12. Waiting for Wednesday
L'impianto di refrigerazione tornato a funzionare è uno dei miracoli più belli del lunedì mattina. Sapere che grazie a questo piccolo prodigio il mio capo non urlerà per tutto il giorno contro un innocente tecnico del servizio di riparazione è ancora più fantastico.
Serafina sembra di ottimo umore quando passo a salutarla nel suo ufficio. Talmente di buon umore che sta sorseggiando una delle sue tisane fredde - a giudicare dall'aroma che si lega irreparabilmente alla costante fragranza di magnolia, direi lime e menta, con un retrogusto di fiori di sambuco - mentre sfoglia il New York Times appena acquistato nell'edicola vicino alla metro. Non faccio in tempo ad aprire bocca che un roco ansimare, subito seguito da un cigolio e quattro ticchettii sincronici mi mettono in allerta. Abbasso appena in tempo gli occhi per sorprendere Goethe in procedura d'assalto dei miei calzini.
"Hey! Chi si vede!" Esclamo, sinceramente contento di vederlo. Goethe ha la lingua fuori dalla sua ampia bocca da corgi e i suoi occhietti eterocromi - uno marrone e uno azzurro, a causa dell'incrocio con il pastore australiano che fu suo padre - splendono di felicità, come ogni volta che la sua adorata padrona lo porta al lavoro. Mi abbasso e lo prendo al volo, mentre tenta l'arrembaggio delle mie gambe. Evito per un pelo un suo bacio appassionato e gli faccio un grattino sotto il collo.
"Bello. Bel cucciolotto."
"Questo bel cucciolotto ha pianto miseria questa mattina. Non voleva assolutamente rivedere la signora Schultz." Precisa Serafina, che ha posato la tazza - dono di Sofia da uno dei suoi molti viaggi di ritorno in Messico, una bellissima mug decorata con fiori di smalto bianco e viola - e sollevato gli occhi su di me. Prima guardo lei, poi torno a coccolare Goethe.
"Come mai?"
"L'ha messo in castigo venerdì scorso perché le ha mangiato l'imbottitura di un cuscino."
"Aaah, ma allora hai solo la faccia da cane innocuo!"
Goethe sembra molto soddisfatto della mia conclusione, tanto che si mette a scodinzolare allegramente. Serafina lo fissa con gli stessi occhi di una madre. E non intendo dire di completo amore. È qualcosa di più simile a a volte vorrei ammazzarti, ma sei comunque il mio tesoro.
"Goethe, smettila di sbavare sulle scarpe di Jess. Vieni qui." Gli ordina, quando lui comincia a trovare un po' troppo interessanti le mie sneakers. Non se lo fa ripetere due volte: subito torna di corsa da lei, affrontando la curva della scrivania con una derapata per poi finire schiantato sulla cuccia materassino verde che funge da divano quando si trova qui. È un cane eccezionalmente teatrale.
"Come stai, Sef? Va meglio con l'aria condizionata?" Le domando con un sorriso, rimanendo in piedi sulla porta. Lei mi guarda, posa i gomiti in modo simmetrico sul giornale - e sulla faccia di un senatore repubblicano di cui si sono appena scoperti imbarazzanti segreti - e intreccia le dita. Quando fa così mi ricorda sempre uno di quei cattivi dei film di spionaggio.
No, Mr. Bond. I expect you to die.
"Stai davvero facendo finta di niente, Liang?"
"In che senso?"
"Non mi si deve dire qualcosa?"
"Qualcosa."
So che rischio che la defenestrazione di Praga abbia un brillantissimo sequel nell'anno del Signore duemila e quindici, ma mi sento particolarmente in vena di essere leggero. Anthea non è arrabbiata con me. Mercoledì è tra due giorni. Il sole splende su di me e lo farà fino a quando mi renderò nuovamente conto che uscire a cena uguale essere social. Ma al momento voglio godermi questo improvviso raggio di luce sulla mia vita.
"JESS LIANG, NON MI COSTRINGERE A PRENDERE PROVVEDIMENTI CONTRO QUESTA TUA IMBECILLITÀ MOMENTANEA."
So che c'è stato un sobbalzo corale di tutti i miei colleghi nei rispettivi uffici e non posso fare a meno di ridere.
"Perdonami, dovevo. Comunque sì, forse ti devo dire qualcosa. Esco con la ragazza che ho conosciuto alla festa."
Il suo fastidio si ridimensiona immediatamente. All'improvviso Serafina ritrova una calma serafica e posa il viso sopra le mani giunte. Ora non sembra più Goldfinger.
"Davvero?"
"Non mento."
"Quando?"
"Mercoledì."
"La porti a cena? A che ora?"
La fisso. In silenzio. Apro la bocca per dire qualcosa, poi la richiudo. Lei alza un sopracciglio, dopo aver lasciato passare trenta secondi.
"Jess?"
Non so perché, ma trovo la cosa molto divertente. Comincio a ridacchiare, ma ben presto la risatina muta e diviene risata piena.
"Non... non gliel'ho chiesto. Abbiamo... abbiamo solo detto usciamo."
Serafina mi fissa come se fossi impazzito. Non posso di certo darle torto. Più che pazzo, però, sono uno stupido. Glielo dico e lei sospira.
"Sei solo un uomo, Jess. Un uomo fatto e finito."
Sa che per me è uno splendido complimento.
