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Cap. 6

Ferma di fronte a chi si avvicina un po' a me, anche se solo in modo pratico. Abbandonando l'unico amore della sua vita, appoggiata distrattamente dall'altra parte della strada.

Lei è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere anche fisicamente dal mondo. Quella a cui si concede più che a una donna.
L'oggetto inanimato che si prende più attenzioni di cui lui riesce a regalare agli altri.

Non è un caso che abbia scelto un freddo corpo d'acciaio da amare, una cosa capace di non poterlo ferire.
Lui che di ferite ne ha fin troppe, quelle fisiche impresse da chissà quale rissa, in chissà quale posto.
Quelle emotive di cui conosce perfettamente la provenienza, ma che cerca di nascondere.

Quanti punti di sutura hanno incontrato il corpo di Luca...
Quanti altrettanti invisibili ha dovuto curarsi da solo...
Quante chiamate ricevute da infermiere sconosciute, ha ricevuto mamma...
Quanti dolori avrebbe potuto risparmiarsi, se solo avesse voluto...
Almeno quelli fisici; ma così facendo temo si sarebbe spento definitivamente.

Lui che cova i suoi rancori e li fa esplodere su chissà quale malcapitato.
Chi lo conosce lo evita, chi ancora no imparerà presto a farlo.
Si sposta i capelli neri dal viso che gli incorniciano uno sguardo altrettanto scuro.
Un gesto che fa spesso distrattamente, quasi a voler scacciare via i pensieri per un momento, per cercare di interagire con chi ha di fronte.

"Mamma non è ancora tornata da lavoro", mi dice.
"Buongiorno anche a te, Luca ", gli rispondo sarcastica.
"Non c'è nulla da mangiare di sopra, ti ho solo aspettato per darti le chiavi", dice mentre me le lancia.
"Di' a mamma che mi faccio un panino e torno a lavoro." Si congeda così, con un gesto d'attenzione dovuto e non sentito.

Sale in sella alla sua Suzuki gialla e con un mezzo giro di chiave dà vita a quel corpo affusolato che accoglie il suo in modo perfetto.
Forse nemmeno tra due corpi caldi potrebbe esserci un incastro simile.
Ruggisce sotto la mano del suo padrone in un secco giro di acceleratore. Quasi a voler far eco dei pensieri di chi la guida. Quasi a voler gridare la rabbia di chi la possiede.
Riesce ad urlare al mondo quello che forse lui si impedisce di fare.

È così che mi lascia e si allontana: di schiena, come sempre. Lo vedo dissolversi ancora di più. Un altro secondo scandito e sparisce definitivamente dalla mia visuale.
E io mi ritrovo a pensare a come sia possibile sentirmi ancora più sola.
Proprio ora che, chi non mi ha mai mostrato attenzioni, o si è guardato bene dal farlo, si è lasciato questa via alle spalle.
E con essa anche una parte di ciò che potremmo essere, e che forse non saremo mai.

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