62. Eirene, dove sei?
La settimana si trascina stanca e nervosa.
Non ci sono notizie da parte di Eirene e Amos e Ford hanno avuto dei problemi con il volo prenotato domenica. A quanto sembra, attualmente è impossibile arrivare a Manaus a causa di alcune proteste locali per lo sfruttamento della foresta che circonda la città. Ovviamente la cosa ha gettato ancora più ombre sulla scomparsa della nostra amica e reso più angosciati i suoi due coinquilini.
Anche io sono molto preoccupato. Mi pare che in questi giorni la mia vita abbia preso una piega strana, vagamente surreale. Il litigio con Anthea ha oscurato per la prima volta la mia idilliaca idea dell'amore e ogni volta che le scrivo o la chiamo, lo stomaco mi si ribalta. Ho sempre un vago senso di nausea e la sensazione che il mio cervello abbia già iniziato a distorcere quanto avvenuto in stazione. Ho fatto un paio di incubi al riguardo e ora mi sento incredibilmente a disagio, anche se cerco di non farlo notare ad Anthea.
Thea. Thea si comporta come se non fosse successo niente e forse è così che bisognerebbe fare, dal momento che non è poi accaduta questa gran cosa. La invidio per la sua elasticità, anche a me piacerebbe evitarmi tutte queste inutili pare. Anche se ovviamente è impossibile.
Non che la situazione che ho in casa aiuti: Ruben è tesissimo, la sua capacità di adeguarsi alle situazioni è messa a dura prova, tra Tanya e Eirene. Sapevo che lui e la ragazza delle api erano legati, ma ora il mio adorabile coinquilino se ne sta facendo una malattia: è in costante comunicazione con Amos e Ford per sapere se hanno delle novità. Li tampina tanto che mercoledì, dopo l'ennesima chiamata, sono esplosi e gli hanno detto che gli telefoneranno loro, se sapranno qualcosa. Non li sentiamo da ventiquattro ore e Ruben è a dir poco afflitto. Quando torno a casa, giovedì sera, lo trovo seduto in cucina, con in mano il cellulare. Mi accorgo che ha gli occhiali appannati prima ancora che alzi gli occhi su di me.
"Hey." Mi dice, con lo strano timbro di voce di quando si ha una bolla di saliva in gola. "Come va?"
"Come stai?" Gli chiedo, sedendomi davanti a lui dopo aver abbandonato la tracolla contro lo stipite della porta. Bub si stringe nelle spalle, ma poi alza con il dorso della mano gli occhiali e si asciuga gli occhi.
"Non mi hanno chiamato." Dice semplicemente, senza alcun bisogno di spiegare chi e perché. Sospiro triste e allungo una mano per stringere la sua.
"Vedrai che sta bene."
"Jess, ci sono stati degli scontri a Manaus."
"E quindi? Eirene è nella foresta, mica in città."
"Degli scontri tra signori della droga."
Mi guarda come se si aspettasse che io capisca il suo discorso. Peccato che a me sembri solo più rassicurante.
"Meglio."
"Meglio cosa? Sei scemo?"
"I signori della droga non penso guardino le biologhe, Bub."
"I signori della droga utilizzano la foresta come il loro centro raccolta di merce, Jess." Ribatte lui, con il mio stesso tono. Lo fisso in silenzio, cercando di capire la faccenda. Improvvisamente comprendo il perché dei suoi occhi lucidi.
"In che guaio l'hanno cacciata." Sussurro, chiedendomi perché l'università non abbia fatto dei controlli della zona, prima di spedirci lì alcuni dei suoi ricercatori.
"Non lo so. A me interessa solo sapere se sta bene." Ribatte lui, riprendendo in mano il cellulare. Sta scorrendo delle foto della sua galleria e noto che in ognuna di quelle c'è Eirene. Ne ha una collezione, quasi tutte scattate alle feste di dipartimento. Sto in silenzio, lo sguardo posato sullo schermo. Ruben e Eirene. Sam, Bub e Eirene. Eirene da sola con in mano una forchetta. Sam che abbraccia Eirene.
Eirene, Eirene, Eirene.
"Voleva lasciare." Dice a un certo punto. Alzo gli occhi sul suo viso, ma lui non mi sta guardando. Si è fermato su una foto a figura intera di lei: i capelli tirati nel suo solito codino a nodo, un maglione verde, un paio di sneakers grigie. Le mani dietro la schiena e un sorriso nervoso, a disagio davanti alla fotocamera. Una ragazza normalissima. Non dava affatto a vedere il male che aveva dentro.
"Che cosa?" Chiedo.
"Tutto. Voleva lasciare l'università." Risponde. "Non ce la faceva più."
Lo fisso, elaborando le sue parole. Ruben continua, senza attendere un commento.
"La situazione nel suo laboratorio era molto peggiore di quanto sembrasse. Erano saltati i fondi per il progetto per cui era associata."
"Stava per perdere il lavoro?"
"Ha passato gli ultimi due mesi a fare analisi per altri, come un tecnico di laboratorio. O meglio, un tecnico di laboratorio schiavo, vista la miseria che le davano."
"Non pensavo che la faccenda fosse così grave."
"Già. Nessuno lo sapeva."
"In che senso nessuno?"
Ruben questa volta mi guarda negli occhi. "Ne ha parlato solo con me."
"Neanche con Amos e Ford?"
"No, non avrebbero capito."
"Come no, vivo assieme da una vita."
