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18. Piani interessanti

Oggi è una di quelle giornate d'estate in cui regna una strana aria calda, appesantita dall'umidità accumulatasi con le mancate piogge. Il cielo è grigio, anche se dietro la cortina plumbea si intravede il sole. Sono contento che la metro si trovi sottoterra: non riesco a respirare con questa calura opprimente. A causa di questo caldo mi sono costretto a indossare una maglietta di cotone, piuttosto che la mia solita polo - che ho in almeno dieci colori diversi, perché tutti hanno ormai capito che mi piacciono e a ogni compleanno ricevo almeno una piantina e un numero non inferiore a tre camicie da golf. Purtroppo questa maglietta, epico ricordo di un concerto omaggio ai Nirvana, è molto meno rigida rispetto al mio solito abbigliamento. Questa cosa mi turba. Mi si appiccica al petto e a volte ricalca con fastidiosa precisione il profilo del mio binder.  Maledetto sudore. Preferisco di gran lunga l'inverno: è il momento in cui nessuno ti guarda male, mentre affoghi nelle spire di un maglione di tre taglie più grande. 

In ogni caso il fastidio della maglietta è solo un pensiero accessorio: la mia mente è proiettata su quello che mi aspetta al lavoro. Non è la prima volta che mi occupo degli stagisti: prima di questo ragazzo ne ho avuti altri cinque, compreso Henry. Nonostante io non sia il ritratto della socialità, ho scoperto di essere abbastanza bravo nello spiegare quello che faccio. Sembra incredibile, ma è così, soprattutto perché non mi tocca parlare di me stesso. Decisamente un sollievo.

Scendo alla mia solita fermata e mentre mi ripeto mentalmente i dati che conosco su Silas, sento trillare il cellulare. Per un attimo mi viene un colpo e controllo subito l'ora: non vorrei essere in ritardo e che quello che mi è appena arrivato sia un messaggio minaccioso di Serafina. Ma quando apro le notifiche di Whatsapp, il colpo si trasforma in qualcosa che rasenta l'infarto. 

Buongiorno! c:

È Anthea. Per un secondo mi manca la terra sotto i piedi ed è un miracolo che prenda l'ultimo scalino della metropolitana. Un tizio dietro di me sbuffa, sorpassandomi, mentre io mi fermo vicino all'uscita, fissando la notifica. Non mi aspettavo che mi scrivesse. In realtà non mi aspettavo che ci sentissimo prima di domani. Non capisco se sono io a essere una persona orribile o lei che sembra particolarmente presa bene con me. Mi ritornano in mente le parole di Ruben: anche le ragazze sono capaci di provare attrazione immediata per qualcuno. Innegabilmente vero, l'ho sperimentato su me stesso nella mia confusa giovinezza, ma non pensavo che il mio nome si sarebbe sostituito mai a quel qualcuno

O forse semplicemente Anthea si sente sola e scrive a qualcuno che conosce. Già. 

Hey! Già sveglia? 

Sì! Da un paio d'ore. 

Non stai granché approfittando della tua vacanza, eh...

Intanto riprendo a camminare. Non posso arrivare tardi al lavoro. 

Mi sveglio tutti i giorni così. Tra poco esco.

Ah sì? E dove vai?

Torno a Central Park.

Il ricordo della nostra serata si diffonde come una nube di profumo nella mia testa. È inaspettatamente piacevole e sorrido, senza volerlo.

Colazione con le idrometre? 

Al mattino sono meglio le papere c:

Di sicuro meglio dei gamberetti. 

Perché? 

Non ho digerito granché, ieri sera...

Allora domani niente ristorante di pesce, mi sa. 

Arrivo al nostro edificio, entro e mentre schiaccio il pulsante del vetusto ascensore, rispondo: 

Oh, no. Ho piani molto più interessanti per noi due ((:

Suona ambiguo, ma è proprio così. Sogghigno infilandomi nell'ascensore, ma smetto subito quando un'ondata di calore mi toglie il fiato. Questa dannata scatola di latta si scalda sempre come un forno. Mi sento un'anatra alla pechinese.

