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66. Le occhiaie del raggio di sole

Sabato mattina si apre in modo molto bizzarro: vengo svegliato da un trillo costante e arrabbiato, localizzato a livello del mio comodino. All'inizio aggrotto la fronte e mi dico che sto sognando, dal momento che sono certo di non aver puntato nessuna sveglia. Poi però il trillo sembra crescere d'intensità, diventando sempre più pressante e invadente. Mi costringo ad aprire gli occhi e finalmente noto che è in arrivo una chiamata. Allungo goffamente una mano, afferrò il cellulare e dopo un attimo di dubbio sull'esistenza del mio pollice opponibile, rispondo.

"Pronto?" Gracchio, senza neanche aver controllato il nome.

"Ciao, Jess. Scusa se ti disturbo."

Scatto immediatamente seduto nel letto, all'improvviso sveglio. Per un secondo vedo tutto nero e ho una fitta di dolore alla cervicale, ma mi riprendo in tempi record. 

"Thea, ciao. Dimmi." Biascico.

"Stavi dormendo?"

"No, no. Dimmi tutto."

"Sono in stazione. Posso venire da te?"

La mia mente ancora annebbiata ci mette un po' a processare le parole che ho appena sentito, ma quando ci riesce, mi rendo conto di diverse cose. Primo: per tutta la settimana non si era parlato di vederci. Secondo: è la prima volta che Anthea si autoinvita a casa mia. Terzo: ha di nuovo la voce esausta. 

"È successo qualcosa?"

"No, no. È solo che riesco a..."

"Certo che puoi venire. Sono successi un po' di casini, sai, come ti ho detto per Eirene e..."

"Se preferisci che io non venga, non c'è problema."

Mi interrompe a voce alta, ma non offesa, come se avesse improvvisamente rivalutato la questione. 

"In effetti è stata una mossa davvero sciocca chiamarti ora per dirti che tra poco sarò da te. Scusa."

"Sai che sei sempre la benvenuta." Rispondo con voce calma, anche se ho il batticuore dall'orrore di pensare che voglia cambiare idea e non venire più. Nonostante il senso di disagio che ho provato durante tutta la settimana a causa dei diversi guai di cui sono stato spettatore e della questione del nostro litigio, mi è mancata davvero molto. Mi è dispiaciuto di come abbiamo trascorso il passato weekend, sempre sul filo della tensione, incapaci di apprezzare a pieno la possibilità di essere assieme. Voglio assolutamente rimediare.  

"Io..."

"Vieni." Le dico. Per poi aggiungere: "Ti prego."

Anthea rimane in silenzio per un secondo, ma vengo invaso dal sollievo quando risponde e colgo un sorriso nella sua voce.

"In realtà ero già salita sul treno."

"Sei una bugiarda!"

Ride e io mi sento molto più leggero. 

"Sono molto brava a mentire."

"Lo so bene."

"Ma che dici?"

"Vengo a prenderti in stazione. Ora scusa ma devo chiudere."

"Perché?"

"Mi devo alzare dal letto."

"Ah! Allora anche tu mentivi!"

Rido, mentre sposto le gambe dal materasso al pavimento fresco. 

"Siamo in due a essere ottimi bugiardi."

***

Sta diventando una piacevole abitudine andare a Penn Station. Non ho mai frequentato così tanto la zona della stazione, ma penso di aver mai collegato i binari all'arrivo della gioia. È divertente come alcune correlazioni siano così bizzarre. Stazione, felicità. Ed è sempre stato così, in realtà: anche quando sono giunto per la prima volta a New York, l'ho fatto in treno. L'inizio della mia libertà e della mia nuova vita.

Il treno proveniente dal New Jersey arriva puntuale e Anthea ne scende radiosa e pallida come un tiepido raggio di sole, in un corto abito bianco. Mi sorride luminosa, ma non mi sfuggono le occhiaie scure sotto i suoi occhi color pervinca e il modo in cui la stanchezza trapela dalle sue labbra. Ha la faccia di una che non dorme da almeno due notti.

"Sei stata sveglia a scrivere la tesi?" Le domando, girando attorno alla questione che più mi preme, mentre mi abbraccia per salutarmi.

"Diciamo di sì." Risponde lei, sempre con quel sorriso sfuggente, così poco comprensibile. La guardo e faccio per insistere, ma lei si carica in spalla la sua borsa e mi chiede: "Andiamo?"

Le tolgo il bagaglio dalle braccia con un pelo di indignazione, cosa che le fa ridere.

"Sai, mi devi aggiornare su parecchie cose." Mi dice. "Mi sembra di capire che hai avuto una settimana parecchio impegnativa."

Ripenso al fatto che mi aveva fatto una promessa, l'ultima volta che ci siamo visti. Una promessa che al momento sembra aver deliberatamente scordato. Non che mi aspettassi che appena scesa dal treno cominciasse a raccontarmi tutta la sua vita, ma ora sembra proprio immemore di tutto quanto. Mi dico che c'è tempo per rivangare il discorso perciò, mentre andiamo in mentre verso casa mia, la aggiorno sui fatti degli ultimi giorni.