"Non avrebbero capito cosa significa vivere in un laboratorio in cui non ti vogliono, Jess. Nessuno le rivolgeva la parola, da quando Crystal aveva iniziato a chiacchierare di lei a pranzo. Ti pare normale? A me no. Era considerata stupida. Una che aveva sbagliato tutto nella vita. Per questo voleva lasciare. Andarsene via."
"Ma..."
Non mi lascia continuare. È passato dalla tristezza alla rabbia. "Sai, è una tipa che tiene molto alla propria dignità, Eirene. Una di quelle persone che preferirebbero morire piuttosto che rendersi ridicole. Tu cosa ne dici? Come credi che si sentisse?"
"Male."
"No. Molto peggio che male. Aveva iniziato a considerare la vita intollerabile."
Cerco di comprendere Eirene, ma il solo pensiero di calarmi nell'incubo che Ruben mi sta descrivendo me ne fa immediatamente passare la voglia. Sospiro, poso il viso tra le mani.
"Amos e Ford potevano aiutarla."
"C'è un limite a quello che si può chiedere agli altri, portando rispetto alla propria dignità."
"Non capisco perché."
"Perché sentirsi dei falliti è atroce, Jess. Ci siamo tutti sentiti dei falliti, prima o poi capita a ognuno di noi. Ma quando ci vivi dentro fino al collo da più di un anno, beh, lasciami dire che capisco perfettamente perché Ren non abbia chiesto aiuto."
"Però ne ha parlato con te."
"Non ha potuto fare altro, quando l'ho trovata nella camera fredda a piangere come una disperata."
Mi zittisco, conscio che le verità che Bub mi ha appena rivelato non fanno altro che peggiorare l'idea che ho costruito delle condizioni di Eirene. Ora sì che ho paura che sia successo qualcosa e non parlo solo di eventi esterni a lei.
"È una brava ragazza." Mormora. "Troppo ingenua, ma brava."
"Molto debole." Commento, con la sensazione di essere un ipocrita, essendo io il primo debole del gruppo. Eppure Ruben annuisce e ribatte: "Avrebbe dovuto rispondere a Crystal. Mandarla a fanculo. Dirle di farsi i fatti suoi. Ma tutto quello che le usciva era un certo, Crystal, lo faccio subito. E ora non so se sarà in grado di tornare a casa. Non lo so proprio. Quando ha smesso di mangiare, tutti hanno pensato che fosse per mal d'amore, per quella mezza fighetta di Léo. Ma probabilmente la questione è più importante. Più profonda. E oscura."
Abbandona il cellulare con un tonfo e schiaccia le dita sotto gli occhiali, sugli occhi. Tira su col naso, scuotendo leggermente la testa.
"Dio, Jess. Perché succedono queste cose?"
"Se lo sapessimo, potremmo farci qualcosa."
"Beh, io lo sapevo. Sapevo che non stava bene."
"Ma non potevi sapere che la sua partenza avrebbe portato a tutti questi problemi."
"Forse avrei potuto fare qualcosa in laboratorio. Avrei potuto dire a Crystal di lasciarla stare."
"Ma l'hai detto tu: non te l'avrebbe permesso."
"Già. Dignità. Peccato che la dignità l'abbia strozzata come un cappio."
Ora voglio sapere una cosa. Una cosa che non ho mai capito.
"Perché la odia così tanto?" Chiedo. "Crystal, dico. Perché non la sopporta?"
Ruben fa una smorfia in cui vedo riflesso il rancore che nasconde per la bellissima e crudele ragazza dei capelli rossi. "Per lo stesso motivo per cui i bambini incendiano i formicai o torturano i ragni."
"Perché le fa schifo?"
"No. Perché è divertente avere qualcuno di cui disporre come si vuole. La sensazione inebriante del potere. Crystal ne è un'appassionata, temo. Non lo so, a malapena so chi cazzo sia. So solo che la odio, perché è una stronza e lei sì che spero che se la mangino, i cannibali dell'Amazzonia."
Non posso fare a meno di sorridere, nonostante la situazione. Ruben però non ricambia. Spegne il telefono e si alza.
"Dove vai?" Gli chiedo, seguendolo con lo sguardo.
"Da Amos. Visto che non rispondono al cellulare, mi presenterò direttamente a casa loro."
"Ma ti hanno detto che..."
"Non me ne frega un cazzo, Jess! Dio, io amo quella ragazza! La amo tanto quanto loro! Non sono un amico di serie B, voglio interessarmi anche io a questa storia! Che lo vogliano o no."
Esce senza dire altro e mi lascia solo a riflettere su quanto poco sia sveglio. Conosco Eirene da un sacco di tempo e da ancora più anni la conoscono Amos e Ford. Eppure solo Ruben, per puro caso, è riuscito a scucirle un briciolo di verità su quello che ha dentro. Quello che ha dentro... un eufemismo per parlare di qualcosa di spaventoso. Non vorrei, ma il mio primo pensiero corre alla depressione. Oh, siamo vecchi conoscenti, ma so che, pur avendola sperimentata, non si può mai dire di conoscerla per davvero. In ogni persona può prendere pieghe inaspettate, tante quante sono le personalità al mondo.
Forse in Eirene si stava manifestando così: con il dimagrimento e la sofferenza silenziosa, l'incapacità di opporsi. E nessuno di noi l'ha capito.
Perché non hai parlato, Ren? Perché non hai messo da parte la dignità? E ora, dove sei finita?
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