Anthea visualizza il messaggio e inizia a scrivere qualcosa. Sono curioso di sapere la risposta, ma quando spalanco le porte di vetro, sobbalzo e spengo di colpo il cellulare. Silas mi attende a un passo di distanza, con le braccia strette attorno alla sua cartelletta blu, dove penso tenga tutti i suoi appunti. Da come mi fissa sembra proprio che mi stesse aspettando con ansia, così mi preoccupo e alzo gli occhi sull'orologio quadrato appeso all'inizio del corridoio. Sono le otto e quarantacinque. In perfetto orario. Alzo un sopracciglio e il ragazzo, appena ha la certezza che l'ho visto, si apre nel sorriso smagliante che gli ho visto sempre indossare con ampia disilvoltura. Alza una delle due mani strette alla cartelletta e dice: "Ciao, Jess!"

"Sono in ritardo?" Gli chiedo, accompagnando la porta di vetro per evitare che sbatta e che di conseguenza Serafina mi faccia una ramanzina di quindici minuti su quanto il materiale in questione sia delicato. Silas scuote la testa mentre il suo sorriso assume un'aria vagamente di scusa. 

"Affatto. Solo che prima di venire qui ho comprato dei caffè e ti attendevo perché rischiano di raffreddarsi troppo."

Genuinamente stupito dalla sua gentilezza, rivaluto tutti i miei pensieri sospettosi e mi do dello stupido. Gli sorrido, infilando il cellulare nella tasca dei pantaloni - non mi ricordo se ha trillato o meno, accidenti - e mi sbrigo a fargli cenno di seguirmi, perché dobbiamo salire e per farlo siamo costretti a prendere il forno-elevatore. 

"Grazie, sei molto gentile."

"L'ho appoggiato sulla tua scrivania, se non ti spiace." Mi avvisa, per poi emettere uno sbuffo sorpreso e allargarsi il bordo della camicia a maniche corte che indossa "Merda, che caldo."

"A chi lo dici." Rispondo, aggiustando una fastidiosa piega della maglietta sudata, incollatasi in modo pericoloso sotto il bordo del binder.  

"Sapevo che avrei dovuto fare lo stage invernale..." Dice sorridendo. "Ma avevo ancora troppi esami."

"Sei già preoccupato per la laurea?"

"No, però il primo anno è stato da pazzi! Il college non assomiglia per niente al liceo."

"Io mi sono trovato meglio." Rispondo. "I miei anni di liceo non sono stati fantastici."

L'ascensore si degna di concederci una boccata d'aria fresca solo quando arriviamo al piano superiore, il più caldo di tutti e cinque. Fortunatamente funziona l'aria condizionata.

"Io facevo parte della squadra di atletica. Era bello, mi piaceva. Ma qui non ho il tempo materiale di impegnarmi nello sport."

Apro la porta del mio ufficio e lascio che entri per primo. Sulla scrivania campeggiano due bicchieri di Starbucks. Il fatto che non emanino vapore mi fa ben sperare.

"Dimmi che è caffè freddo."

"Addirittura ghiacciato."

"Sei appena diventato il mio stagista preferito."

Ride con la sua bella risata da uomo appena fatto e agita la cartelletta.

"Non si sa mai cosa ci aspetta nella giornata."

"Oggi niente di che." Ribatto, sistemando la poltroncina di riserva a fianco della mia. "Ho solo un paio di articoli da sistemare, prima di passarli a Serafina per l'approvazione."

"Miranda ha preferito concentrarsi sulla parte teorica."

"Nel senso che ha tenuto lezioni di filologia, vero?"

Miranda è fatta così: non penso abbia mai scritto un articolo di filologia moderna, ma conosce qualsiasi critico e filologo della letteratura di almeno quattro paesi differenti. Ogni stagista che ha avuto mi ha detto quello che anche Silas mi sta facendo notare.