"Mi duole dirlo, ma nessuno di questi è particolarmente felice." Decreto alla fine, anche se mi sento decisamente più libero di respirare ora che ho condiviso le mie tristi notizie con lei. Anthea ha smesso di sorridere e sembra pensosa. Mi rendo conto che la sua pelle non ha la stessa rosea luminosità di sempre: sembra in qualche modo ingrigita, forse leggermente giallognola. Per la prima volta mi passa per la testa una parola: malattia. Reprimo immediatamente quel pensierino così nefasto e cerco di ritrovare un'espressione normale nel momento in cui lei mi guarda.

"Mi dispiace. Per tutto." Dice sinceramente. "È proprio un bel casino."

"Sì. Lo è."

"Ruben è a casa?"

"Penso di sì. Teoricamente stasera ci sarebbe la serata Just Dance. Ma non penso che si terrà. Sai... per la questione di Eirene."

Anthea annuisce comprensiva e accenna un sorriso. Questa volta prendo il coraggio a due mani.

"Tu non stai molto bene, vero?" Le chiedo a bassa voce. Noto che trasalisce, appena appena, silenziosamente come il fremito di un soffione. Però mi fissa, non distoglie lo sguardo.

"Sono solo stanca."

"Hai una faccia ben più che stanca."

"La mia situazione famigliare è molto pesante."

"Lo so, ma..."

La voce automatica della metro ci avvisa che siamo arrivati. Anthea schizza in piedi e in men che non si dica è già uscita dal vagone. Arriviamo a casa mia senza aggiungere altro al riguardo. Io mi sento zittito e non ho più il coraggio di insistere.

"Anthea? Anthea! Che ci fai qui?" Prorompe Bub, non appena varchiamo la porta. Lei sorride e va ad abbracciarlo. Ruben alza gli occhi su di me, confuso. Io mi stringo nelle spalle.

"Non eri in casa, stamattina." Spiego. "E lei mi ha chiamato oggi."

"Sì, beh, non importa." Taglia corto lui, ricambiando l'abbraccio. "Sono contento che tu sia qui."

"Dove sei andato questa mattina?" Indaga subito lei.

"Amos e Ford. Immagino che Jess ti abbia già informato."

"Sì."

"Bene."

"Si sa qualcosa?" Domando. Ruben scuote la testa e sospira. 

"Però forse sono riusciti a prenotare un volo, anche se è per Brasilia."

"Riusciranno ad arrivare a Manaus?"

"Lo spero. L'università non sa niente. Boh. Non so cosa dire. Ma la sicurezza? Non era sempre al primo posto in questo cazzo di Paese?"

"Non per quelli come te." Decreta Anthea, andando a recuperare il suo borsone. "Ho fatto altri cristalli."

"Il pedaggio." Sorride Ruben. "Grande, grazie. Forse però è meglio se non li consumiamo tutti ora."

Lo guardo e lui accenna a un goffo passetto di danza. "Stasera? Non ti ricordi?"

"Ah, andiamo lo stesso?"

"Sì. Così vuole Sam. Dice che stiamo tutti passando troppo tempo a deprimerci e che una serata non ucciderà nessuno, men che meno Eirene."

Non saprei, in realtà. So di essere pesante, ma mi sembra strano vivere la mia vita in modo normale quando accadono cose spiacevoli ai miei amici. È come se non fossi sicuro di essere rispettoso nei loro confronti. Al posto di divertirmi, dovrei preoccuparmi, no? Nella mia testa funziona così. Per questo mi sembra così strano che Sam possa organizzare una normale serata, anche se Eirene non ci ha mai partecipato o Steph nemmeno la conosce. Mi sento lievemente turbato, ma poi penso al fatto che sarà la prima serata Just Dance con Anthea, un modo per consacrare la nostra relazione e l'amicizia con gli altri. Cerco di concentrarmi su questo aspetto per rendere meno importanti gli altri due, anche se non mi riesce benissimo. 

"Quindi ci siete, vero?" Domanda Ruben, che ha sicuramente notato la mia faccia pensosa. Lancio uno sguardo a Thea e lei alza entrambi i pollici, con un sorrisone. Bene, almeno lei mi sembra entusiasta.

"Il capo ha detto sì."

"Grande! Cosa ti piace ballare, Anthea?"

"Assolutamente niente. Sono negata."

"Allora farò in modo di rifilarti il trash più trash con la mia divinità preferita."

"Chi?"

"Nicki Minaj."

"Ah già, domanda stupida."

Mi chiedo se la stanchezza di Anthea non sia davvero il semplice riflesso della sua complessa situazione personale. Per il resto non sembra malata: è solo stanca. Sì, è solo questo, è tutto qui. Anche di questo mi convinco mentre la guardo estrarre il solito tupperware pieno di cristalli di zucchero, chiedendomi cosa mai potrà derivare dalla strana serata che ci aspetta. 

 



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