80. Jet lag e cognati balordi
L'aeroporto Internazionale di Los Angeles è inaspettatamente bello: sembra un'opera d'arte moderna. Fuori dal Gate, seduti su una panchina illuminata fiocamente da un lampione, osservo confuso gli archi decorativi che sovrastano la struttura principale, brillando blu e violastri. Sono bellissimi. Tanto quanto il mio jet lag.
"Hai mal di testa, vero?" Mi chiede Serafina, sistemata accanto a me. Abbraccia con decisione il suo beauty-case anche se fa un caldo incredibile. Annuisco debolmente e sento i nervi del mio collo urlare. Ho dormito sul volo, davvero. Però non me lo ricordo. L'unica cosa che voglio fare ora è trovare un letto, tirarmi in tutta la mia lunghezza e riaddormentarmi. Possibilmente per un paio di giorni.
"Pure io."
"Non potevano abitare un po' più vicini? Che so, in Maryland."
"Non so se ci sono comunità romanichal in Maryland."
In realtà al momento non mi importa assolutamente. Sono intontito, esausto, ho voglia di addormentarmi su questa dannata panchina. Non ho nemmeno voglia di scrivere ad Anthea o a Ruben per dire loro che sono vivo e vegeto. Desidero semplicemente che la famiglia di Serafina si presenti qui e ora e mi porti in un hotel. Chiedo solo questo.
Improvvisamente il cellulare della mia compagna di disgrazie suona. Con un movimento torpido, Sef lo estrae e trascina con un dito il tasto verde.
"Pronto?"
Una voce femminile parla a voce bassa dall'altro lato. Presumo sia sua madre, ma mi sbaglio.
"Per forza lui, Kisha?" Chiede stancamente. La donna dall'altro lato della chiamata parla ancora. Si blocca. Aggiunge qualcosa. Serafina sospira.
"Fate come volete. Speravo venisse papà."
La voce di quella che credo sia sua sorella ribatte secca. Sef chiude la chiamata, sospira di nuovo e chiude gli occhi, la testa abbandonata sul beauty-case, due ciocche di capelli sfuggite dallo chignon. Mi fa stringere il cuore, nonostante il mio intorpidimento: sembra così fragile, non sono abituata a vederla così, anche se sono sicuro sia causato solo dalla stanchezza del volo.
"Viene a prenderci il marito di mia sorella." Dice, con la bocca schiacciata contro il bauletto. "Che, per la cronaca, io detesto."
"Perché?"
"È molto peggio dei miei fratelli."
Ricordo molto bene che personaggio era suo fratello. Quello che mi ha fissato come un pitbull nell'androne del mio posto di lavoro. Grande.
"Immagino che sia una specie di mastino."
"È uno stronzo."
"Ah. Sempre meglio."
Serafina sembra essersi un poco risvegliata: alza la testa e mi guarda, ma non sta davvero fissando i suoi occhi su di me. Pare pensosa e anche piuttosto nervosa. Spero che non sia per quel tizio che sarà il nostro taxista per stasera.
"Sef?"
"Eh?"
"Sei preoccupata per lui?"
Si stringe nelle spalle. "Lo conosco. Era già il fidanzato di mia sorella quando me ne sono andata."
"E?"
"Non mi fa affatto piacere rivederlo. In realtà speravo fosse morto."
Chiude di nuovo gli occhi, sospira e alza il viso verso il cielo terso. Sono pentito di essere qui, con lei. Vorrei non averla convinta ad andare. Vorrei che avesse rinunciato a questa possibilità. Cosa potrà mai ricavarne, se non guai? Cosa troveremo di buono in questo luogo, se appena arrivati siamo già circondati da guai? Il mio mal di testa sta per parlare al posto mio e dirle di rientrare in aeroporto e acquistare il primo volo last minute per New York, ma Serafina volta delicatamente il viso verso di me e, con una strana luce negli occhi, mormora: "Lo sai che la bambina avrà tre nomi?"
Mi imbambolo. Non capisco cosa questo c'entri con noi.
"Che?"
"La bambina. Mia nipote. Come ogni bambino romanichal porterà tre nomi."
"Tipo Mary Anne Louise?" Abbozzo, senza capire. Sef sorride, scuote la testa. Sembra quasi affascinata da quello che sta dicendo.
"Ogni bambino romanichal ha tre nomi. Un nome dato per battesimo vero e proprio, in questo caso Marie-Jo. Un nome romani, che non potrà essere usato se non in privato. Un nome segreto, che conosce solo la madre." Si volta a guardarsi attorno, vagamente confusa. "Che solo la madre conoscerà per tutta la vita. Proteggendolo."
"Perché? A cosa serve il nome segreto?"
"A confondere il maligno. Solo una madre può proteggere dal male il proprio bambino. Per tutta la sua vita, gli spiriti cattivi crederanno che il nome della persona sia quello con cui è stata battezzata. E sbaglieranno. Non avranno mai la sua anima, perché il nome segreto è nel cuore di sua madre."
La fisso, silenziosamente. Lei mi guarda, dopo essersi guardata in giro. Sembra confusa quanto me. È questo che le fa il jet lag? Parlare di fatti interessanti riguardo la sua etnia? Eppure ammetto di aver trovato la cosa molto affascinante.
"Quindi solo tua madre conosce il tuo vero nome."
"E lo custodisce."
"Sì, immagino di sì."
