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10.

          'Il mistero è meno inquietante del fatuo tentativo di eliminarlo attraverso spiegazioni stupide.'
                                 -Nicolás Gómez Dávila

*

Christopher Mulligan si chiuse alle spalle il pesante portone d'ingresso dello Stable Cottage, il bed&breakfast dove lui e il fratello avevano passato la notte, e si avviò, a piedi, lungo la strada principale.

Era pomeriggio inoltrato, presto la bruma del crepuscolo si sarebbe riversata sulla città. Il freddo pungente e insolito di marzo gli era penetrato nella pelle, nonostante indossasse una giacca pesante, una sciarpa e un berretto.

Scaldandosi le mani all'interno delle tasche, Christopher si guardò intorno alla ricerca di Jason, che aveva lasciato la struttura senza alcuna spiegazione. Un comportamento decisamente insolito da parte di suo fratello; Jason non aveva mai avuto la propensione a sparire inspiegabilmente, tantomeno senza lasciare qualcosa scritto come aveva fatto le rare volte in cui era capitata l'occasione. Christopher si era svegliato un paio d'ore dopo il mezzogiorno e aveva faticato a mettere a fuoco la stanza in cui si trovava, poi, guardandosi intorno aveva realizzato che Jason non c'era più, che il letto era intatto e che le sue cose erano sparite insieme a lui.

Christopher non riusciva a capire, nonostante ci avesse provato insistentemente, dove fosse finito.
Gli aveva mandato tanti di quei messaggi, dopo che lui non aveva risposto a nessuna delle sue chiamate, che probabilmente il suo telefono doveva essere impazzito. Eppure non c'era stata alcuna reazione da parte sua, nessuna risposta, niente di niente. Non sentiva la sua voce dalla sera precedente. Immaginò, a un certo punto, che il motivo più probabile fosse che si trovava in compagnia di Judith, ma in quel caso che senso avrebbe avuto non rispondere al telefono?

Quando si fu allontanato sufficientemente dall'hotel, si inoltrò in un intricato reticolo di strade che costeggiavano svariate villette a schiera, come la casa di Judith. Assorto nei propri pensieri, mentre i passi decisi delle sue scarpe gli scricchiolavano nella testa, si lasciò cadere su una delle tante panchine che costellavano il parco.

Faceva freddo, troppo per essere appena primavera, perciò incassò il capo nel bavero della giacca e accavallò le gambe, domandandosi cosa diavolo potesse essere accaduto a suo fratello. Se avesse avuto il numero di Judith a quell'ora avrebbe tartassato di chiamate anche lei, ma purtroppo la sua sfortuna giocava in vantaggio. Mentre si dondolava in avanti pensò a Jason, a come, nel corso degli anni, fosse cresciuto in lui lo spropositato desiderio di incidere su carta i suoi pensieri, le sue strambe idee e gli altrettanto strani modi di fare e di essere. Lui lo aveva sempre criticato, mai incoraggiato nella sua strada per diventare uno scrittore, lo aveva sempre guardato con una sorta di invidia malcelata di cui tutti, compresi i loro genitori, si erano accorti. Provava invidia perché Jason, nonostante fosse il figlio minore, era sempre stato l'orgoglio della famiglia, anche se nessuno glielo aveva mai dimostrato. Lui, invece, il solito ragazzo stronzo, indifferente ad ogni tipo di sentimento, che si lasciava andare agli eccessi e all'infrangere delle regole. Era stata una sua scelta, nata dall'invidia nei confronti di suo fratello. Non se ne era mai pentito tanto come stava facendo in quel momento. Il pensiero che potesse essere capitato qualcosa di brutto a Jason gli faceva accapponare la pelle, facendo sorgere in lui l'insicurezza e l'incertezza di tutta una vita. Per quanto non lo avesse mai ammesso, come non voleva ammetterlo in quel frangente, teneva al fratello più di quanto fosse normale per un ragazzo del suo stampo, e più di quanto avesse mai tenuto a qualcuno. Jason lo completava, gli dava la spinta per andare avanti, ma non lo avrebbe mai rivelato. Quel sentimento, quel segreto, sarebbe rimasto intrappolato in eterno nel suo cuore.
Non c'era via di scampo.

