24.
Gli occhi di suo fratello fissavano il vuoto. Spalancati, vitrei.
Immobili.
La luce che vi aveva brillato fino a pochi attimi prima, si era dissolta. Lasciando il posto a un grigiore smorto che aveva oscurato il verde chiaro degli occhi.
Christopher sentiva il freddo, a tratti letale, doloroso; gli perforava ogni lembo di pelle, percorrendola e tagliandola, strappandola come avrebbe fatto una lama seghettata.
Morto. Mio fratello è morto.
Lo shock era stato talmente intenso, un colpo inferto con tale impeto, che si era accasciato sull'asfalto, sbattendo il mento e graffiandolo. Ma non aveva avvertito il minimo dolore. Sembrava, adesso, solo l'eco remota di quello che fino a pochi minuti prima era stato Christopher Mulligan; si sentiva svuotato di qualunque emozione o sensazione. Dave si era sparato, Christopher non riusciva a muovere nemmeno un muscolo. I suoi occhi fissavano, dal basso, la strada. Più avanti, la ragazza che amava sembrava essersi addormentata e si rigirava da una parte all'altra come se il suo sonno fosse disturbato da qualcosa.
Le narici di Christopher erano inondate dall'odore ferroso del sangue, a pochi millimetri dalle sue dita aperte sopra l'asfalto era cosparsa materia cerebrale. Quella di suo fratello. Non riusciva neanche a provare ribrezzo. Non sentiva il bisogno di alzarsi. Tutto ciò che voleva, o forse che il suo cervello ― rifiutandosi di accettare la morte del fratello ― voleva, era rimanere immobile.
«Dave!» singhiozzava sua madre alle sue spalle, la voce rotta dal dolore.
«Figlio mio... »
Lui avrebbe voluto fare una smorfia, gridarle in faccia quanto ipocrita si stesse dimostrando, perché li aveva abbandonati e perché ora era tornata e pretendeva di poter far valere i suoi diritti di madre, ma non aveva la forza. Il corpo di Dave era scosso dalle sue braccia, i tentativi di una madre che non c'era stata per troppo tempo di far tornare in vita il figlio, dettati dall'impossibilità di credere che Dave non ci fosse più. Affondò il volto nella sua spalla, stringendolo forte e dando sfogo al pianto, un pianto che suonò fastidioso alle orecchie di Christopher.
Mio fratello è morto, continuava a pensare, mio fratello si è sparato un colpo di pistola in testa. Era successo davvero? Era veramente andata così o aveva solo immaginato tutto?
Il vuoto che sentiva nel petto, quello nella mente e nei movimenti, gli diedero l'amara e definitiva risposta che cercava. Dave Mulligan era morto, era morto per davvero. E nessuno avrebbe potuto portarlo indietro.
«Maledetta» imprecava Katherine Mulligan. «Maledetta, maledetta.»
Christopher la sentì alzarsi e i suoi passi rimbombarono inspiegabilmente sull'asfalto, mentre si stagliava contro gli albori di quel nuovo giorno appena iniziato e si inginocchiava accanto al corpo di Judith. Dalla sua postazione, Christopher girò lo sguardo e la vide chinarsi verso la fronte della ragazza e deporvi un bacio leggero. Poi le sue dita scostarono i capelli che le erano caduti davanti agli occhi nella foga che l'aveva colpita qualche ora prima, e glieli misero dietro un orecchio.
In quel momento, Christopher sentì altri passi alle sue spalle. Un paio di gambe magre e ossute si abbassarono accanto alla sua testa rovesciata. Istintivamente, tornando a prendere possesso delle sue capacità motorie, sollevò lo sguardo e incontrò quello di una ragazza. Sembrava spaventata, terrorizzata; sul suo viso erano chiaramente visibili i segni della fame e del deterioramento.
«C... Christopher?» lo chiamò in un sussurro rotto dai singhiozzi. Lui la osservò attentamente per quelli che parvero istanti interminabili. Trovò qualcosa, negli occhi di lei, qualcosa che gli entrò all'improvviso nelle vene e che, ancora non lo sapeva, non se ne sarebbe più andato.
Ritmicamente, annuì. La mano della ragazza si posò sopra la sua e in quel momento Christopher percepì una scossa d'adrenalina incendiargli il sangue, che ebbe la capacità di farlo tornare a respirare, a parlare, a muoversi.
