Cap. 13: Riunione straordinaria
Casa Flagg era proprio davanti a lui, in tutto il suo splendore.
A due piani, le pareti esterne di assi di legno e il tetto di catrame, con le grondaie che avevano davvero bisogno di una pulita urgente e la parabola della TV che spuntava da sopra una finestra. Nonostante il buio Jessie riuscì a distinguere il colore azzurro cielo della vernice che lui, Maddie e Sandy avevano passato in una settimana di lavoro, pennelli in mano e maniche arrotolate, e che una volta era finita in una battaglia di schizzi che li aveva costretti a farsi la doccia per più di un'ora a testa.
Riconobbe anche il vialetto di pietra che conduceva all'ingresso, e le lastre di cemento davanti alla porta del garage. Quella però no, non la riconobbe, era diversa dall'ultima volta che era stato là, segno evidente che Sandy l'aveva fatta cambiare. Meglio, se n'era lamentato più di una volta, in passato.
Anche il comignolo era differente, qualcuno ci aveva montato sopra una tettoia metallica per impedire ai procioni e agli altri uccelli di entrare, e le imposte, in quel momento chiuse, sembravano nuove a un occhio allenato come il suo, persino di notte.
Dopo tanto tempo, dopo anni di assenza, era tornato.
Certo, di tutti i motivi per presentarsi di nuovo davanti a quella porta, l'apocalisse zombie era davvero l'ultimo a cui avrebbe mai pensato.
Serrando meglio la presa sul piede di porco cominciò ad avvicinarsi alla casa, il furgone parcheggiato sul marciapiede. Intorno a lui non si muoveva una foglia, non si sentiva un rumore, come se l'intera città, zombie compresi, fossero andati a dormire, e solo i bagliori lontani degli incendi non del tutto spenti e le colonne di fumo tradivano l'effettiva gravità della situazione.
Istintivamente portò la mano libera sul coltello da cucina che aveva infilato nella cintura e alle forbici da elettricista subito accanto, sistemate nella loro custodia. Non che pensava fossero utili come arma, ma ci era affezionato, e portarle era diventata un'abitudine... erano un talismano.
Dietro la schiena, sempre nella cintura, aveva sistemato anche l'accetta, e con un moschettone aveva appeso un pennato a una fibbia. Bardato com'era si sentiva un po' stupido, ma almeno poteva essere certo di avere più armi a portata di mano. Con del nastro telato aveva anche legato la mannaia da cucina al fondo del piede di porco, tanto per andare sul sicuro: non voleva un'altra esperienza come quella del ranch.
Arrivato a metà del vialetto, comunque, sentì un rumore metallico alle sue spalle, mentre qualcosa di duro gli premeva sulla schiena.
- Okay... ora stai fermo, perché se sparo qui non sentirai più le gambe.-
***
Jessie si immobilizzò, le braccia rigide come stecchi di legno. L'uomo alle sue spalle (la voce era senz'altro maschile) fece un passo indietro, liberandolo dalla pressione dell'arma, anche se era comunque piuttosto sicuro che non l'avesse ancora abbassata.
- Adesso girati, e fallo lentamente.- disse.
- Se mi spari arriveranno da tutte le parti.- lo avvertì - Sentiranno il suono...-
- Beh, troveranno solo un tizio che si dissangua da un buco nella schiena.- lo interruppe l'altro - Ora girati con calma, e abbassa l'arma.-
Jessie strinse i denti per non replicare e si girò il più lentamente possibile, mettendosi faccia a faccia col suo aggressore: era sulla trentina, alto più o meno quanto lui e leggermente più robusto di costituzione. Aveva i capelli scuri, probabilmente neri, e un bel po' di barba che gli cresceva su guance e mento, dando al suo viso un aspetto arrotondato. Lo fissava da dietro le lenti di un paio di occhiali tondi dalla montatura sottile, e indossava una camicia chiara un po' sporca e strappata sul colletto, le maniche arrotolate fino ai bicipiti. Sembrava un impiegato.
