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4.Jiv

Sofia, febbraio 1983

Le dita della mano di Violeta si chiusero in un pugno piccolo ma potente. «Dillo un'altra volta, gnusen cervey takŭv¹!» gridò con tutta la voce che aveva in corpo, mentre Liuben spostava confuso lo sguardo dalla sorella all'Ophliro che l'aveva appena aggredito verbalmente senza che il piccolo se ne accorgesse. Il piccolo barattolino di kiselo mlyako², ancora rovesciato a terra, aveva sparso il suo contenuto bianco come una ferita ancora sanguinante sul pavimento solitamente lindo della Nova Ephia.

L'uomo che aveva di fronte poteva essere sui quaranta o trent'anni, ma Violeta non ebbe paura nemmeno quando il suo viso si distorse in una smorfia di ribrezzo e odio profondo.

«La prego, non intendeva dirlo veramente Gospodin³,» provò a intromettersi Konstantin, «sono sicuro che gospojitse Violeta non intendesse arrecarle alcuna offesa...»

Alcuni degli Ophliri vicino a lui scostarono malamente il suo tutore, chiamandolo Metephro accostato a un appellativo che la bambina non comprese ma che di sicuro non doveva essere un complimento.

«Vuoi che ripeta, momice?» continuò l'Ophliro, come se l'altro non fosse nemmeno intervenuto. Lei rispose assottigliando lo sguardo e arrivando a conficcarsi le unghie nei palmi per quanto i suoi pugni erano stretti.

Con un ghigno, l'uomo voltò il capo verso il visino innocente di Liuben, e ripeté quelle orribili parole: «Perché tu sei vivo, sporco traditore, mentre mia figlia di sei mesi è dovuta morire a causa del problema da voi provocato? Eh? Perché?»

Violeta si lanciò in un grido selvaggio e balzò addosso all'Ophliro, tempestandolo di pugni e morsi, come un animale indemoniato. Poteva anche essere ancora piccolina di statura, e non possedere una forza tanto sviluppata, ma compensava tutto con rapidità e determinazione.

Peccato però, che quello fosse un Ephuro adulto addestrato come guerriero esperto, e nulla potevano le sue artigliate selvatiche contro cebrim, Movimenti e Sincronie. Dopo un iniziale sbigottimento, infatti, Violeta fu lanciata indietro violentemente e fu pervasa da un intenso dolore al cranio. Udì la sottile vocina di Liuben e quella più sviluppata di Konstantin chiamarla, poi il mondo si sfocò, e la giovane perse i sensi.

«È stato lui a cominciare!» tentò di giustificarsi, pur sapendo che era impossibile. In particolare, con uno come Maksim Razumov. L'uomo camminava intorno a lei come un avvoltoio attorno a una preda in fin di vita nel deserto, pregustando il sapore succoso che avrebbe avuto una volta morta.

«Io e Liuben stavamo giocando tranquillamente nel cortile della scuola. O meglio, lui giocava con quella sua macchinina e intanto mangiava un po' di kiselo mlyako imbrattandosi tutto e io non facevo altro che pulirlo ogni due secondi, parlando con Konstantin. Quell'Ophliro è arrivato all'improvviso e ha rovesciato a terra kiseloto mlyako, cominciando a gridargli contro cose prive di senso!»

L'uomo scosse la testa, con fare di rimprovero. «L'unico motivo per cui quel pover'uomo aveva dei risentimenti, era a causa vostra, malka Grigorova. L'ultimo Vortice, che ha colpito a Kumanovo, in Macedonia, ha ucciso sua moglie e la sua piccola bambina, e lui è costretto a prestare servizio in questo posto a badare ogni giorno agli stessi ragazzini viziati che continuano a nascondere la soluzione al problema. A causa dell'egoismo tuo, di tuo fratello, e di tua sorella, Violeta, le vittime continueranno ad aumentare! Se davvero vuoi che tutto questo finisca devi convincere tua sorella a parlare. Inoltre, questo tuo comportamento... irruente non ti porterà a nulla di buono, e non è la prima volta che te lo dico. Per imparare a comportarti a dovere, passerai un'altra notte in cella.»

