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Cap. 30: Paziente deceduto

La casa era in pessime condizioni.

Molti vetri erano in frantumi, e c'era parecchia spazzatura sul prato. Un'auto si era schiantata contro l'albero in giardino, e nel vialetto ce n'era un'altra col bagagliaio aperto e pieno solo a metà, i finestrini rotti e uno sportello spalancato. La porta era socchiusa, e dalle finestre non si vedeva un movimento.

In piedi davanti al vialetto, Jessie guardò Day al suo fianco, che si limitava a fissare senza dire nulla l'abitazione silenziosa, le dita serrate attorno al manico della pala.

- Allora, noi facciamo un giro.- disse Alex, sedendosi al posto di guida con Kevin al fianco - Torniamo tra dieci minuti, se non ci chiamate prima, e intanto cerchiamo un veicolo per me. Occhi aperti e guardia alta. Sicuri di non volere nessun altro?-

- Con tutti gli zombie che ci sono non mi va di lasciare incustodito il Transit.- disse Jessie - Day, Maddie e io bastiamo, voi occupatevi di Amy e Carol.-

Alex annuì, chiudendo lo sportello. Jessie guardò Kevin, che gli mostrò il pollice come a dire che andava tutto bene. Sembrava stare meglio rispetto a prima, e anche se forse non aveva ancora superato del tutto gli eventi di quella notte probabilmente era quantomeno riuscito ad accettarli. Forse aveva capito di non avere avuto altra scelta.

Meglio così, perché la decisione di lasciarlo con Alex non era stata presa solo per la sicurezza di Carol, anche lei oltremodo sconvolta, e di Amy, che pure non era rimasta indifferente agli eventi di quella notte... se non altro, sapere che si stava sforzando di riprendersi era un buon segno.

Facendogli un sorriso incoraggiante, Jessie batté due volte il palmo sulla fiancata del mezzo ed Alex ripartì con un cenno del capo, lasciandoli soli in mezzo alla strada. Un paio di Vagabondi già cominciavano ad avvicinarsi lentamente, ma qualche altro iniziò a seguire il furgone.

- Allora, la porta è intatta, almeno per ora.- disse Jessie - Entriamo e chiudiamola, cerchiamo di scoprire dov'è la famiglia di Day e andiamo via.-

Maddie annuì, impugnando meglio la grossa torcia con cui aveva sostituito il tagliacatene, un pesante oggetto di metallo nero e robusto, abbastanza solido e pesante da stordire un uomo adulto con un colpo. Forse non era l'arma perfetta (come Jessie le aveva detto poco prima), ma era per questo che andavano in tre.

- Va bene, muoviamoci.- disse - Day, tu conosci la casa, quindi seguimi passo passo. Apro io la strada.-

La ragazza annuì, mentre lui infilava il piede di porco nella cinghia di nylon che si era legato alla schiena a mo' di fibbia a tracolla ed estraeva la pistola che Alex lo aveva costretto a prendere: non aveva mai sparato in vita sua, ma conosceva la teoria e sapeva più o meno come fare. L'unico suo dubbio era sulle le questioni di mira e rumore.

Sperava davvero di non averne bisogno.

Entrò per primo, infilandosi in un piccolo ingresso davanti al quale c'era una rampa di scale di legno tinto di bianco, a destra delle quali si apriva un corridoio che proseguiva dritto davanti a loro per un breve tratto. Maddie entrò per ultima e chiuse la porta, afferrando l'attaccapanni lì accanto e usandolo per bloccarla. Tesero tutti e tre l'orecchio, ignorando i lamenti dei non morti là fuori che si facevano più vicini, ma non sentirono nulla di particolare, o almeno non all'interno.

- Corridoio.- disse Day, quando Jessie si voltò a guardarla.

Lui annuì e precedette le ragazze nella zona giorno, camminando sulle assi del pavimento con lentezza, tenendo la pistola come gli aveva insegnato Alex, un braccio teso e l'altro appena un po' ripiegato come sostegno, con una mano che si serrava attorno a quella che teneva l'arma, così da avere maggior presa. In quella posizione si sentiva un po' ridicolo, anche perché gli faceva ripensare ad alcune serie televisive a tema poliziesco che aveva visto in passato, ma se lui diceva che così avrebbe sparato meglio di certo non se la sentiva di contraddirlo.

Arrivarono alla porta della cucina, una piccola stanza larga sì e no due metri per due occupata solo dai pensili, dal lavabo, da un frigorifero e dal forno, il tutto incastrato in modo da prendere meno spazio possibile. Un tavolo a scomparsa pieghevole era appoggiato nell'unico tratto di muro libero, e qualche disegno infantile era appeso con dei magneti al frigo insieme a una lista della spesa.

Subito oltre si apriva immediatamente il soggiorno, dove un tavolo per i pasti torreggiava sul basso divano, sistemato di fronte a un piccolo televisore incastrato in una libreria piena di volumi su pittori, scultori e qualche libro giallo. Le finestre erano rotte anche lì, così come la porta finestra che dava sul cortile posteriore.

Attraverso quella videro una donna inginocchiata in un angolo vicino alla staccionata nei pressi di alcuni fiori calpestati. Era vestita con una camicetta a fiori e una vecchia gonna stinta. Dei ricci rosso scuro striati di grigio facevano capolino da sotto un cappello di paglia.

Dava loro le spalle, quindi non potevano vederla in faccia, ma Day reagì subito alla sua vista.

- Mamma!- gridò.

- Cazzo... Day!- esclamò Jessie, mentre lei correva avanti.

- No! Dove vai?- le gridò dietro Maddie, cercando di afferrarla.