Tra le mani stringeva un sottile fucile da caccia, ma era impossibile stabilirne il modello, la sua conoscenza di armi da fuoco era limitata.
- Ascoltami...-
- Giù l'arma, ho detto!- sbottò l'altro, iniziando a spazientirsi e alzando il fucile all'altezza del suo viso.
- Okay, okay!- esclamò Jessie, sentendo un fiotto di paura pervaderlo - Non voglio problemi, va bene? Sono qui solo per...-
- Per cosa? Non c'è niente qui!- disse l'altro - Sono disposto a non spararti, ma sparisci e non tornare, mi hai capito?-
- Senti, sto solo cercando...-
- Fermo, Kevin! Abbassa il fucile!-
La porta di casa si era improvvisamente aperta senza che Jessie se ne accorgesse, concentrato com'era sulla minaccia davanti a lui. Senza riflettere si voltò, e nella fioca luce che filtrava dall'interno Jessie riconobbe Madison.
Non era cambiata quasi per niente nel corso degli anni: era ancora la ragazza sottile che ricordava, non attenta alla linea ma naturalmente così magra da sembrare fatta di bacchette, che indossava abitualmente vestiti scuri e un po' hipster, con quell'espressione che sembrava imbronciata e scocciata anche quando in realtà non lo era affatto.
I capelli castani erano più lunghi di come li ricordava, e ora le arrivavano quasi a mezza schiena, stretti dietro la nuca da un elastico. Gli orecchini punk erano spariti, anche se aveva conservato la fila di anellini che correvano sull'elice dell'orecchio destro, e gli parve anche di riconoscere quello che gli aveva regalato lui per il suo sedicesimo compleanno, color rosso fiamma.
Vedendola lì davanti a lui, viva e illesa, sentì all'improvviso ogni strascico di tensione sparire: non sentiva più fame né stanchezza, e anche il mal di testa era diventato un ricordo sbiadito, un fastidio marginale che non riusciva a impensierirlo.
- Cosa?- chiese l'uomo di nome Kevin - Perché?-
- Ti ho parlato di lui.- rispose Madison, senza smettere di guardarlo - Non preoccuparti... è Jessie.-
Si guardarono negli occhi per alcuni istanti, senza parlare, fino a quando lei non mosse qualche passo, avvicinandosi fino a metterglisi proprio di fronte. Il silenzio durò ancora un altro momento, poi lei serrò la mano facendo sporgere appena la nocca del dito medio e lo colpì con forza alla spalla.
- Ahio!- esclamò Jessie, indignato.
- Questo è per aver detto che sono un'impicciona egoista!- sbottò lei - Questo è per non aver mollato quella zoccola quando te l'ho detto!- continuò, dandogliene un altro - E questo è per aver spento il telefono stamattina!- esclamò, dandogli un terzo pugno.
- Ehi... ehi! Ferma!- protestò Jessie, sollevando le braccia per proteggersi - Ho attraversato il Sud Dakota in piena apocalisse zombie, vuoi smetterla di colpirmi?-
- Già, si vede!- sbottò lei, strappandogli di mano il piede di porco - Ma dico, ti sei visto? Sei sempre il solito, Jessie Shaw! Dovresti pensare di più a te stesso, stai una merda! Su, vieni dentro... stronzo...- brontolò, precedendolo in casa.
Jessie si massaggiò la spalla ancora per un momento, seccato e divertito al tempo stesso, mentre la mano di Kevin gli dava una pacca sulla schiena.