«Kakvo? Ma non è giusto!» strillò con rabbia scattando in piedi. Non appena si sentì afferrare per le braccia, prese a scalciare come un'indemoniata e sputò addosso al russo. Avrebbe voluto colpirlo in un occhio, ma il significativo divario di statura tra i due fece sì che il piccolo gruzzolo di saliva non superasse l'altezza dell'ombelico.

L'ira lampeggiò ugualmente negli occhi scuri di Maksim come Violeta aveva visto fare spesso e l'uomo si abbassò al suo livello, posando lentamente un ginocchio a terra. La bambina si rese conto che non si sarebbe mai stancata di sfidarlo, nonostante già molte altre volte si fossero trovati in quella situazione, sempre con il generale Ophliro dalla parte del vincitore, ovviamente. Era senz'ombra di dubbio l'essere vivente che Violeta detestava più al mondo. «Sei una ragazzina troppo irriverente Violeta. Questo finirà prima o poi per metterti in guai grossi, e sappi che io aspetto con ansia quel momento. Sarò in prima fila ad assistere alla tua rovina.»

Lei si limitò a ringhiare, provocando un'occhiata di sdegno nel suo interlocutore.

«Portatela via».

«Si può sapere che ti è preso?» la accolse Yordanka con uno scappellotto sul collo, quando, la sera seguente, fu tornata in camera sua.

«Ohh!» gridò con rabbia, lanciando uno sguardo assassino alla sorella. «Grazie per l'accoglienza be

Non era il massimo essere aggredita in quel modo da Dànceto, dopo aver passato una notte e quasi tutto il giorno seguente chiusa in una cella dalle accecanti luci verde-Arkonante, priva di letto e finestre, trascorso a fare congetture inutili su tutti quelli che odiava e a girare su se stessa fino allo sfinimento.

«La nostra situazione è già abbastanza complicata senza che tu ti metta ad attaccare briga con-»

«Ha cominciato lui!»

«Non ha importanza per noi, lo capisci? Devi smetterla di fare così, Leta!»

«E dovrei fare come te? Subire in silenzio!? Nikoga¹⁰

«Le vostre grida sveglieranno l'intera Ephia, volete finirla?» si intromise in quel momento la voce atona di Petar, appena uscito dal bagno con aria tetra, abbozzando uno dei suoi lievi sorrisi storti che trasmettevano sempre una sorta di tristezza mescolata a malinconia, facendo sentire a disagio Violeta. Era già in pigiama, e doveva aver appena terminato di fare il bagnetto a Liuben perché il piccolo trotterellò da dietro di lui correndo verso Violeta con un ampio sorriso e abbracciandola forte quando la bambina si chinò ad accogliere le sue manine paffute protese verso di lei mentre esclamava con gioia incontenibile: «Kako¹¹

Finalmente qualcuno che fosse veramente felice di vederla! Liuben era l'unico con cui sia lei, che Yordanka, e persino Petar andavano sempre e pienamente d'accordo. Come assicurava il suo stesso nome, era impossibile non amarlo, con quel visino rotondo e i capelli marroncini sparati da tutte le parti, e soprattutto per l'innocente dolcezza con cui affrontava ogni cosa, a partire dalle aperte manifestazioni d'affetto nei confronti dei suoi fratelli, fino alle risate leggere che animavano i suoi giochi. Le sue grida, gli occhi che si facevano lucidi per le lacrime e una qualunque delle sue espressioni infelici erano invece come ferite alla sua stessa persona, per cui Violeta aveva sempre mal sopportato qualunque cosa o, meglio, chiunque osasse provocargliele, purtroppo sempre più spesso in quell'orribile ambiente in cui erano costretti a vivere.

«Dai, è ora della nanna!» sentenziò Yordanka, come se la discussione non fosse mai avvenuta, sbattendo le mani come una dittatrice.

