Cap. 26
"Ti prego, Luca, rallenta!", la mia disperazione, che si perde alle nostre spalle.
La corsa furiosa almeno quanto i pensieri di chi sta maltrattando l'acceleratore, in questo momento.
Tenta di espellere dal petto la rabbia, cercando forse pace in una dose massiccia di adrenalina.
"Luca!", grido ancora. E mai come stavolta sono sicura non mi senta realmente.
È un misto di vento, rumore meccanico e dolore interno che non gli permette di ascoltare null'altro se non la sua follia.
Lo stringo così forte da avergli conficcato le unghie nella carne, molto probabilmente avrà i segni, ma non gli importa.
Non sente né voci, né tocchi fisici, ha timpani solo per la strada; è da lei che cerca assoluzione, Luca, quando i peggiori demoni bussano alla gabbia toracica.
Si insinuano nel cuore annebbiandogli la mente, e di conseguenza gli occhi.
E non vede, non ascolta, non sente nulla se non la sua rabbia, il suo rancore, il suo odio.
Fugge per allontanarsi il più possibile da ciò che gli causa dolore, o forse cerca di andargli incontro il più velocemente possibile.
Per questo gli occorre la moto: gli permette di scappare e avvicinarsi a suo piacimento.
Si allontana dai suoi fantasmi quando non può far altro che subirli, e cerca di rincorrerli quando si sente deriso da loro.
E di sicuro è proprio loro che sta vedendo attraverso questa corsa, in fondo a questa strada; chissà se lo aspetteranno.
Chissà se una volta nella vita si lasceranno prendere, o se si dissolveranno come sempre: tra ruote che consumano strade, serbatoi che succhiano carburante e odio e disperazione che corrodono Luca come il più letale degli acidi.
E trattengo gli occhi aperti per quel poco che mi è concesso dal vento.
Le lacrime che bagnano i miei occhi non hanno tempo di scendere sul viso; nascono e muiono un attimo dopo aver inumidito le ciglia. Colpa del vento e del freddo di questa stramaledetta sera.
Ed io che non piango mai sono diventata inerme, a subire la volontà di queste due ruote che non accennano a frenare un attimo.
Dove credevamo di fare una cosa giusta, e siamo stati ripagati nel peggiore dei modi.
Nonostante la paura, il freddo e la rabbia, voglio vedere la strada avanti a noi, e sembra non finire mai, come tutte le cose che entrano in contatto con la nostra esistenza.
Un rettilineo di spiacevoli emozioni, un senso unico infinito in cui non ci è permesso di fare manovra alcuna per tornare indietro.
E anche adesso come nella vita, non abbiamo nessuna protezione; i caschi abbandonati a casa nella fretta di uscire. E mai come ora ho seriamente paura di morire.
Un lampeggiare indistinto di colore blu, ci allerta in lontananza.
Un'auto della polizia sembra aspettare proprio noi.
Un'agente sventola la paletta per richiamare l'attenzione di chi si trova alla guida.
Luca scala le marce imprecando contro ogni Santo esistente, e frena bruscamente tanto da far stridere il disco del freno e le ruote, sull'asfalto.
Mi stringo più salda ai suoi fianchi nel tentativo di non cadere, ringraziando gli stessi che prima lui malediceva.
E non importa delle spiegazioni che dovremo dare, della mancanza di caschi, della corsa che rasentava il ridicolo oltre che i limiti di velocità, del ritardo che di sicuro faremo, nonostante tutto; per la cena, per mamma, per quel padre che di sicuro aspetterà ansioso il nostro ritorno a casa. Non per angoscia, non per amore, solo per affrontare due spine nel fianco che gli hanno rovinato la sua mano a poker, irrompendo in una delle topaie in cui passa tutto il suo tempo.
"Favorisca i documenti, per cortesia. Oppure stava correndo tanto veloce perché li ha dimenticati a casa?", ironizza l'agente di polizia, mentre vedo affiorare un sorrisino beffardo agli angoli della bocca di Luca.
E spero vivamente che non cerchi di farsi arrestare sfogando la sua rabbia proprio adesso.
Sarebbe la realizzazione della giornata più schifosa al mondo in assoluto. Intento a cercare i documenti vari da presentare, e con ancora il sorriso sulle labbra, si gira di colpo verso di me, come se solo ora si fosse accorto della mia presenza, e mi guarda accigliato, mentre mi stringo nel mio giubbotto.
Un veloce sguardo nel finestrino dell'auto parcheggiata al mio fianco, per vedermi senza riconoscermi; i capelli spettinati, sono un groviglio di nodi in cui non riesco nemmeno a passarci le dita Il volto pallido e gli occhi arrossati e lucidi per il freddo.
Non so chi sembri conciata così, ma di sicuro non ho una bella cera.
E lo vedo dal modo compassionevole con cui mi fissa Luca e anche l'altro agente che ha affiancato il suo collega.
La verità è che non me ne può fregar di meno, so soltanto che voglio tornare a casa il prima possibile.
Prima che mio fratello si becchi una denuncia, prima che mamma si preoccupi oltre, ma soprattutto prima che il mezzo uomo che arriverà prima di noi, inizi a sfogare la sua frustrazione su di lei.
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