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40. Ricco gusto armeno

Ruben si è davvero superato questa sera. Non pensavo che potesse tenere così tanto alla mia storia, ma a quanto pare per lui è importante, perché ha cucinato molto e molto bene. Sul tavolo della cucina, apparecchiato con la nostra tovaglia migliore e i piatti che ha ricevuto in dono dalla sua apprensiva mamma - non puoi pensare di avere una casa tua senza un servizio di piatti con cui accogliere gli ospiti! - c'è di tutto e di più. Un vassoio di dolma, involtini di carne racchiusi in foglie di vite, è stato posizionato a fianco di una zuppiera piena di arganak, una zuppa di pollo con succo di limone e tuorli sbattuti. In un piatto al capotavola non occupato fuma una piccola valanga di fettine di arrosto di manzo alle erbe, attorno alla quale è stato sistemato un giardinetto di patate, carote e peperoni tagliati fini. Tre piccole scodelle di vetro sono state riempite di antipasti: polpette di ceci, fette di byorek e manti, raviolini di agnello. 

Non so come ci riesca, ma a volte Ruben fa queste cose. Si mette al lavoro nel pomeriggio ed entro l'ora di cena sembra che nella mia cucina sia passato uno chef stellato che abbia deciso di cucinare per un esercito. Non so cosa dire né cosa pensare, ma so perché l'ha fatto: vuole che Anthea si senta bene a casa nostra, che si senta accolta con tutti i sacri crismi. 

"Ta-daan!" Esclama soddisfatto, allargando le braccia a indicare tutto il suo menù. "Che ne dite?"

"Hai cucinato tutto tu?" Domanda Anthea, stupita. Beh, come darle torto: probabilmente nella sua testa Ruben è solo un coinquilino pigro ma simpatico. Temo di non averle mai parlato dei suoi improvvisi e graditissimi exploit culinari, perché in fondo sono davvero uno stronzo. Mi sento in colpa e per non darlo a vedere ribatto: "Eccome."

"Certo che sì! Sono molto bravo ai fornelli."

Anthea lo guarda un po' scioccata, ma subito dopo si apre in uno di quei sorrisi che la costringono a socchiudere gli occhi e batte le mani come una bambina. 

"Questa vacanza sta migliorando di minuto in minuto!" 

Sia Ruben che io ci mettiamo a ridere. Dal momento che nessuno deve cucinare ulteriormente, ci sediamo e l'erede di Thomas Keller inizia a illustrare alla nostra ospite cosa ha davanti e come bisogna mangiare. 

"Allora, questi tre sono antipasti. Spero che tu non sia vegana, altrimenti temo che di veg qui ci siano solo le polpettine."

"No." Sorride Anthea. "Mangia tutto."

"Ah, grande, meno male. Allora, dicevo: in questi c'è carne di manzo, in questi qui carne d'agnello. Poi nella zuppa c'è il pollo. La zuppa si chiama, Involtino?"

"Arganak." Sospiro io. 

"Ecco, bravo. Questa si chiama arganak, invece questi sono..."

"Perché l'hai chiamato Involtino?" 

"Perché lo chiamo sempre così. È cinese."

Anthea mi guarda, io scuoto la testa ma lei scoppia a ridere. "Involtino?"

"Credimi, questo è il migliore. Gli altri sono anche più imbarazzanti."

"Dicevo." Ruben richiama subito l'attenzione della sua allieva. "Questi sono dolma, sono fatti di foglie di vite."

"Ma tu sei turco, Ruben?"

Non l'avesse mai detto. La faccia di Ruben si storce in un'espressione di terribile offesa e Anthea smette immediatamente di sorridere. Preoccupata chiede scusa, anche se non sa perché, ma io la fermo e la correggo al posto suo: "Ruben è armeno."

"Esatto. Sono armeno."

"Non di prima generazione."

"Non importa a nessuno. Sono comunque molto armeno."

"Armeno dove vuole lui. Per il resto è solo molto americano."

Anthea segue divertita il nostro scambio. Non è a disagio e ne sono felice: se lo fosse, non saprebbe dove posare gli occhi e sembrerebbe seduta su un cuscino di spine. Invece guarda ora me ora Ruben e sembra molto contenta di scoprire nuove cose sulla nostra relazione. Penso che Ruben le sia stato simpatico dal primo momento in cui ci ha parlato.

 "Entrambi i tuoi genitori sono armeni?" Gli chiede. All'improvviso lui dimentica il suo grugno e gonfia il petto come un galletto.

"Certo."

"Parli armeno?"

"Un po'. Non tantissimo. Mia madre è sempre stata convinta che dovessimo parlarlo solo in casa."

"Per via dei Servizi Segreti Turchi." Aggiungo io. 