«Chi... Sei?»
«Mi chiamo Alicia» rispose lei, aiutandolo ad alzarsi. Christopher si tirò su con un gemito, dovuto all'aver schiacciato le costole contro l'asfalto, e la guardò.
«Che cosa ci fai... qui? »
Un'ombra oscurò lo sguardo di Alicia, e un altro singhiozzo scosse il suo petto.
«È ancora dentro di lei» sibilò all'improvviso la voce di Katherine. Christopher sbatté le palpebre e gettò lo sguardo verso la madre, che stava esaminando... la gola di Judith. Tra il pollice e l'indice della mano destra teneva il suo mento, e l'aveva abbassato per controllare l'interno della gola.
«Che cosa stai cercando?» chiese Alicia, facendosi involontariamente più vicina a Christopher.
«Il demone» rispose schietta Katherine.
« Il demone è ancora dentro di lei.»
«Ma di che diavolo parli?»
Christopher percorse lentamente la distanza che lo separava dalla madre e s'inginocchiò accanto a lei, subito imitato da Alicia.
Il volto di Judith sembrava disteso e liscio, il respiro era regolare e tranquillo e non sembrava esserci traccia della follia che aveva animato le sue azioni fino a qualche ora prima.
«Voi non capite.»
Katherine scosse la testa, passandosi una mano sulla fronte e nascondendovi il viso quando il dolore per la morte di Davon tornò a farsi più vivido.
«C'è qualcuno, dentro Judith» spiegò a bassa voce, stringendo tra le dita i lembi della sua camicetta.
«Qualcuno di oscuro, che non vuole andarsene. Un demone che la spinge a fare cose che lei non vorrebbe, ma che non può rifiutarsi di fare. Lui controlla ogni sua emozione e ogni suo movimento, come e quando vuole.»
Christopher e Alicia la fissavano come allibiti, confusi. Lui sentì un groppo in gola quando ricordò tutti gli strani e folli atteggiamenti che Judith aveva avuto, dopo la morte dei suoi genitori.
«È... posseduta?» azzardò Alicia, con lo sguardo spento e oscurato dal dolore.
«È qualcosa di più. Il demone è cresciuto dentro di lei, l'ha fatta diventare una donna e le ha donato tratti e pensieri propri dell'essere femminile, e adesso è incatenato all'anima di Judith. Per uccidere lui, bisogna uccidere lei.»
Katherine si girò ad osservare Christopher e lesse incredula amarezza nei suoi occhi scuri, la stessa che avviluppava quelli di Alicia. Si rese conto in quel momento di quanto fossero simili, di quanto lo fossero e del motivo per il quale erano così simili, e pensò che quello fosse il momento adatto per raccontare tutta la verità.
«Pensavo di aver trovato la soluzione, un tempo» continuò con durezza, mentre le prime macchine percorrevano l'autostrada alle loro spalle.
«Trovai un diario, tanti anni fa, o meglio, un quaderno. C'erano delle scritte strane, sembrava una calligrafia antica, e ripercorrevano passo dopo passo i primi anni di vita di Judith. All'epoca non sapevo cosa significasse o il motivo per cui qualcuno avrebbe dovuto scrivere la storia della sua vita in un quaderno, ma c'era ogni dettaglio, dal più insignificante al più grande. Sono passati anni, ma sento ancora l'odore della carta, o il profilo di ogni lettera impressa in quel quaderno. Mi faceva paura, perché non avevo mai visto niente di simile, eppure non ne parlai con nessuno. E pochi giorni dopo... »
Katherine si interruppe, chiuse gli occhi e si portò una mano sul cuore. Parvero passare anni prima che li riaprisse e continuasse, e quando lo fece Christopher scorse un velo di lacrime appannarle lo sguardo.
«Pochi giorni dopo, Judith morì. Era solo una bambina, aveva circa cinque anni. La trovammo galleggiante nel lago, con la faccia rivolta verso il basso e la sua palla adagiata sulla riva. Lei era morta, Christopher, era morta! Ma quella stessa notte la trovai nel suo letto. Respirava e dormiva tranquillamente e accanto a lei c'era quel quaderno, aperto su una pagina che recitava le parole "se vuoi che non muoia, devi portarmi in sacrificio due fratelli e sfregiare le loro gambe con quello che ti dirò."
