26. Tiny American Safari
Mi sono sempre chiesto come sarebbe essere un gatto. Dimenticate la parte relativa al vivere serviti e riveriti da un umano, parlo dell'altra cosa, quella dell'essere cacciatore. Che sensazione prova un gatto quando, acquattato tra gli alti steli d'erba, fissa la sua preda ignara a pochi centimetri di distanza dalle sue vibrisse? È percorso da un brivido di eccitazione o vive un attimo di calma glaciale, in cui sente rombare nelle orecchie solo il ritmico suono del suo cuore?
Me lo chiedo, perché è l'unica cosa che posso fare, dato che mi trovo nella stessa condizione. Sono disteso nell'erba, pancia sotto, il naso sfiorato da un ciuffo di foglie verdi e sottili, immobile come una lucertola, proprio come mi ha detto di fare la mia guida spiritual - naturalistica, la quale si trova al mio fianco nella stessa posizione. In mezzo a noi, condivisa, è posata la guida che mi ha regalato un paio di giorni fa, aperta su una pagina che dipinge in miniatura la stessa scena campestre che stiamo osservando con tanta attenzione, come due felini pronti al balzo.
"Vedi? Si muove lentamente perché i movimenti rapidi attirerebbero l'attenzione dei predatori." Sussurra, puntando con discrezione un dito verso l'animale in fase di studio. Non siamo allo zoo e non stiamo valutando le capacità di mimetismo di un qualche orso o panda minore: il nostro interesse è tutto rivolto a una piccola cavalletta. Anthea ha deciso di introdurmi così nel mondo della sua conoscenza enciclopedica: partendo da qualche insetto facile da trovare.
"Qui dice che dovrebbe avere le zampe rosse." Le faccio notare, guardando l'immagine sul libro.
"E le ha."
"Dove?"
"Devi guardare le tibie."
"Nemmeno sapevo che gli insetti avessero le tibie."
"Ora lo sai."
Mi zittisco e cerco di evitare altre figuracce. In effetti ha ragione: quando la cavalletta si mette di profilo, noto una zampa rossa. Mi dispiace, ma finora la mia conoscenza si era limitata a distinguere, secondo la loro forma, insetti buoni e cattivi. E gli unici due partecipanti della prima categoria erano farfalle e api. O forse solo le farfalle? Non ricordo.
"Guarda." Sibila all'improvviso Anthea, dandomi una piccola gomitata. "Guarda in alto, su quel ramo. Lo vedi?"
Come al solito non vedo niente, ma faccio finta di sì, così bascico un: "Certo."
"Quello è un codirosso." Ribatte, fidandosi ingenuamente della mia parola. "È un tipico abitante di Central Park. Viene riportato in tutte le guide."
Lancio di sguincio un'occhiata al suo viso, nel maldestro tentativo di intercettare la traiettoria dei suoi occhi, ma non sono bravo a calibrare le distanze e continuo a non vedere la bestia in questione, così provo a dire: "E che tipo di insetto è?"
So che è il commento sbagliato quando Anthea soffoca una risata calando la testa nel mezzo dell'erba, appoggiando la fronte contro il proprio braccio.
"Non l'hai visto, vero?"
"Temo proprio di no." Ammetto.
"Va bene. Facciamo così." Si risolleva, mi prende il braccio destro e lo sistema perpendicolare al terreno, poi usa la mano come una specie di bussola e mi fa puntare un dito in quella che presumo sia la giusta direzione. "Ora..." continua, "Allinea l'occhio con la mano."
Seguo i suoi ordini e improvvisamente, sul ramo più esterno di un ailanto, compare un uccellino paffuto nero e bianco con una vivace macchia arancione sul fianco del petto.
"Ah... eccolo lì."
"Che specie di insetto è, quindi?" Mi prende in giro lei, mentre sfoglia il libro alla ricerca della pagina dedicata al codirosso. Osservo l'uccello che saltella avanti e indietro sul ramo, poi decido che devo dimostrarmi migliore di tutto questo. Così, mentre rispondo: "Una con le piume rosse di certo. Forse imparentato con la cavalletta di prima", cerco un altro animale in mezzo al mare d'erba. La mia attenzione viene immediatamente attratta da un battito d'ali arancioni. Ci metto un attimo a capire che sto guardando una grossa farfalla che svolazza di fiore in fiore in un balletto da lepidottero. Sfioro il viso di Anthea e le faccio cenno nella sua direzione.
