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Cap. 3: Infezione


Uscito finalmente dalla doccia, Jessie raccolse il cellulare dal tavolo e guardò l'ora, scoprendo che erano le otto e mezza: troppo presto per dormire ma troppo tardi per ubriacarsi.

Meglio... ho già avuto problemi con l'alcool...

Nel periodo immediatamente precedente al suo corso professionalizzante, Jessie aveva iniziato a bere. Ora era molto tempo che non eccedeva più, ma non aveva mai seguito una terapia né era mai andato agli incontri degli Alcolisti Anonimi. Beveva una birra o due di tanto in tanto, e si concedeva qualche bicchiere alle feste coi vicini, ma aveva imparato a non andare oltre un certo limite. Quella sera, d'altra parte, aveva quasi voglia di riprendere il vizio.

No, dai... controllati. Si disse.

Scosse la testa, sospirando, e chiamò Karl, quasi certo di trovarlo ancora sveglio; in effetti il supervisore rispose alla chiamata, ma gli ci vollero due tentativi prima di riuscire a parlare con lui: al primo cadde la linea, sicuramente per la sua scarsa abilità di usare il telefono.

- Cazzo, ma compralo nuovo...- sbuffò, sedendosi sull'unica poltrona del piccolo soggiorno, proprio davanti alla TV.

- Pronto, Jessie? Scusa, ho fatto casino...- ridacchiò Karl, col suo solito tono da "sono uno di voi".

- Ma non mi dire...- disse Jessie - Ascolta, so che è un po' tardi, ma non mi andava di aspettare domattina... devo chiederti una cosa.-

- Beh, dimmi, vediamo cosa posso fare.-

- Devo andare fuori città per un paio di giorni. È nel fine settimana, parto sabato mattina, ma vorrei stare via anche lunedì. Abbiamo qualcosa di importante in programma o puoi fare a meno di me?-

Karl ci pensò su, dubbioso.

- Mmmh... sai che non mi ricordo?- disse - Dovrei guardare l'agenda, ma l'ho lasciata sulla scrivania. Puoi aspettare domani o lo devi sapere per forza adesso?-

- No, non è una cosa urgente.- rispose Jessie - Ma ho davvero bisogno di quel lunedì.-

- Vedrò cosa posso fare. Ma c'è qualche problema?-

- No è... ho un funerale.- ammise - Un vecchio amico.-

- Ah...- disse Karl - Beh... mi dispiace. Condoglianze.-

- Grazie.- sospirò Jessie - Beh... a domani.-

Salutò il supervisore e riattaccò, passandosi una mano sulla faccia: si sentiva a pezzi, ma non aveva minimamente sonno. Anzi, con tutte le emozioni di quella giornata aveva voglia di fare qualcosa, qualcosa che richiedesse muscoli ed energia, come tirare pugni, correre, scalare pareti, o anche urlare... sarebbe potuto uscire e raggiungere la discarica per sfasciare qualcosa. In quel modo, forse, sarebbe riuscito a stancarsi un po'.

Si era già alzato per vestirsi, intenzionato a prendere dalla rimessa qualche attrezzo adatto allo scopo, quando si bloccò, una mano sulla sedia su cui aveva gettato la felpa da lavoro.
Fuori era freddo, lui era ancora umido dopo la doccia, doccia che avrebbe dovuto fare di nuovo se fosse andato, e il giorno seguente doveva lavorare. Inoltre era completamente fuori fase, frastornato, e sapeva fin troppo bene che, a furia di fare cretinate in discarica, si sarebbe ritrovato a bere qualche birra, che poi si sarebbe trasformata in qualcosa di più pesante e, senza nemmeno accorgersene, sarebbe arrivato all'alba con la sbronza ancora da smaltire, ore e ore di sonno arretrato e, probabilmente, qualche livido. Non il modo migliore di affrontare la cosa.

Inoltre, non era più un ragazzino: vero, era ancora giovane, ma aveva delle responsabilità, non verso altri ma verso se stesso, e se c'era una cosa che aveva imparato negli anni in cui era rimasto da solo in giro per lo Stato era che doveva mettersi al primo posto, in quelle situazioni. Ne aveva fatto una regola fondamentale della propria vita: si manteneva da solo, non c'era nessuno ad aiutarlo, non poteva permettersi di compromettere il proprio lavoro.

Rinunciò, tornando a buttarsi in poltrona e accendendo il televisore su un canale a caso, tanto per distrarsi e aspettare che gli venisse finalmente sonno.

Trovò un telegiornale che riportava notizie di guerra, o di un attacco terroristico, non seppe dirlo con certezza; cambiò subito, saltellando da un notiziario all'altro fino a rinunciare definitivamente: qualsiasi cosa fosse, quel servizio era ovunque, e a lui non interessava, non riusciva a seguirlo. Si sarebbe informato il giorno dopo.

Prese dallo scaffale vicino al televisore uno dei suoi DVD e lo mise al volo nella Playstation, decidendo di trascorrere le ore che lo separavano dal sonno in compagnia di Leslie Nielsen e del suo assurdo aeroplano.

