79. Verso Los Gypsyland
Nonostante tutti i pronostici negativi e un oroscopo che lascia interdetti, venerdì sera giunge e con lui arriva anche il volo prenotato per Los Angeles: otto ore ininterrotte di viaggio notturno. Sono contento di non dover volare di giorno, ma tremo al pensiero del jet lag che mi coglierà una volta arrivato. Sto per attraversare letteralmente un continente ed è la prima volta che succede. Il Michigan non è poi così lontano da New York.
"Spero che tu abbia parlato con uno psicologo prima di tutto questo."
Ah, Serafina. Che creatura meravigliosa.
"Più che altro ho pregato."
"Bene. Meglio. In questo caso, in effetti, ci serve un dio, non uno psicologo."
Accenna un sorriso che è in realtà un ringhio silenzioso, dopodiché inizia a smanettare con il piccolo schermo touch sullo schienale davanti a sé.
Ruben mi ha accompagnato all'aeroporto di New York, circa due ore fa. Ci siamo salutati con un abbraccio e lui mi ha augurato di non venire mangiato vivo dai gypsy. Fortunatamente Serafina non era ancora arrivata, anche se dubito che se la sarebbe presa più di tanto, visto che secondo me lo pensa anche lei.
Stiamo viaggiando da quindici minuti senza nemmeno uno scossone. Eccellente.
Dopo aver fatto il check-in e seguito le solite procedure, ci siamo ritrovati in un bel posticino comodo provvisto anche di film. Io non ci penso neanche a mettermi a leggere i titoli disponibili: questa è probabilmente l'unica occasione che ho per riposare a dovere. Non so che cosa potrebbero avere in mente come festeggiamenti, questi romanichal.
"Hai detto alla tua ragazza che parti, vero?"
"Certo."
"Cosa ha detto?"
"Di fare buon viaggio."
Non sto mentendo: Anthea mi ha augurato di divertirmi e ha promesso di tornare per il prossimo weekend visto che questo dovrà essere saltato. Non vedrò nemmeno i miei vecchietti e mi chiedo come Jacob stia, dopo il suo exploit meraviglioso al Bat mitzvah della nipote. Mi domando per l'ennesima volta se riuscirò a trovarmi a mio agio a questo matrimonio, ops, battesimo gypsy. Lo spero tanto.
Serafina continua a sfogliare titoli, sempre più crucciata. Lo so che non sta davvero leggendo i nomi: sta sicuramente pensando ad altro.
"Sei preoccupata, Sef?"
"Tu non lo saresti?"
"Eccome." Confermo. "Eccome se lo sarei."
Lei rimane zitta ancora per un po', poi sbuffa, si spinge contro lo schienale del sedile e chiude gli occhi. Rimane lì così, con le guance gonfie d'aria e l'espressione infastidita. È buffa, ma non rido. Non voglio che se la prenda con me.
"Non ti posso rapire e segregarti." Dico, tentando di essere spiritoso e fallendo miseramente.
"Mi pare un po' difficile che ci possano riuscire."
"Allora perché sei così arrabbiata? Hai paura di quello che potranno dire tuo padre o tuo fratello? Guarda i lati positivi: non faranno sfuriate imbarazzanti nel tuo posto di lavoro."
"Non è nemmeno quello."
"Allora cosa?"
"La gente parla, Jess."
"E anche parecchio. Ma lo fanno tutti."
"Nel mondo dei miei genitori queste chiacchiere possono portare a sgradite conseguenze."
"Cioè?" Aggrotto la fronte. Lei sbuffa ancora, sempre più insofferente. Si passa entrambe le mani sulla fronte e si aggiusta lo chignon di capelli. Ha un profilo così elegante che sembra scolpito.
"Diciamo che le chiacchiere possono farti avere tutte le carte giuste per essere ostracizzato dalla comunità."
"Ma a te frega davvero qualcosa?"
"A me no. A mia madre sì."
"Quindi sei preoccupata per lei?"
"Sono la figlia ribelle che all'alba dei suoi quasi quarant'anni torna a casa per la prima volta. Non sposata. Con un lavoro che normalmente neanche gli uomini gypsy potrebbero mai sognarsi di avere. Vestita in un determinato modo. Con un amico cinese al seguito. Come pensi che i vicini possano prendere la questione?"
"Spero con sportività."
"E invece ti sbagli."
"Ma tua madre avrà pensato anche a queste conseguenze, no?"
"Sicuramente. Ma probabilmente ha creduto che riallacciare i rapporti con me sarebbe stato più importante."
"Questo le fa onore. Davvero."
Sono sincero: se davvero il mondo romanichal trova così importante il giudizio degli altri, anche sua madre può essere considerata una ribelle. Ha messo al primo posto la figlia. La signora non mi sta poi così antipatica.
"Allo stesso tempo ho anche paura che il suo fine ultimo sia farmi cambiare idea."
"Ma non saresti troppo vecchia per sposarti, comunque?"
"Sì, ma non per occuparmi a tempo pieno della casa e dei miei nipoti."
"Oh Signore." Dico, senza trattenermi. Quantomeno riesco a farla sorridere. Torna a far scorrere film, ma ogni tanto mi guarda.
"Comunque sono contenta che tu sia qui con me. Spero davvero che non te ne pentirai."
"Non penso che succederà, Sef. In fondo l'ho deciso io. Anzi, l'ho proposto io."
"Tra l'essere coraggiosi e folli c'è un confine davvero molto sottile." Mi risponde lei, smettendo di sorridere. "Davvero molto sottile."
"Ma non mi dire."
"Non vuoi vedere un film?"
"No. Voglio dormire."
"Fai come vuoi."
Si infila le cuffie e non mi considera più. Che bei modi.
Chiudo gli occhi e mi concentro: ho otto ore davanti a me. Cerchiamo di far fruttare questo dannato riposo prima che sia troppo tardi.
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