Ci sorridiamo, ma nell'esatto istante in cui trovo la forza per chiederle se ha voglia di prendere un cappuccino, siamo illuminati crudelmente dai fari di un'auto di grossa cilindrata. Mi volto, con il sospetto di star per incrociare lo sguardo del gypsy che tanto non piace a Serafina in un qualche grosso SUV di ultima generazione e invece dietro di noi si è appena fermato un polverosissimo pick-up rosso ruggine. Serafina si porta una mano agli occhi per schermarli e l'uomo, che sicuramente non è felicissimo di essere lì, suona il clacson con poca grazia.
"Muovetevi!" Ci ingiunge, con un vocione graffiante, da fumatore. Sef si alza con un sospiro e, probabilmente per il quieto vivere, non ribatte come di sicuro vorrebbe. Mi fa cenno di prendere il mio piccolo trolley e si avvia verso il mezzo. Da vicino è ancora peggio: c'è polvere di calcinacci ovunque. Con fatica spingo la mia valigia sul retro del pick-up, chiedendomi in che condizioni la ritroverò una volta arrivati. Costringe il beauty-case di Serafina sul mio trolley perché non voglio che si sporchi.
Quando finalmente ci sediamo nell'abitacolo, scopro che l'uomo con il vocione non è altro che un piccolo, robusto barilotto di grasso. Ha la barba fatta male e puzza di fumo, birra e sudore. In confronto Cutter Celli sembrava un giovin signore della corte inglese.
"Guarda guarda chi è tornato all'ovile..." Sghignazza, non appena Serafina sbatte la portiera dietro di sé. Ha addirittura un paio di denti d'oro, orrore. "La prima tra le pecore Celli."
"È sempre un piacere rivederti, River." Risponde ironica Serafina. "Non ti è ancora venuto un cancro al polmone? Lo sai quanto ci sperassi."
Non so come mai ma mi sento in una condizione davvero molto pericolosa. Soprattutto perché sono seduto in mezzo ai due. Il sorriso dell'uomo si fa ancora più sgradevole.
"Vedo che sei rimasta la cagna mordace che eri un tempo."
"Lo sono ancora di più."
"L'ho sempre detto a tuo padre. Avrebbe dovuto piegarti prima, come ho fatto io con tua sorella. È questo che succede quando a una donna si danno troppe libertà: diventa una cagna ingrata e ingorda."
So che lei sta stritolando la sua voglia di mettergli le mani addosso. Lo capisco da come ha stretto le braccia attorno al corpo, nel tentativo di trattenersi. Il suo solito gesto che tradisce il nervosismo. Il buzzurro intanto mi rifila per la prima volta un'occhiata, ma sembra solo divertito. Eccessivamente divertito. Come se stesse guardando una scimmietta da compagnia. Ridacchia divertito e si mette a fischiettare, mentre riaccende il motore del pick-up.
"Kisha mi ha detto che non tornerai a casa. C'era da aspettarselo." Dice soddisfatto, come se tutto ciò dimostrasse la veridicità della sua personalissima teoria.
Serafina cava dalla tasca della sua camicia un foglietto stampato e glielo sbatte sul cruscotto.
"A questo indirizzo."
River allunga il suo tozzo collo e legge. Sghignazza. "L'InterContinental? Non ti fai mancare proprio niente, eh..."
Serafina non risponde. Non so come faccia a mantenere la calma, ma ne sono contento. Spero che questo hotel sia vicinissimo e che sia l'ultima volta che vedo questo uomo. Purtroppo mi sbaglio.
"Quindi dopo quasi venticinque anni torni a casa." Dice allegro, mentre guida nella città con quel suo mezzo scalcagnato. "E ti porti dietro il tuo fidanzatino giallo."
Sapevo che sarei stato tirato in mezzo. Maledizione. Lancio un'occhiata alla mia amica, cercando di capire come reagire a queste provocazioni. Lei volta il viso verso il finestrino. Opta per il silenzio.
Non contento di questo, il balordo prosegue: "Sarà un vero spasso vederti al battesimo, Seraph. Sarà un vero onore assistere alla tua entrata e alla faccia che faranno tutti."
Sento gli angeli cantare quando, in fondo a una strada piena di luci, intravedo il nome a grandi lettere dorate dell'hotel. Forse siamo salvi. È solo questo che Serafina sta aspettando, lo so. Vuole solo scendere da quel pick-up, proprio come me. Ti prego, Dio: aiutaci.
River impala davanti all'InterContinental e ancora prima che ci dica di scendere, lei ha già aperto la portiera e non gliela risbatte sul muso solo perché ci sono io in mezzo. Questo diversivo purtroppo dà il tempo al romanichal di dire un'ultima cosa.
"Poi non dirmi che non te l'avevo detto: tutti i presenti che hai rifiutato penseranno che ti piacciono i cazzi piccoli." Dice sorridendo, indicandomi. Tocca a me sbattergli la portiera sul grugno e lo faccio anche con una certa soddisfazione. Lo vediamo sgasare via senza rispondere al suo saluto provocatorio fatto da una risata e da una strombazzata, che lascia interdetti i due portieri dell'hotel. Appena sono certo che la bestia sia tornata a scorrazzare libera per le strade di Los Angeles, mi volto verso Serafina. Penso di essere pronto a fronteggiare la personificazione dell'ira, della furia e della vendetta, pronta a lanciare receptionist e valigie come in una grande danza drammatica dell'Opera.
Invece Sef ha gli occhi gonfi di lacrime rabbiose e quando viene scossa da un singhiozzo, non so davvero che dire o che fare. Vorrei solo averle detto di acquistare quel maledetto biglietto del volo last minute per tornare a New York.
Solo questo.
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