"Cosa? I servizi segreti?" Il tono con cui Anthea pone la domanda mi farebbe morire dal ridere, se non volessi mantenere il tono serio della conversazione. Anche Ruben sembra pensarla come me, perché annuisce grave.

"Mia madre è convinta che io sia uno scienziato sensazionale, troppo importante nel panorama mondiale della genetica. Pensa che mezzo mondo mi voglia e che i turchi, essendo io armeno, preferirebbero vedermi morto."

Lei rimane in silenzio per un lungo istante. Poi scoppia a ridere come una granata. 

"Cosa?! Sul serio? Ma è... è assurdo!"

"Sì." Conferma lui. "Ma non per mia madre."

"Ha giusto giusto delle manie di persecuzione, la signora Kaloosh..." Faccio presente io, che l'ho vista numerose volte e in ognuna l'ho vista peggiorata.

"Sì." Spiega Ruben. "Era così anche prima della nascita di mia sorella, ma le cose poi sono andate un po' complicandosi." 

"Hai una sorella?" Domanda Anthea.

"Si chiama Anoush. Ha undici anni."

Non mi sorprendo quando lei lo guarda per un secondo come se non avesse capito: succede sempre così. Avere diciannove anni di differenza con la propria sorellina non è comune, a meno che non ci si trovi nella situazione di Anthea, con un secondo matrimonio alle spalle. Invece i signori Kaloosh ci hanno semplicemente messo tanto tempo a pensare alla secondogenita. 

"Sua madre ha dovuto riprendersi dal primo figlio." Scherzo io, sapendo bene di farlo arrabbiare.

"Stai zitto, Involtino." Sibila lui, per poi ricordarsi improvvisamente di una cosa. "Ma! Non hai ancora toccato niente, Anthea! Dai, su, che altrimenti le cose si raffreddano."

Comincia a gesticolare, indicando tutto ciò che ha cucinato e lei, che è stata sistemata a capotavola, non sa da dove iniziare. Alla fine viene convinta a puntare proprio sulla mela della discordia rivestita di foglie di vite che, afferma, è anche un ottimo piatto greco. 

"Greco va bene." Risponde Ruben. "Greco non è turco."

Devo ammettere che la cucina del mio migliore amico probabilmente viene battuta solo da quella di mia nonna per ovvi motivi. La carne si scioglie in bocca, la zuppa è saporita ma non troppo salata e gli antipasti sono unti al punto giusto. Sono contento di vedere che anche Anthea stia apprezzando: una volta che ha finito con l'arrosto ne chiede un'altra porzione. Ruben potrebbe sfiorare il soffitto da tanto è rigonfio di orgoglio. 

"Ma quindi..." Osa chiedere lei a un certo punto, dopo che tutti e tre ci siamo rimpinzati a sufficienza. "Da quanto abitate assieme?"

"Sei anni." Rispondo io. "Mese più mese meno."

"Da quando Jess si è trasferito a New York. Cercava un coinquilino con cui condividere casa e affitto e ha trovato me. Io ero già qui. Sai, per il dottorato."

Anthea annuisce e sorride. Si vede che è curiosa. Sotto sotto nutro una soddisfazione infantile nel notare che lei vuole sapere altro da me e per farlo cerca di informarsi anche dagli altri. 

"Siete diventati subito amici?"

Ci fissiamo per un istante, poi assieme esclamiamo: "No!"

"No, affatto." Dice Bub. "All'inizio pensavo che avesse qualche problema sociale. Stava chiuso in camera tutto il tempo, lasciava linda e pulita la cucina, ma con me non voleva nemmeno avere a che fare. Pensavo che un giorno mi avrebbe ucciso nel sonno."

"Ooooh! Esagerato!"

"Guarda che avevi la faccia da psicopatico!"

"Non ero psicopatico." Lo correggo. "Ero in una fase molto delicata della mia vita."

"Ah, già." Rincara Ruben, guardando Anthea e rischiando di fare il passo più lungo della gamba. "Aveva appena iniziato la cura ormonale."

Istintivamente divento tutto rigido e impallidisco, nonostante sia ancora sorpreso dalla leggerezza con cui abbia affermato la dura verità. So che è inutile perché non ho niente da nascondere ad Anthea, ma a me sembra di vivere perennemente su un filo teso su un crepaccio: ogni volta che qualcuno le fa presente che io vengo da un passato in cui ero una ragazza, è come se fossi vittima di un leggero colpo di vento. Niente di eccezionalmente pericoloso, ma volete mettere che brivido? 

Tira un minuscolo respiro di sollievo solo quando Anthea abbandona la forchetta per posare la mano sopra la mia. 

"Allora ha tutte le ragioni del mondo." Mi dice, sorridendo. La guardo e per un momento penso che non sia reale. Esiste davvero? Me la sto immaginando? Non ho mai creduto nella bontà del genere umano come ho iniziato a fare da quando conosco lei. 

"Sì, beh." Dice scornato Ruben. "Mica tante. Va bene tutto, ma è una semplice cura ormonale."

"C'era il fattore psicologico, Bub."

"Va bene, okay. Ma io avrei capito."

"Aaaah, lascia perdere. Sei sempre il solito." Sbuffo. "Ormai sono quasi sette anni che mi rinfaccia quei primi mesi."

"Ben quattro." Conferma lui. 

"E poi?"

"E poi Ruben ha comprato il suo primo porcellino d'India."

"Già! Washington!"

"Quindi Honey è la seconda?"

"La terza." La corregge lui, infilandosi in bocca una polpettina di ceci. "Dopo Wash c'è stato Guanina."

"Guanina? Come la base azotata?"

"Sì, dolcezza."

"E siete diventati amici grazie a Washington?"

"Beh." Rispondo io. "Ruben non è mai stato in grado di prendersi cura dei suoi animali. Dovetti iniziare a farlo io."

"E fu così che lo beccai fuori dalla sua stanza. Da lì è stata tutta una discesa. Vero, Jess?"

Scuoto la testa, sorridendo. Ricordo molto bene quei mesi, i più ostici della mia avventura newyorkese, in cui l'emozione che scandiva le mie giornate era la paura per qualsiasi cosa. 

"Vero."

La cena si conclude con la baklava che Ruben ha preparato la sera prima senza che mi dicesse niente. Unta e piena di miele, crocchia sotto i denti a causa di tutte le noci con cui abbonda sempre. Anthea si sporca la bocca come una bambina mentre Bub, come al solito, benedice i suoi vestiti.

"Meno male che ho addosso il grembiule." Dice tutto contento.

Anthea mi sembra serena. La sua stanchezza si fa notare quando comincia a sbadigliare tra una chiacchiera e l'altra. Ruben lo nota e controlla l'ora. Si è fatto tardi: quasi mezzanotte.

"Andate, andate." Ci dice, agitando le mani. "Sistemo io. Andate a dormire."

Anthea ringrazia Bub con un abbraccio - e lo vedo che lui è improvvisamente confuso e non sa cosa fare - e poi mi segue. Si copre la bocca con una mano, quando sbadiglia.

"Scusa." Mi dice, una volta in camera mia. "Normalmente non mi addormento mentre mangio."

"Non ti preoccupare. Siamo tutti stanchi."

L'abbraccio, voltandola verso il mio letto. "Ok. Questa sarà la tua dimora per i prossimi due giorni. Spero che il letto sia abbastanza comodo. Se hai caldo, apri la finestra, c'è un balconcino. Il bagno è la porta a destra. Ruben dorme come un sasso di notte, quindi non disturberà nessuno."

Anthea osserva il letto, aggrotta la fronte e si volta a guardarmi. "Perché parli come se tu non dormirai qui?"

"Perché non dormirò qui, appunto."

"Cosa?"

Sono un po' preso di sprovvista dalla sua faccia confusa. "Beh, di sicuro gradirai stare un po' sola. Insomma..." Mi fermo per un secondo, improvvisamente sulle spine. "Stiamo assieme da un mese."

Lei mi fissa. Ha gli occhi lucidi dalla stanchezza e non mi pare affatto contenta. 

"Questo è il tuo letto. Non devi fare il cavaliere."

"Oh, sì invece. Non ho intenzione di farti dormire sul divano."

"Che ne sai, magari i divani mi piacciono."

"Certo, ma non il nostro." Le do un bacio in fronte, bloccando il suo tentativo di ribattere. Anche io sono stanco e non ho voglia di litigare con lei. "Per favore." Le sussurro. "Facciamo così, almeno per oggi."

"Almeno per oggi." Ripete lei, la fronte appoggiata alla mia spalla. L'abbraccio e respiro il suo profumo, chiudendo gli occhi per un istante. Senza volerlo ripenso a quello che questa sera ha ricordato Ruben e mi stupisco di vedermi star bene. Sei anni prima avevo valutato addirittura l'idea del suicidio e non una volta sola. Non riuscivo neanche a immaginare come potesse essere la luce in fondo al tunnel della depressione. Ora, invece, la luce è davanti a me. Non solo Anthea, ma anche il mio migliore amico e tutte le persone che popolano il mio mondo. Sei anni fa pensavo che sarei rimasto una stellina persa al centro esatto di un universo buio e freddo. Non sapevo, non credevo, che sarei divenuto parte di una costellazione luminosissima. 

"Buonanotte, Thea."

Finalmente la sento sorridere contro la mia camicia.

"Buonanotte, Jess."


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