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Cap. 3

Musica ad un livello inaudito a pompare dalle casse dello stereo.
Affogo un raptus omicida tra cuscino e materasso.
Un veloce sguardo alla stanza in cerca della sveglia, con le 7:30 che lampeggiano da lontano.

Le 7:30 di un dannatissimo sabato mattina.
L'oggetto inanimato che fisso in cagnesco riderebbe di me, se potesse.

"Davide, spegni quell'aggeggio infernale, è sabato!", urlare non serve affatto. Il volume che non cala di una tacca, mi giro di schiena in cerca del disturbatore e lo trovo ai piedi dell'enorme stereo a torre; seduto a gambe incrociate sul pavimento tra pile di dischi, intento a scartare.

Il rituale, quello di ogni sabato mattina a darmi il buongiorno è sempre lo stesso.
L'indecisione tra chi o cosa sia più diabolico: Davide o lo stereo?
L'ultima remota speranza di continuare a dormire mi abbandona definitivamente. Poggio la schiena al letto, le braccia conserte in disappunto, come a voler ribadire il concetto di ogni sabato mattina.

Lui che evita di girarsi, negandosi così di guardare la riuscita al suo intento.
"Buongiorno, Nina! Come mai già sveglia?", a deridermi non poco.

E il mio odio verso quel nomignolo che mi hanno affibbiato anni addietro.
La voglia di prendere a cuscinate lui e quello stupido diminutivo a farsi strada nei pensieri.
Si volta, finalmente. Per constatare di aver avuto successo; di nuovo.
Ed è lì che sciolgo ogni riserva, verso chi avrei strozzato molto volentieri solo un minuto fa. Col suo sguardo su di me carico della distanza temporale e non fisica che ci ha diviso alla nascita.

Un salto di undici anni tra due persone nate nella stessa casa, dalla stessa madre.
Il primo amore, io per lui. L'unico calore, lui per me.

E accontentarmi di viverlo solo per pochi attimi di tempo rubato al lavoro.
Il suo modo di farmi sapere che c'è anche non essendoci veramente, in sabati come questo.
Questo è il mio vivere Davide, con tutti i suoi pro e contro.
Col suo viso da bravo ragazzo per antonomasia, con gli occhi da cui non traspare alcuna ombra.
Non vi è demone alcuno, velato dietro il suo sguardo; solo un quasi uomo e un po' ancora ragazzo a definire i suoi lineamenti.

La dolcezza che contraddistingue i suoi modi; verso di me, verso gli altri, verso chi forse approfitta di questa sua virtù. E non saper stabilire da parte mia se si possa definire pregio o difetto. C'è un unico contro a tutto questo; l'assenza dovuta al lavoro.
Ricercata da lui, forse. Troppo sentita da me, di sicuro.
Quando rifuggire questo posto in modo inconscio, è la sua priorità assoluta. Con me che tento di scusarlo in qualche modo.

E non provo biasimo, non posso. Verso chi ha avuto il coraggio di allontanarsi, anche se involontariamente da qui, da me, da tutto il resto.

E domande che nascono prepotenti in me, sempre e senza eccezioni, anche stavolta: quando, una persona si ritiene matura per evadere da ciò che non si accetta?
Quale età anagrafica può ritenersi idonea, in una società che tiene conto solo dell'aspetto esteriore, e non bada alla vecchiaia che ti cambia dentro?
Qual è il metro di misura per tutto questo?

Le risposte non arrivano mai, al solito. Ci saranno anni ancora, a tenermi incollata qui, dove sono adesso, in questo momento.
Proprio come ora, a guardare dritto negli occhi la mia via di fuga in un sabato qualunque, uno dei tanti, aspettando il prossimo a venire.
Solo io, Josephine. O solo Nina, come hanno scelto gli altri. E con me Davide; sorrisi sinceri e musica in sottofondo da colonna sonora ai nostri attimi.

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