Con la mano ormai praticamente rigida a causa del freddo pungente, Christopher estrasse il pacchetto di Marlboro Light dalla tasca e ne accese una, riversando nella nicotina tutta l'inquietudine che gli stava logorando lo stomaco. Uno, due, tre tiri e il senso di tranquillità lo avvolse in un caldo manto di calore. Chiuse gli occhi per bearsi di quel momento, per lasciarsi trasportare da quello sbaglio che gli nuoceva ai polmoni, ma che sembrava terribilmente giusto.

Aspirò un'altra boccata, poi la rilasciò con un senso di riempimento-perdita non indifferente e distese le gambe davanti a sé.

Fu in quel momento, quando riaprì gli occhi per accendere un'altra sigaretta, che una mano ruvida si appoggiò sulla sua spalla, da dietro, facendolo trasalire.
Christopher fece per voltarsi ma, prima che gli fosse possibile, il possessore di quella mano si rivelò, aggirando la panchina e sedendosi accanto a lui.

Nonostante trovasse decisamente insolito e fuori luogo quell'atteggiamento, lui non fece obiezioni, limitandosi a fissare uno sguardo attento sul nuovo arrivato.
Era un uomo all'apparenza innocuo, Christopher avrebbe detto che doveva essere al massimo sui sessantacinque anni, con una leggera barba grigia che gli ricopriva solo la parte inferiore del viso e un paio di occhi che un tempo, immaginò, dovevano essere stati azzurri ma che ora erano semplicemente acquosi, come se la consistenza del blu fosse andata sbiadendo nel corso degli anni. Non lo guardava, nonostante Christopher sapesse che lui lo stava squadrando attentamente.

«È piuttosto freddo, questa sera, non trovi?»
Il ragazzo lo guardò, riponendo nel pacchetto la sigaretta che non aveva avuto tempo di accendere. «Inspiegabilmente, sì.»
L'uomo annuì, forse troppo vigorosamente a dispetto dell'età, e appoggiò entrambe le mani sul pomello del bastone che teneva incastrato tra le ginocchia.
«Non ti ho mai visto da queste parti, ragazzo» commentò, cominciando a ticchettare sul bastone con le dita ossute e raggrinzite.
«Come ti chiami?»
La sua voce aveva un che di antico e misterioso, come se, nascosti dietro quel timbro sommesso e rachitico, ci fossero migliaia di segreti.
«Un tempo vivevo qui» rispose Christopher, ignorando deliberatamente la domanda sul suo nome.
«Sono tornato per mio fratello.»

Repentinamente si morse la lingua, dandosi dello sciocco. Stava rivelando troppe informazioni ad un perfetto sconosciuto, per giunta qualcuno dall'aria così misteriosa e di cui, come aveva imparato nella sua vita, era certo di non potersi fidare.

«Tuo fratello, dici... » ripeté il vecchio, battendo la punta del bastone contro il prato. «Quanti anni ha, questo fratello di cui parli?»
Christopher aggrottò la fronte, sporgendosi inconsciamente verso di lui.

«Potrei conoscere il motivo di tanto interessamento verso mio fratello? Non mi sembra che ci conosciamo, perciò non vedo l'urgenza di tutte queste domande.»
«Nessuna urgenza» rispose lui, senza alcun tipo di espressione sul viso. «Soltanto una sana e mera curiosità.»
Il ragazzo si lasciò sfuggire un sorriso, dovuto forse al sollievo di sentire quelle parole, ma subito dopo riportò l'attenzione sul profilo rugoso del vecchio.
«Chiedo scusa per il tono alterato, in questo caso.»
Lui scosse la testa, voltandosi finalmente verso il suo interlocutore.
«Non chiedermi scusa, ragazzo.»