***
Consapevole ormai della mia scarsa capacità di organizzare con intelligenza un'uscita con una bella fanciulla, mi ritiro sghignazzando nel mio ufficio. Mi siedo alla scrivania facendo cigolare la mia comoda poltrona girevole e picchietto allegramente sulla testa del Maneki-Neko che il mio collega Martin mi regalò il primo anno del mio arrivo, pensando fossi giapponese. Il gatto continua a muovere la zampetta, su e giù, richiamando la fortuna. È un bel regalo, anche se etnicamente errato.
Accendo il PC e mentre aspetto che Windows faccia i suoi comodi, riprendo in mano il cellulare e apro WhatsApp. Cerco nella rubrica e sorrido quando, sotto il nome di Anthea, trovo il suo contatto. La foto ritrae un sentiero nel mezzo di una foresta di conifere seminascoste nella bruma e la frase del profilo recita:
ἐν πᾶσι γὰρ τοῖς φυσικοῖς ἔνεστί τι θαυμαστόν
So cosa significa. Ci metto un attimo a tradurla come si deve, ma ne trovo il senso: infatti, in tutte le realtà naturali c'è qualcosa di stupefacente. È di sicuro opera di un qualche letterato di prosa greca, ma non mi sovviene il nome. Apro la chat vergine con lei e noto subito che ha effettuato l'ultimo accesso un'ora fa. Appoggio entrambi i gomiti alla scrivania e mi accingo a scrivere il primo messaggio della mia vita.
Ciao, Anthea! Sono sempre io, Jess. Spero di non disturbarti ma mi sono appena accorto di non averti chiesto a che ora vuoi che passi a pren-
"Hey, Jess!"
La voce teneramente nasale di Miranda interrompe il mio lavoro. Alzo gli occhi dal cellulare e il mio indice clicca subito sul piccolo tasto dell'accensione, come se mi avessero colto in flagranza di reato. In realtà la mia carinissima collega - alta un metro e cinquantacinque, rotondetta, piena di lisci capelli rossi e un paio di occhiali dalla montatura rosa - è ferma sulla porta con un sorriso e al suo fianco c'è Silas, lo stagista, con una cartelletta blu scuro in mano.
"Hey! Che fate?"
"Sto spiegando a Silas come sistemare un articolo. Però in questa parte sei più preparato tu. Va bene se te lo affido per un paio di giorni, giovedì e venerdì? Gli serve un'introduzione generale."
"Certo, nessun problema."
Silas mi sorride. Non gli ho prestato molta attenzione la settimana scorsa, mea culpa. Cercherò di rifarmi al più presto.
"Ti sta piacendo, qui da noi?" Gli domando gentilmente. Lui annuisce e continua a sorridere.
"Decisamente. Miranda è un'ottima insegnante."
La mia collega si porta una mano alla bocca, per nascondere la risatina imbarazzata che le sgorga dalla gola. I complimenti le sono letali.
Rincaro la dose affermando: "Lo dicono tutti gli stagisti."
Silas capisce subito che deve stare al gioco e aggiunge: "Difficile non pensarlo."
"Insomma, Henry ha avuto una cotta per te, non ricordi?"
"Finitela." Sussurra lei, in viso una tonalità di rosso che penso di aver visto solo nei gerani e nelle aragoste. Accenna addirittura ad andarsene via.
Rido e Silas mi segue a ruota. Miranda è adorabile. Ha la mia età, ma è una di quelle persone che sembrano non invecchiare mai. Alla festa per il suo ventottesimo i suoi genitori e Jeb hanno creato una linea del tempo con le sue foto e temo proprio che Miranda abbia smesso di modificare i propri connotati attorno ai quattordici anni.
"Okay, okay. Basta torturarti. Tregua." Dico, alzando le mani in segno di resa. "Vi lascio ai vostri impegni."
Miranda mi sorride, scuote la testa e ripete: "Ricordati. Giovedì e venerdì."
"Giovedì e venerdì." Guardo Silas e colpisco la scrivania con il pugno chiuso. "Chiaro?"
"Chiaro come il sole." Conferma lui ridendo, prima di chiudere la porta come indicato dalla sua tutor. L'ultima cosa che vedo sono i loro sorrisi, dopodiché eccoli scomparsi.
Di nuovo solo. Solo con il mio cellulare. Lo riprendo in mano con un brivido che risale dallo stomaco e riapro la conversazione. Il mio messaggio è ancora lì, mezzo incompleto. Lo finisco.
Ciao, Anthea! Sono sempre io, Jess. Spero di non disturbarti ma mi sono appena accorto di non averti chiesto a che ora vuoi che passi a prenderti. Hai preferenze?
Prendo un ampio respiro, conto fino a tre e schiaccio invio. Il messaggio di cinque righe compare immediatamente sullo sfondo nero, seguito dalla prima spunta. La fisso fino a quando le spunte diventano due e... niente. Anthea continua a rimanere offline. Così anche cinque minuti dopo. Così anche quindici minuti dopo. A malincuore il mio cellulare oscura lo schermo per salvare quel briciolo di batteria che è rimasta, mentre io con un occhio leggo l'articolo che sto correggendo e con l'altro osservo ansiosamente il non-sviluppo della conversazione.
Mi dico: mi scriverà appena vedrà. Basta entrare su WhatsApp.
All'improvviso sono diventato un personaggio di una opera teatrale sull'onda di Aspettando Godot:
Penso proprio che la intitolerò Aspettando Mercoledì.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro