Cap. 16
Campane che suonano in lontananza: la mia sveglia personale.
Campane della basilica in piazza che richiamano chi ha la giusta fede o peccati da espiare.
Io non posseggo né l'una né gli altri;
il Dio a cui non credo è il padrone di quelle mura che in una domenica qualunque suonano a festa.
La mia solita domanda fatta a voce alta, anche stavolta: "Cosa avranno da festeggiare, poi?" Nessuna risposta arriva, come sempre.
Come tutte le domeniche mattina mi risveglio da sola.
Casa completamente vuota a ricordarmi il giorno in corso.
Il banco al mercato è il lavoro domenicale di tutta la famiglia.
Tutti tranne me, tranne Giulia; che in questo momento è al piano di sotto che dorme.
O magari si starà preparando per andare in chiesa col resto dei farisei.
Ieri è stato un sabato diverso, diverso dal solito.
Niente musica per me, alle sette e trenta precise: niente sorrisi, niente calore.
Il letto di Davide vuoto, è stata solo la conferma alla sua assenza.
Il dubbio di un suo comportamento strano si insinua tra i pensieri: sempre meno presente, anche di sabato. Quel sabato che aspetto tanto, lo stesso che ieri è diventato un giorno uguale agli altri.
Nessun calore, nessun sorriso. Solo un letto vuoto al suo posto, più vuoto di come mi sono sentita.
Ho voglia di uscire, oggi, non me ne starò chiusa in casa anche stavolta.
Seppur senza amici posso benissimo starmene da sola.
C'è il sole fuori, e seppure amo la pioggia ho scelto lo stesso di fare due passi.
Ho bisogno di starmene per conto mio all'aria aperta. Al mare. È lui la mia scelta: il mare.
Poche fermate di metrò e potrò godermi il silenzio dell'acqua che riesce a sposarsi in modo perfetto col mio.
Il pigiama vola sul letto, la doccia lava via i residui di sonno; jeans, maglia di Luca anche stavolta, un veloce sguardo allo specchio, e poi la decisione di lasciare i lunghi capelli sciolti. Voglio sentirmi libera, ho già un groviglio di problemi in testa, non mi serve un nodo in più.
Il walkman in tasca, e la speranza che le batterie non mi abbandonino nell'altra, prima di andare.
Mi confondo così tra i fedeli che si apprestano ad andare a messa.
La strada che da casa porta al centro della grande piazza, è un fiume di gente ben vestita e all'apparenza per bene. Mi chiedo se vadano a lodare il loro Dio o a una sfilata di moda, lì dentro.
Le panchine di fronte alla chiesa sono tutte occupate da ragazzi e ragazze poco più grandi di me.
Giulia è l'unica mia conoscenza, in quel branco di estranei.
Il mio avvicinarmi, la illude sia lì per lei. Con un cenno di testa la saluto, sorpassando insieme ai suoi amici anche la delusione sul suo volto.
I loro occhi sconosciuti mi guardano come fossi un fenomeno da baraccone; occhi che ormai non fanno più male come una volta.
L'abitudine diventa l'armatura da indossare ogni volta che ciò accade.
Non mi fanno più male gli occhi degli altri, gli occhi di chi vede solo il superficiale, di chi non conosco, di chi non mi conosce. No. Non fanno più male.
Occhi di chi non è interessato a guardarmi veramente.
Occhi che appartengono a chi non voglio mostrarmi.
Lo specchio dell'anima, gli occhi. Il mio sarà un po' appannato, ma pur sempre uno specchio.
Nessuno finora che ci abbia mai visto il suo riflesso. Vedono tutti solo il marrone delle iridi, mentre i miei dietro hanno centinaia di sfumature, ma nessun attento osservatore ne ha mai scorta alcuna.
Una donna anziana un giorno per strada mi disse: "si offende signorina se le dico una cosa?"
"Dipende", la risposta alla mia solita chiusura.
"Lei ha gli occhi tristi", mi disse.
"Si sbaglia", lo scudo con cui tendo spesso a proteggermi.
"Può darsi, ma raramente mi sbaglio", la conferma alla mia bugia.
Il calore in un sorriso il suo saluto prima di lasciarmi sola, e oggi ancora mi chiedo cosa avrà mai visto quella donna dentro ai miei occhi.
Dietro agli occhi che mostro a tutti, occhi che nessuno finora ha guardato con la giusta attenzione.
Occhi marroni e iridi scure a bilanciare un animo inquieto.
Occhi che all'apparenza sono monocromatici, che però nascondono sfumature di ogni colore, dietro.
Occhi che mostro a tutti, ma che nessuno finora ha osservato con la giusta attenzione.
Occhi che in questo momento si stanno perdendo tra centinaia e centinaia di occhi di ogni colore, di ogni sfumatura. E chissà se gli altri, sono riusciti a trovare chi in quegli occhi ci si è volutamente perso, solo per ritrovare il pezzo mancante di se stesso in mezzo a centinaia di altri colori.
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