- Scusa.- disse - Vedendoti così conciato ho pensato che fossi uno sciacallo o che so io...- si giustificò con un sorrisetto di scuse - Ma tanto questo non so neanche come usarlo... è pure scarico, e credo non funzioni più... dai, entriamo. Io sono Kevin Malone.-
- Sì... Sandy mi ha parlato di te.- rispose Jessie - Sei il suo ragazzo, vero?-
- Già. Insieme da quasi due anni. Ma basta parlare di noi, non ha fatto che pensare a te tutta la giornata. L'hai fatta preoccupare.- fece un cenno col capo, invitandolo a precederlo - Forza. Hai fame?-
Il suo stomaco gorgogliò all'improvviso.
- Da morire...- ammise, entrando in casa.
***
La casa era come Jessie la ricordava, con pochi quadri alle pareti e nessun fronzolo, in linea con lo stile semplice e sobrio di Sandy, il quale aveva dovuto accettare i suoi pochi soprammobili e qualche quadro più per compiacere la figlia che per gusto personale.
Ora, comunque, tutto il mobilio (il tavolino da salotto, il divano, il tavolo da pranzo, la libreria, la cassapanca e lo scaffale della televisione) erano stati spostati dal soggiorno, che ora appariva vuoto e spoglio, per essere usati come rinforzi di fortuna per la porta. In quel momento erano tutti gettati da un lato, come se fossero stati spostati di corsa: Madison, vedendo la scena all'esterno, doveva aver cercato di aprire il più in fretta possibile, spingendo alla meglio tutto quanto dove non poteva ostruirle il passaggio. Qualche asse si era scheggiata, e uno degli sportelli di vetro dello scaffale si era rotto spargendo frammenti sul pavimento.
Le imposte erano state coperte con lenzuola strappate, nastro adesivo e vecchi asciugamani, bloccando ogni spiraglio che potesse far passare la luce, luce fornita da una dozzina buona di candele poste al centro della stanza, direttamente sul pavimento, vicino a due cuscini e qualche avanzo di cibo in scatola.
Madison stava scendendo in quel momento dalle scale a destra della porta con un terzo cuscino tra le braccia, brontolando qualcosa di indistinto. Mentre Kevin chiudeva la porta a tripla mandata e rimetteva il catenaccio, lei agguantò Jessie per la maglietta e lo costrinse a sedersi accanto a lei, senza perderlo d'occhio. La sua espressione ora era torva, veramente torva, come se ci fosse qualcosa che la infastidiva.
- Che c'è?- chiese Jessie, sistemandosi sul cuscino che lei gli aveva dato.
- Ti sei visto?- chiese Maddie, passandogli una bottiglia d'acqua - Stai uno schifo. Sei sporco, sei pieno di tagli... sei venuto qui ruzzolando?-
- No, io...- bevve un sorso dalla bottiglia per prendersi tempo, mentre alle sue spalle sentiva dei movimenti. Con la coda dell'occhio vide Kevin che raddrizzava (non senza qualche sforzo) i mobili della barricata per bloccare di nuovo la porta - Vuoi una mano?- gli chiese, voltandosi.
Madison lo prese per l'orecchio e lo costrinse a guardarla.
- Lui se la cava bene da solo.- disse perentoria - Porca miseria, hai fatto qualcosa di stupido, vero? Hai detto a me di non uscire, e tu ti sei ficcato nei guai! Tipico di te, non sei capace di...-
- Maddie, lo lasci respirare?- sospirò Kevin, interrompendo per un momento il suo lavoro - Dai, è qui... sta bene. Giusto?-
- Ho avuto qualche problema, è vero.- ammise Jessie, prendendo la mano di Madison e staccandola dal suo orecchio - Tipo un tizio che mi ha speronato rompendomi il cellulare e un paio di zombie che volevano fare colazione con la mia faccia, ma non mi hanno morso... piuttosto mi sono fatto graffi, lividi e mi è venuto un principio di infarto per la paura, ma nient'altro. Ho preso un furgone dove lavoravo e qualche cosa utile. Voi due invece?-
- Abbiamo avuto una giornata intensa.- ammise Kevin, sedendosi accanto a loro - Raccontaci la tua, noi ti raccontiamo la nostra.-
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