"Davvero belle, però. Molto più interessanti di quelle del mio professore."

"Glielo diciamo tutti che dovrebbe pensare di fare richiesta di insegnamento. Ma è molto timida."

Il ragazzo annuisce mentre si siede al mio fianco e osserva interessato il mio desktop - una foto vecchissima scattata a Capodanno che ritrae Ruben, Ben e me; è stata la festa in cui il mio migliore amico e Stephanie si sono conosciuti... e odiati - e poi la piccola foto incorniciata a fianco dello schermo.

"Chi sono?" Chiede, indicando mia madre, giovane, sorridente e sana con in braccio una creatura di non più di otto mesi vestita con un ampio abitino bianco.

"Mia madre e io."

"Perché tu sei vestito come una bambina?"

"Lunga storia." Taglio corto, lanciando un solo, pensieroso sguardo a quella che è una delle rarissime foto che ho di lei. "Allora, oggi vediamo come correggere un articolo. Nel nostro numero di luglio verrà pubblicato questo."

Apro un documento PDF salvato sulla faccia di Ruben e giro lo schermo per farlo leggere anche a lui.

"Exploring The Waste Land? È su Thomas Eliot?"

"Esatto. Questo è l'articolo presentato da un dottorando dell'università di Washington per la sua tesi. È interessante ma, come posso dire... Caotico. È una caratteristica tipica di questi articoli: si concentrano sul contenuto ma poco sulla forma. Qui dentro troveremo di tutto: neologismi, punteggiatura casuale, periodi che non stanno né in cielo né in terra. Il nostro primo compito sarà sistemare queste cose."

"E il nostro secondo compito?"

Sorrido. "È quello ingrato."

Sgrana gli occhi e in lui vedo, immediatamente, l'espressione più pura di uno studente che ancora non lavora: la paura dell'impegno eccessivo.

"Cioè?"

"Cioè dobbiamo controllare le citazioni e la bibliografia. Cercare contraddizioni o passaggi confusi e prenderne nota. Correggere le eventuali imprecisioni di riferimento. In pratica, controllare in letteratura."

"Ah, okay."

Silas non mi sembra più convinto come prima. Penso abbia capito cosa significhi controllare la letteratura. Gli sorrido e lo stupisco aprendo un cassettino della mia scrivania per estrasse un piccolo mazzo di fogli che gli tendo subito dopo. 

"Cosa sono?"

"È l'articolo. Te l'ho stampato, così potremmo lavorarci assieme."

"Ah... grazie." Risponde, squadrandolo preoccupato. Temo che a breve mi dica che non ha voglia di farlo e che preferisce di gran lunga le lezioni di filologia di Miranda, quando mi prende di sorpresa con un sorriso improvvisamente smagliante. "Okay, mettiamoci al lavoro."

"Questo è lo spirito giusto." Decreto, recuperando il mio caffè freddo e ringraziando chiunque ne sia l'inventore. Silas mi imita e picchietta la tazza di carta contro la mia in uno strano Cin Cin. Rido, ma mentre lo faccio mi compare in testa il viso di Anthea. Anthea! Non le ho più risposto!

"Scusa un attimo, Silas. Devo rispondere a una persona." Gli dico, tirando fuori in fretta il cellulare dai pantaloni. Apro subito WhatsApp senza controllare le notifiche e noto due cose: ha effettuato l'ultimo accesso venti minuti fa e... non mi ha risposto. Un brivido mi percorre la schiena: sapevo di aver scritto una cazzata! Chissà cosa ha pensato! Spengo di getto il telefono e lo sistemo sul lato sinistro della scrivania, lontano dalla mia vista. 

"Tutto a posto?" Chiede il mio stagista, che probabilmente ha notato il mio sudore freddo. 

"E niente in ordine." Ribatto, sorridendo. "Dai, iniziamo."

Meglio se mi concentro sul lavoro. Decisamente un'idea migliore, piuttosto che scrivere stronzate. 

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