- Mamma!- continuò lei, correndo verso la donna.

Era a malapena arrivata a metà strada quando si voltò, ringhiandole contro.

***

Il lato positivo era che la sua faccia grigia non era totalmente devastata dalla malattia o dalle ferite, a eccezione di un paio di graffi, e quindi appariva senz'altro molto più decorosa di quella di tantissimi zombie in cui si erano imbattuti fino a quel momento.

Il lato negativo, ovviamente, fu che cercò di divorare sua figlia.

Si rialzò con la classica scompostezza di tutti gli altri morti viventi, tendendo le braccia come se cercasse un qualche appiglio che in realtà non c'era, e mosse dei passi inizialmente stentati verso di lei, che si immobilizzò nell'istante in cui la vide, gli occhi che correvano al suo viso, alle ferite da morso sulle braccia e al sangue sulla camicetta e sulla gonna.

- Mamma...- gemette.

Sentì le lacrime premere per superare le palpebre, mentre lei continuava a correrle scompostamente incontro, emettendo versi inconsulti. Day non si mosse da dov'era, l'arma abbandonata lungo il fianco, troppo occupata a cercare una traccia di sua madre nel mostro che aveva davanti per pensare a difendersi.

Ormai mancavano meno di due passi quando le mani di Jessie l'agguantarono saldamente, gettandola tra le braccia di Madison, che la trascinò in casa mentre lui rimaneva là fuori ad affrontarla.

***

Mentre Maddie si occupava di Day, Jessie calciò sul petto la signora Flanagan con tutta la propria forza, spedendola lunga distesa senza tante difficoltà, ed estrasse il piede di porco, maledicendosi per quanto stava per fare.

Sempre meglio dell'alternativa... Si disse, schiacciandola a terra col piede perché non si muovesse.

La guardò negli occhi un momento, mentre lei cercava di afferrarlo o gli artigliava inutilmente la gamba nel tentativo di spostarlo. Le sue mascelle scattarono un paio di volte, la testa che cercava di avvicinarsi al suo polpaccio.

Era una scena davvero pietosa.

- Mi dispiace.- disse, sollevando il piede di porco.

La colpì con quanta più energia poté, rompendole la testa già al primo colpo, ma per sicurezza infierì una seconda volta, tanto per non lasciare nulla in sospeso. Quando fu certo che non si sarebbe rialzata si voltò e tornò nel soggiorno, dove le ragazze lo aspettavano, mentre gli zombie che avevano sentito quel trambusto cominciavano a battere forte sulle assi della staccionata.

Non reggerà a lungo...

All'interno trovò Day che si era gettata a faccia in giù sul divano, serrando le braccia attorno a un cuscino, e piangeva disperatamente con Madison che le passava dolcemente una mano sulla schiena senza dire nulla. Quando lo guardò, Jessie scoprì che aveva anche lei gli occhi lucidi adesso.

Fece un cenno verso il piano di sopra, come a volergli dire qualcosa; non fu necessario chiedere spiegazioni per capire: adesso si sentivano dei rumori sommessi, come se qualcuno stesse colpendo una porta.

Suo fratello era chiuso da qualche parte lassù.

Jessie si passò una mano sulla faccia, chiedendosi quanto ancora potessero sopportare tutti quanti, ma annuì e, senza dire nulla, raggiunse le scale, seguendo quei tonfi quasi cadenzati e regolari.

C'erano tre stanze e un bagno al piano di sopra. La camera più grande, probabilmente della signora Flanagan, era vuota, così come quella in fondo al corridoio, dove Jessie riusciva a vedere numerose scatole di cartone: doveva essere stata la camera di Day, almeno fino a quando non si era trasferita.

Quella di mezzo, invece, aveva la porta chiusa, ed era da lì che venivano i colpi e, ora che era così vicino, i versi.

Sollevò sopra la testa il piede di porco, tenendosi di lato rispetto alla porta, e allungò la mano verso la maniglia, sbloccandola. Un attimo dopo il corpo di un adolescente di massimo quindici o sedici anni uscì dalla stanza, incespicando per l'improvvisa assenza di ostacoli, spandendo una tremenda puzza dolciastra nell'aria.

Senza dargli il tempo di riprendersi o di orizzontarsi, Jessie calò l'arma.

***

Tornò di sotto solo dopo aver ripulito il piede di porco, trovando le ragazze nell'identica posizione, anche se Madison adesso teneva lo sguardo fisso verso il giardino, da cui provenivano sempre più versi e suoni inquietanti. Presto avrebbero fatto irruzione.

- Alex, Kevin, mi sentite?- chiamò Jessie nel walkie talkie.

- Affermativo.- rispose l'ex soldato - Come va?-

- Male. Noi stiamo bene, ma...- sospirò - Senti, venite a prenderci e basta. Siamo circondati, quindi se poteste lanciare un'esca sarebbe l'ideale.-

- Va bene. Il tempo di piazzarla e saremo lì. Tenete duro, pochi minuti e vi recuperiamo.-

L'esca di cui parlava era un semplice tubo di metallo in cui avevano versato polvere da sparo presa da alcune cartucce del suo negozio e a cui avevano applicato una miccia di tre minuti. Auspicabilmente l'esplosione avrebbe attirato i non morti abbastanza a lungo da permettere loro di scappare da situazioni come quella.

Mettendo via la radio, Jessie si accucciò vicino a Day, prendendola per la spalla e stringendo con gentilezza. Lei alzò appena lo sguardo, mettendolo a fuoco tra le lacrime e, un momento dopo, gli fu addosso, stringendolo in un abbraccio disperato.

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