"Oh!" Esclama, presa di sprovvista. "Ma quella è una monarca!"
"Questa la so: sono quelle farfalle che migrano, vero?"
"Esatto! Migrano durante l'inverno, alcune vanno addirittura in Messico."
La farfalla si sposta sulla mia sinistra e Anthea, per seguirla, si piega sulla mia schiena posandoci sopra le sue braccia, e si sporge verso di lei. Io mi appiattisco contro l'erba, sentendola scricchiolare sotto il mio peso e sorrido.
"Sono così belle! Che ali meravigliose... lo sapevi che alle Hawaii c'è una comunità che è bianca invece che arancione?"
"Hai troppa fiducia in me, Anthea."
"Perché?"
"Credere che io sia in possesso di questo tipo di informazioni top secret..."
"Il sogno di mio fratello è riuscire a creare un giardino per farfalle. Cioè, in realtà vuole creare vari tipi di giardini, ma i suoi preferiti in assoluto sono quelli per farfalle e i giardini notturni."
"Cos'è un giardino notturno?"
"Un giardino con fiori che si aprono solo di notte e che attirano particolari insetti o pipistrelli."
"Pipistrelli?"
"Certo! Il cactus saguaro viene impollinato da un pipistrello!"
"Sai una cosa?" Le chiedo. Lei scivola al suo posto e chiede: "Cosa?"
Sembra più preoccupata che curiosa. Ho come l'impressione che si aspetti di sentirsi dire che parla troppo di cose che nemmeno ho mai sentito o una cosa del genere, ma in realtà non sono mai stato affascinato tanto da un discorso che esulasse così tanto dai miei normali interessi.
"Potrei starti ad ascoltare per una settimana." Le dico, sorridendo. "Sei davvero... non so."
"Strana?" Propone lei, ma lo fa con un sorriso divertito e sollevato. Ci penso su, poi scuoto la testa e ribatto: "Intrigante."
"Intrigante?"
"Sì, intrigante. Parli di cose interessanti, non sei mai noiosa. Ho imparato più in cinque giorni passati con te che con ventotto anni di vita."
Anthea ridacchia e si sdraia nell'erba, voltandosi verso di me. Continua a sorridere mentre mi dice: "Sei il primo che me lo dice."
"Sono uno che ci vede lungo quando si tratta di bellezza."
"Mi piace parlare di queste cose. Mi piace parlare della natura come della letteratura."
"Plinio sarebbe orgoglioso di te."
Il sorriso che mi regala mi fa capire che questo per lei rappresenta un complimento particolarmente gradito, probabilmente più di un apprezzamento fisico. Questa volta mi viene spontaneo posare la guancia sul braccio e darle un bacio. Sono ammirato da lei, dalla sua capacità di essere enciclopedica. Come fa a sapere tante cose? E come fa a essere così entusiasta riguardo il mondo che la circonda? L'ho ripetuto almeno cinque volte, ma non posso fare altro che ricordarlo a me stesso: Anthea è gioia di vivere. Sotto il primo aspetto spento e freddo, si sta rivelando sempre più un'anima iridescente ricca di sfumature e piena di meraviglie nascoste. Quante altre sorprese mi aspettano? Con quante altre curiosità riuscirà a stupirmi? Per un attimo penso che anche io vorrei essere così interessante: chissà se per lei io non sembri un po' noioso e anche un po' troppo ignorante.
A questo punto mi viene un'idea.
"Martedì sera sei libera?" Le domando a bassa voce, la punta dei nostri nasi che si toccano. Lei scuote appena appena la testa per fare in modo che si strofinino come in un bacio all'esquimese e poi risponde: "Sì. Dove andiamo?"
"Io suono in un locale qui a Manhattan. Mi chiedevo se..."
"Sì. Ci vengo volentieri."
"Possiamo prendere qualcosa in giro per cena prima di andare lì, se ti va."
Lei sorride e io mi chiedo per l'ennesima volta se per caso non mi stia sognando ogni cosa.
"Possiamo prendere un hotdog? Non ho mai mangiato un hotdog."
"Andata."
Faccio per baciarla di nuovo, quando qualcosa, in un angolo della mia visuale, attira la mia attenzione. C'è qualcosa a pois che si muove su una delle ciocche di capelli sfuggite alla sua coda. Metto a fuoco dopo qualche istante e con mio grande orrore mi rendo conto che sto fissando un piccolo ragnetto. La suddetta creatura mi sta fissando. Sento i suoi occhi addosso. E addosso sento anche i brividi freddi che mi causa il suo sguardo.
