesse colpito anche lui, ma non capiva il motivo del suo graduale allontanamento. Tuttavia, doveva riconoscere che era la cosa più giusta.

Suo padre fissava Dave soppesando ogni parola che lui pronunciava, e a Judith sembrò che lo stesse esaminando nell'anima.

«Mi dispiace di esser sembrato scortese», si scusò alternando lo sguardo dall'uno all'altro fratello.
«Ma capirete che non posso mettermi in casa due estranei e fingere che sia tutto normale.»

«Lo capiamo, signore», rispose Jason tendendogli una mano con cordialità. «Ce ne torniamo a casa nostra.»

John Wilson attese qualche istante prima di stringere la mano che Dave gli aveva porto, poi fece la stessa cosa con Christopher e li accompagnò alla porta. Judith li seguì a passo lento e, quando suo padre sparì in sala da pranzo, appoggiò la spalla allo stipite della porta e rivolse uno sguardo carico d'emozione a Dave.

«So che cosa stai pensando, Judith... »

«Io non penso niente», lo interruppe lei con un filo di voce. Dave sospirò, facendo cenno a Christopher di raggiungere l'auto.

«Sono venuto qui per trovarti e ora che l'ho fatto vorrei soltanto... »

«Ora che mi hai trovata non ti servo più.» La cosa le fece sputar fuori quelle parole, e Dave se ne accorse, sì, si accorse di qualcosa che aveva fatto contorcere le labbra di Judith.
«Ti senti bene?»

Judith si passò una mano sul volto, scostandosi una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio. La cosa la fece sorridere.

«Non è un problema, Dave», riprese dopo un po'. «Sapevo che te ne saresti dovuto andare presto.»

Lui scosse la testa, sporgendosi verso di lei e afferrandole le mani. Erano calde, come poco prima, e morbide come il velluto. Judith trasalì per l'intensità di quel gesto, ma cercò di non darlo a vedere. Deglutì aspramente e, con lentezza, tornò a posare gli occhi in quelli di Dave.

«Non era quello che intendevo, Judith», sussurrò. Lei intuì quanto quelle parole fossero sincere e si pentì di averlo trattato in modo sgarbato, ma il fatto che non fosse propenso a rimanere, non avendo neanche provato a convincere suo padre, l'aveva in qualche modo ferita.

«Credo tu abbia dimenticato qualcosa sul tavolo.»

Judith lo guardò confusa, poi si voltò verso il mobile e aguzzò lo sguardo.

«Di che stai parlando?», domandò tornando a voltarsi ma, al posto di Dave adesso c'era solo il vuoto.

A malincuore lo vide allontanarsi lungo il giardino, con le spalle incassate, senza guardarsi indietro. Quando raggiunse il cancelletto si fermò e lei sperò che si voltasse, almeno per un ultimo saluto, ma Dave non lo fece. Se lo richiuse alle spalle, dirigendosi verso la BMW. Judith gioì della sua assenza, mentre la cosa si muoveva rumorosamente nel suo stomaco, nella sua mente, perfino nella cartilagine delle ossa.

Quando il motore si accese con un rombo che rischiò di svegliare tutto il vicinato, Judith avvertì una fitta allo stomaco. La cosa le morse l'interno di una guancia. Si costrinse a ricacciare indietro il disappunto che sapeva con certezza sarebbe mutato in dolore, poi chiuse la porta e vi si appoggiò contro, chiudendo gli occhi. 'Va tutto bene, Judith' si disse, ispirando ed espirando. 'Va tutto bene.'
Anche la cosa ne era convinta.

***

«Se devo essere sincero», esordì Christopher mentre, finalmente, si accendeva un'altra sigaretta, «mi ha stupito il fatto che tu non abbia insistito per rimanere con lei.»

Dave guardava fuori dal finestrino, osservando le mille sfumature del paesaggio, le luci di qualche villetta ancora accese, nonostante fosse relativamente tarda notte. Non rispose, limitandosi a scuotere il capo e a stringersi sulle ginocchia il quaderno al quale ora mancava una pagina.
Judith aveva sfiorato quelle pagine, gli aveva donato un fascino tutto nuovo, le aveva depurate e intrise di bellezza. Non l'avrebbe dimenticato. Nemmeno se fosse stato costretto. Ma c'era ancora qualcosa che lo turbava, quello strano tremore sulle labbra di lei, il luccichio sordido dei suoi occhi...

Mentre Christopher borbottava qualcosa tra sé sull'incredulità di fronte al gesto inspiegabile del fratello, Dave chiuse gli occhi.

«Prima ho chiamato un albergo», disse tutto d'un fiato, appoggiando la testa al finestrino.

«Abbiamo una stanza prenotata per stanotte.»

***

Judith raggiunse il tavolo e sbirciò sulla superficie, rovistando tra le riviste sparse sopra di essa, senza trovare niente. Immaginò che Dave si fosse preso gioco di lei. Ma certo, era ovvio. Era stata talmente stupida da fidarsi di uno sconosciuto, lei che era sempre stata un tipo razionale. La cosa gliel'avrebbe fatta pagare? No, di sicuro no. Continuò a darsi della sciocca fino a quando, all'improvviso, qualcosa sul pavimento attirò la sua attenzione. Un foglio. Riconobbe la carta leggermente ingiallita che aveva visto nel quaderno di Dave e si inginocchiò, afferrandolo. C'era una scritta, in stampatello, leggermente tremolante, ma Judith riuscì a capire perfettamente le parole. Un sorriso le incurvò gli angoli delle labbra, mentre si portava una mano davanti alla bocca per contenere lo stupore.

'Domani, alle tre. Non me ne vado, Judith, non adesso che ti ho trovata. Puoi contarci.'

Alla cosa non sarebbe piaciuto, quel piccolo inconveniente.

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