Il giorno dopo quel quaderno sparì e io non lo rividi più. Ma mia figlia, Judith, era tornata dal mondo dei morti e per me contava solo questo.»
Katherine osservò il volto bianco di Christoper; non batteva ciglio. La rivelazione sembrava averlo trasformato in una statua.
«Tua figlia» sussurrò Alicia, portandosi una mano alla bocca. Posò delicatamente una mano sulla spalla di Christopher, ma lui non parve accorgersene.
«Quei segni che mi hai inferto...» azzardò Alicia, sgranando gli occhi. « Che diavolo significano?»
Katherine serrò le labbra.
«Circa un anno dopo, Judith cominciò ad avere strani comportamenti: rompeva cose, urlava nel bel mezzo della notte, i suoi occhi si scurivano quando meno me lo aspettavo. La portai da uno psicologo per capirne la causa, e lui mi disse che c'era qualcosa di strano in quella bambina di soli sei anni, qualcosa che andava oltre la razionale natura delle cose. Ma non seppe dargli una denominazione.
Tempo dopo capii che era stato Lui a scrivere quel messaggio, che era Lui la causa della pazzia di mia figlia. Ma allora ero troppo debole, remissiva, e pensai che non sarei stata in grado di affrontare tutto quello. Presi Dave e suo padre con me e affidammo Judith, sua sorella, alla famiglia accanto alla nostra, i Wilson. Furono ben lieti di ospitarla per qualche tempo, come dissi loro. Non avevano avuto figli e avevano sempre avuto un debole per Judith. Promisi che sarei tornata a prenderla una settimana dopo. Ma non tornai più. Più il tempo passava, più mi rendevo conto che dovevo fare qualcosa, adesso che ero lontana, e così mi ricordai di quello che Lui aveva scritto nel quaderno: dovevo prendere due fratelli e sfregiare le loro gambe per sacrificarle. Era tutto ciò che voleva. Voleva due sacrifici umani, e in cambio avrebbe lasciato andare Judith. Ma quando ti adottai, Christopher, non riuscii a farlo. Non potevo farti questo, anche se così avrei salvato la mia vera figlia.»
Il volto di Christopher era bianco come il marmo. Gli occhi fissi sulla madre, la bocca semi spalancata. Si era sporto in avanti, senza accorgersene, e ora era a pochi centimetri dal volto di Katherine.
«Tu non sei mia madre.»
Fu la consapevolezza più dolorosa che avesse mai provato, peggiore della morte di quello che aveva creduto suo fratello, peggiore del male e del demone che aveva preso possesso di Judith.
«Tu non sei mia madre» ripeté, osservandola ma non guardandola realmente.
«No, Christopher» ammise lei, abbassando gli occhi. «Tua madre è morta tanto tempo fa.»
Lui scosse la testa, incapace di crederle.
«Sei una pazza» sibilò, «hai mentito per tutto questo tempo!»
«L'ho fatto per proteggervi, Christopher. Ogni cosa che abbia mai fatto nella mia vita è stata per proteggervi.»
«Saresti stata pronta a sacrificare due fratelli innocenti... »
«Per salvare mia figlia, sì» replicò Katherine con fermezza.
«L'ho fatto con uno dei due fratelli, ma con l'altro non ci sono riuscita.»
Furono quelle parole, più di qualunque altra cosa, a gettare un velo ghiacciato sul petto di Alicia. Se ne stava immobile, la mano ancora premuta davanti alla bocca, il respiro trattenuto a stento nei polmoni.
L'ho fatto con uno dei due fratelli.
Quei tagli erano ancora lì, ben incisi sulle sue gambe.
«Tu... » sussurrò in preda al panico.
Gli occhi di Katherine si posarono stanchi su di lei.
«Mi dispiace tanto, Alicia. Non ho mai voluto tutto questo. Volevo solo salvare mia figlia.»
Christopher voltò la testa verso Alicia, senza capire a cosa si riferissero.
«Di che diavolo state parlando?»
Gli occhi di Alicia fremettero per contenere le lacrime, il suo petto venne scosso da singhiozzi potenti.
Katherine allungò una mano a toccare la guancia ispida di Christopher, gesto al quale lui, inspiegabilmente, non si sottrasse.
«Sei suo fratello, Christopher» sussurrò con letale certezza.
«Alicia è tua sorella.»
Fine prima parte.
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