"Jess?" Domanda confusa Anthea, squadrandomi e alzando un sopracciglio. Il movimento deve disturbare il ragnetto, perché si muove all'indietro facendo un piccolo saltello.
Scatto seduto come se mi avessero dato un pizzicotto. È una reazione istintiva che non riesco a controllare quando sono in presenza di qualcosa che abbia zampe in più rispetto alle quattro di base.
"C'è un..." borbotto, incapace di attivare il multitasking mentre osservo quella malevola bestiaccia che fa avanti e indietro sui capelli di Anthea.
"Un?"
"Un... un ragno." Riesco a dire alla fine.
"Dove?"
Le indico - ora riesco a ragionare, perché sono alla debita distanza - il punto in cui il mostro si è appena fermato. Temo che si metta a urlare o a spazzolarsi le ciocche cercando di farlo cadere, ma quello che Anthea fa è mettere la mano destra a coppa e coprire velocemente il ragno. Subito dopo sposta la mano e la copre con l'altra. Apre un pochino le dita per guardarci dentro e sorridendo esclama: "Che carino!"
"Che carino?!"
"Ma certo! Hai visto com'è piccino?" Mi tende le mani con entusiasmo e io puntualmente mi scanso. "Non ti fa niente!"
"Mi salterà addosso!"
"Ma no, lo tengo. È un salticide. Non ti fa niente, è innocuo."
Sono combattuto su tutta la linea. Da una parte c'è il mio istinto più primordiale che mi urla di darle una manata e fare in modo che quella cosa si perda nel prato per sempre, dall'altra c'è la parte razionale della mia testa che mi sussurra di fidarmi di questa ragazza, che se ha preso in mano questa belva un motivo ci sarà. Alla fine riesco a tacitare per qualche secondo il mio essere più profondo e mi tendo, agitato, a dare un'occhiata. Il ragno sta proprio nel punto in cui un raggio di sole si infiltra nel nido formato dalle piccole dita di Anthea. In effetti non mi sembra che stia sanguinando, né che la creatura sia impazzita per essere stata intrappolata. Se ne sta lì, ferma. Prende il sole con gli occhi rivolti verso l'alto. Mi scosto e la guardo.
"Ma come fai?"
"A fare cosa?" Domanda lei, mentre gira sulle ginocchia per sporgersi sufficientemente lontano da me e liberare il ragno in mezzo ai fili d'erba.
"A non aver paura."
"Perché la paura non è reale." Mi risponde. "È un approccio verso l'ignoto."
"Beh, però gli insetti continuano a farmi paura anche se so che sono insetti."
"Perché per te sono come alieni. Hai paura che ti saltino addosso o ti mordano." Anthea si sdraia di nuovo nell'erba e si mette a fissare il cielo. "Hai mai visto una mostra di insetti?"
"Morti? Certo. Ci sono sempre degli insetti nei musei di storia naturale."
"Quelli non ti fanno paura?"
"No."
"Ma li toccheresti? Anche se sono morti?"
Ci penso per un secondo. "No."
"Perché?"
"Non saprei."
"Forse perché temi che ritornino vivi. Che possano di nuovo mordere o saltarti addosso." Spiega Anthea. "L'ho letto in un libro di antropologia."
"Davvero?" Sono abbastanza stupito che si interessi anche di questo. "E tu non hai paura?"
"No."
"Perché?"
"Perché c'è qualcosa che supera la paura."
"E cos'è?"
Lei si stringe nelle spalle e sorride discreta. "La curiosità."
Penso alla sua risposta. Non è quello che è successo tra noi? Poteva avere paura di me. Poteva provare paura a baciare una persona che nasconde un segreto come il mio. Eppure l'ha fatto, e non solo: siamo qui, nel tentativo di diventare una coppia, conoscendoci meglio. Mi rendo conto, con robusto stupore, che Anthea è coraggiosa. È impavida, nel rischiare la propria tranquillità in nome della curiosità. E della fiducia. Sì! Perché ha fiducia in quello che la circonda: nelle piante, negli insetti, in quel ragno che avrebbe potuto morderla... e in me.
"Mi piacerebbe imparare ad aver meno paura di queste cose." Le dico. "Mi aiuterai?"
A giudicare dal sorriso con cui accoglie la mia proposta, penso proprio che sia un sì.
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