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Cap.20

Un lungo giro che non mi aspettavo, si è tramutato così, il mio allontanamento elemosinato a Luca. Anche se credevo sarebbe durato poche centinaia di metri.
Gli occhi chiusi attaccati alla sua schiena, sono stati la mancanza di orientamento che cercavo da lui.

Il vento, l'unico indizio concesso nella corsa che non accennava a fermarsi.
Non ho voluto vedere cosa mi lasciavo alle spalle; non ho voluto sapere dove mi stava portando la sua moto.
Ho solo sperato. Ho sperato che una fuga sarebbe servita a non soffrire.
Sto soffrendo in questo momento, non so esattamente per cosa, ma sto soffrendo.

Soffro per quello che ho visto e per ciò che ho provato vedendolo.
Soffro per la consapevolezza che si è insinuata in me a velocità maggiore di quella che sto percorrendo.

Perché mi è bastata un'unica occhiata rivolta a due sorrisi, per girarmi a guardare i miei, di sorrisi passati, e vederli scivolare sempre più lontano.
I sorrisi passati che mi hanno aiutata fino a ieri ad affrontare i giorni a venire, solo per poterli rivedere.

È questa la mia consapevolezza.
È questa la mia sofferenza.
Questo il dolore che ho provato, che sto provando, e che spero sia scivolato un po' via nel vento di questa notte.

La brusca frenata, è il capolinea che ho timore di vedere.
Scaccio l'immagine del portone al civico settantadue dai miei pensieri.
Un profumo ad indicarmi la mia casa lontano da casa.
Il profumo di libertà, di immenso, di distese limpide in cui perdere lo sguardo, e a volte anche se stessi.

Il mare, di nuovo il mare, due volte in un giorno, in entrambe, ricerche di evasione: stamane per sentirmi viva e sola al tempo stesso. Stasera per essere in compagnia e sola in ugual modo.
La salsedine che respiro a pieni polmoni.
La salsedine, è il sale che non brucia le ferite che ho dentro.

Si è fermato, Luca; si è fermato proprio qui al mare.
Forse, in fondo, anche se non mi degna di attenzioni ha sentito il mio bisogno.
O forse sarà stato solo un caso, ora non ci voglio pensare.

Voglio godermi il mio silenzio sommato al silenzio di Luca.
Il suo perdersi tra mille voci di estranei su questo lungomare.
Tra le risate di famiglie felici che passeggiano in armonia.
Tra i pianti di bambini che non sono esauditi alle loro innumerevoli richieste.
Tra baci di innamorati e carezze rubate agli occhi di estranei.
Tra la musica della banda che suona per la strada, al passaggio della statua di un Santo.
Donne che seguono la sua scia tra venerazione e falsi presagi, in un corteo che aspetta a passo funebre. Aspetta che una comune statua gli dia le attenzioni e le assoluzioni che chiedono, che ricercano. E non si accorgono che è solo una fredda e dura immagine, che stanno rincorrendo.

Il loro rendere superiore una cosa tanto comune mi dà il voltastomaco.
Il loro non rendersi conto di essere uguale agli altri.
Siamo tutti uguali su questa terra, nessun migliore e peggiore, nessun primo e nessun ultimo, nessun bisognoso superiore ad altri.
Solo gente comune; fatta di carne, di bisogni, di dolori, di sofferenze, fatte di sentimenti.
Gli stessi sentimenti che possono accomunare milioni di persone e renderle uniche allo stesso tempo.

È questa che sono io stasera, è questo che siamo io e Luca: siamo due persone che si perdono tra il mare alle nostre spalle, quello fatto di acqua, e sale, e sensazioni infinite per ognuno diverso. E il mare di gente comune che stiamo guardando e ascoltando.

Solo noi, senza essere lì veramente.
Lui, perso tra i suoi pensieri; io che penso ai suoi, ai miei, e a Davide che in questa sera di evasione, di richieste, di vento tra i capelli e nuvole che trattengono il loro pianto, è diventato il mio fantasma personale.
Il fantasma che ho potuto evitare in questa sera, ma che ritroverò in quella casa che da oggi in poi sarà ancor più fredda.

L'ultima fiamma che si spegne, l'ultimo calore che si allontana.
Da me, dalla mia vita, e da quella casa che condivido con chi stasera ha voluto e ha saputo guardarmi come non ha mai fatto prima.

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