Se non altro, nella sua incoerenza quell'uomo era coerente...

***

Il mattino dopo fu un miracolo riuscire a svegliarsi.

La notte era trascorsa molto lentamente, il sonno aveva tardato ad arrivare e oltre a L'Aereo più Pazzo del Mondo aveva fatto in tempo a vedersi anche tutto Ghostbusters (l'originale, non l'appena passabile remake). Era crollato solo dopo pochi fotogrammi di Beverly Hills Cop, passando il resto della nottata sulla poltrona. Quando si era svegliato era tutto rattrappito e scombussolato, più stanco della sera prima, e a nulla era servita la tazza di caffè forte che si era fatto subito prima di uscire.
Fuori di casa il mondo si rivelò più silenzioso del solito. L'aria del mattino fu come una doccia gelata per lui, ma non bastò a svegliarlo del tutto e, mentre saliva in macchina, continuò a pensare senza sosta a Sandy e a Madison, concentrandosi poco su quello che faceva.

Uscì da Green Valley senza praticamente vedere i rari pedoni che incrociava di tanto in tanto, e non andò meglio quando ebbe raggiunto Rapid City: a malapena fu in grado di evitare incidenti mentre guidava, o di uscire di strada mentre prendeva le curve. Rischiò di urtare un'auto incidentata che qualcuno aveva abbandonato sulla SD–44 a poca distanza dal confine cittadino, e in tre diverse occasioni sterzò appena in tempo per evitare di mettere sotto un pedone (l'ultima volta ne trovò uno che correva in mezzo alla strada, senza badare alle macchine), sentendo a malapena i suoni del mondo fuori dall'abitacolo.

Quando ebbe oltrepassato la periferia e fu entrato in città, tuttavia, un'auto gli tagliò bruscamente la strada al semaforo, sfrecciando a tutta velocità nonostante la precedenza fosse sua, e dovette sterzare e inchiodare con tanto vigore che il motore si spense con un singulto.

- Idiota!- gridò, furioso, riscuotendosi dal proprio torpore.

Non fece in tempo a finire di parlare che l'auto era già sparita in lontananza, perdendosi tra i palazzi di Rapid City. Solo allora si accorse che la città non era in preda all'ora di punta quanto a un vero tumulto.

Ma che... Pensò sorpreso.

Non sapeva come aveva fatto a non accorgersene prima, a prescindere dalla sua stanchezza e dal suo stato d'animo, ma quello non era il consueto andirivieni delle persone dirette al lavoro, era un'autentica situazione di caos allo stato puro.

Vide finestre rotte e porte spalancate quasi ovunque, cestini rovesciati e persino una macchina gravemente ammaccata e col parabrezza in frantumi, abbandonata sul ciglio della strada. C'erano persone che scappavano in lungo e in largo, a volte inseguite da qualcuno, mentre le auto correvano in tutte le direzioni senza più curarsi del codice della strada. Vide una monovolume investire un uomo senza fermarsi, lasciandolo steso sull'asfalto. Fece per togliersi la cintura e correre da lui quando, all'improvviso, qualcuno sbatté contro il suo cofano.

Erano due uomini, e uno incombeva sull'altro, le mani serrate attorno alle spalle del secondo che, disperatamente, cercava di scrollarsi di dosso l'aggressore.

Rotolarono a terra e Jessie, dopo uno shock iniziale, scese il più velocemente possibile, afferrando per i vestiti uno dei due e scrollandolo di dosso all'altro.

- Ma che... cazzo!- gridò esasperato, mentre l'uomo rotolava scompostamente.

Si voltò verso l'altro, e vide che sanguinava da un morso sul collo, che cercava disperatamente di tamponare con una mano. Senza parlare, il volto deformato dal terrore, si rialzò e corse via in silenzio, incespicando di quando in quando.

- Ehi!- esclamò Jessie, guardando alternativamente da lui al suo aggressore.

Dopo un momento, tuttavia, tornò a voltarsi verso il secondo, col sangue che defluiva via dal suo volto.

***

Gli mancava un orecchio, e tutto il lato destro del suo corpo era coperto di sangue che già iniziava a rapprendersi. I suoi vestiti erano strappati in più punti, e dove la pelle era più esposta vide chiaramente i segni dei morsi. Si muoveva in modo frenetico ma scoordinato, come se volesse rialzarsi in fretta ma non fosse molto abituato a muoversi, o ubriaco.
Gli occhi, poi, erano totalmente arrossati, i vasi sanguigni della sclera in pieno risalto, come se i capillari fossero stati disegnati con una penna direttamente attorno all'iride. Aveva anche le pupille del tutto dilatate, e dalla bocca colava sangue, forse dell'uomo che aveva appena morso. Gli parve anche di vedere frammenti di pelle tra i suoi incisivi, scoperti a causa del ringhio in cui aveva contratto la bocca.

Cazzo...

Malgrado la razionalità imponesse una spiegazione alternativa, Jessie non ebbe alcun dubbio: sapeva cos'era quell'uomo.

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