Christopher lo scrutò in silenzio per quelli che sembrarono istanti interminabili, prima di accorgersi che il cielo aveva assunto un colorito più scuro di quando aveva lasciato l'hotel e decidesse che fosse il caso di andare a cercare Jason.
«Mi scusi, mi ha fatto piacere fare la sua... conoscenza, ma devo proprio... »
«Non chiedermi scusa» ripeté l'uomo, ignorandolo. Il ragazzo si accorse che adesso un ghigno contorto era spuntato sulle sue labbra pallide. «Perché io so già chi sei, chi è tuo fratello e conosco il motivo per il quale siete venuti fino a Richmond.»
Christopher ebbe l'impressione che il suo corpo venisse attraversato da un'ondata di terrore, cosa a cui non riuscì a dare un senso, vista l'assurdità delle parole del vecchio.

«Ma di che sta parlando?»
Il vecchio sorrise in modo inquietante, per poi distogliere lo sguardo da lui e riportarlo davanti a sé, nel vuoto.
«Sei proprio sicuro di volerlo sapere, ragazzo? »

Percepì di nuovo quel tono misterioso e fu come se una dozzina di aghi affilati gli premesse l'interno delle orecchie, procurandogli dolore.
«No» sibilò in tono tagliente. «Non voglio sapere altro. La smetta di farneticare e se ne torni a casa. »
Fece per andarsene, ma le dita ossute del vecchio gli afferrarono il polso, stringendolo saldamente.
«Io sono a casa. E tu devi ascoltarmi.»
Il tono categorico con cui pronunciò quelle semplici parole lo mise in allerta, inspiegabilmente. Tentò di divincolarsi, ma le dita di lui erano come artigli: si sentiva una preda intrappolata nelle grinfie di un predatore.
Istintivamente si tirò indietro e il vecchio lesse il panico nei suoi occhi.

«Devi dire a Jason che il ciclo sta per concludersi» disse, fissandolo con decisione. Christopher avvertì il gelo dei suoi occhi, senza che il suo sguardo vacillasse una singola volta.
«Devi dirgli di andarsene da qui e di dimenticare Judith Wilson. Gli rimane poco tempo, Christopher, dovete andarvene subito o sarà troppo tardi. E Judith sarà quella che ne pagherà le conseguenze più care. Perciò, se tieni a tuo fratello e alla sua salvaguardia, convincilo a lasciare la città.»

Christopher lo stava fissando come se non capisse assolutamente di cosa stesse parlando, ed era così. Quali assurde parole stava blaterando? Il polso stretto tra le dita raggrinzite cominciò a dolergli, e si domandò come un uomo di una certa età potesse possedere una tale forza fisica.
«Non ho idea di cosa diavolo lei stia parlando, ma mi lasci andare. Adesso.»
Nemmeno quello valse a piegare lo sguardo e le azioni dell'uomo. Con la sola forza dello sguardo stava riuscendo a intimidirlo più di quanto Christopher fosse disposto ad ammettere.

«Non capisci» sibilò il vecchio, alzandosi e puntandogli il bastone sotto agli occhi. «Nessuno capisce mai, nessuno mi crede mai. Il termine del ciclo è agli sgoccioli. Avete poco tempo. Fai quello che ti ho detto o ne pagherete le conseguenze. Tutti voi.»

«Perché dovrei credere alle sue parole se non so nemmeno di cosa diavolo sta parlando?» replicò Christopher, carico di rabbia. «Mi lasci andare, ho detto. »
«Non perderò tempo a spiegarti qualcosa che non saresti in grado di comprendere» fu la risposta secca dell'altro.
«Solo Jason e Judith hanno il diritto di sapere, il creatore e la creatura. Adesso vai.»

Lasciò andare il suo polso con una mossa repentina, che lo fece indietreggiare violentemente e rischiò quasi di farlo cadere a terra.
Christopher si massaggiò il polso dolorante e gli rivolse uno sguardo carico d'astio, che lui ignorò sul nascere.

«Ricorda le mie parole» disse un'ultima volta, prima di sistemarsi il pesante giaccone consunto e avviarsi lungo la strada, senza voltarsi indietro.

«Il ciclo sta finendo. E vi rimane poco tempo.»

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