«Non ho sonno» ribatté monocorde Petar, accucciandosi al suo solito posticino alla finestra a guardare fuori la neve che cadeva al suolo. Aveva cominciato a nevicare quel mattino a giudicare dallo spessore di quella che si era già depositata al suolo, a coprire le tracce rimaste dalle consistenti nevicate di gennaio, ma Violeta l'aveva scoperto solo quella sera quando l'avevano fatta uscire, ignari che indossasse una semplice maglietta di cotone e pantaloni di jeans che di certo non erano sufficienti a coprirla dalle sferzate gelide del vento e dai fiocchi di ghiaccio. Si sentiva ancora infreddolita ed era certa che si sarebbe pigliata un gran bel raffreddore.

Yordanka scrutò per un attimo suo fratello con un cipiglio. «Tu mi sembri troppo pallido oggi. Fa controllare.»

Petar sbuffò contrariato e prese a sollevare le maniche del pigiama per dimostrare alla sorella che quel giorno non si era provocato nessun graffio con il plettro destinato a Denislav. Anche se Violeta era sicura che quel giorno non l'avesse fatto – lo conosceva meglio di chiunque altro e sapeva sempre capirlo – distolse ugualmente lo sguardo per non vedere i segni delle ferite vecchie e si assicurò che anche Liuben non guardasse in quella direzione. Le provocava sempre un intenso disagio vedere il modo in cui suo fratello si riduceva.

Era stata proprio lei a scoprirlo, un giorno di cui non le piaceva ricordare, appena tre settimane dopo che il resto della sua famiglia era stato sterminato brutalmente dal Vortice. Liuben era venuto da lei in lacrime, lamentando il fatto che Petar si rifiutava di giocare con lui. Come una furia, lei era allora corsa ad aggredire il fratellone. Preda della rabbia, aveva pronunciato parole che non pensava e che ora si pentiva di aver detto, senza frenare la sua lingua troppo velenosa.

«Tu ci odi, non è vero? O per lo meno non ti importa nulla di noi! Non ti è mai importato nemmeno di tutta la nostra famiglia, per questo non hai pianto una sola lacrima quando sono morti, nalì¹²? Ammettilo, Petre, ammettilo!»

Mentre lo biasimava con collera, lo aveva afferrato saldamente al polso smilzo con la sua manina, senza accorgersi dell'espressione sofferente che a quel gesto aveva contratto le labbra del fratello. Solo una volta staccata la mano, trovandosela imbrattata di sangue, Violeta aveva lanciato un grido preoccupato, convinta di essere stata lei a provocare quella ferita con le unghie che Dànceto le ripeteva sempre di tagliare. Possibile che in qualche modo fossero passate attraverso la stoffa e avessero ferito Petar?

Pervasa dai sensi di colpa, dopo essersi tagliata le unghie, e ignorando l'espressione preoccupata formata sul viso di Petar, era andata a confessare a Yordanka e Konstantin l'accaduto. Il Metephro era stato il primo a capire, vedendo i numerosi tagli che addobbavano entrambe le braccia pallide e scarne del ragazzo, che era stato lui stesso a procurarseli. Violeta ne era stata sconvolta, e ancora adesso, dopo tutti quei mesi, continuava a non capire come fosse possibile farsi una cosa del genere, e soprattutto perché. A lei non era mai piaciuta la sensazione che provava quando capitava che si facesse un qualche taglietto, e non l'avrebbe mai cercata appositamente. Le era sempre parso talmente scontato e naturale che il dolore non fosse qualcosa da cercare ma da evitare che proprio non si capacitava delle azioni del fratello.

Eppure, nonostante questo, Petar aveva continuato a farlo. Ogni volta che Yordanka, Konstantin o Hristo se ne accorgevano lo sgridavano, ma non era mai servito a molto. Hristo, non essendo mai stato un tipo di molte parole, si limitava a lanciargli sguardi severi e a curargli le ferite. Solo una volta aveva detto una frase che l'aveva colpita: «Non puoi sommergere il dolore con altro dolore».

Konstantin, invece, si prodigava in lunghi discorsi morali e complessi che Violeta non aveva mai compreso pienamente; e Yordanka non sapeva mai come reagire: a volte si offendeva, come se avesse ferito lei invece che se stesso, altre si arrabbiava colpendolo con uno scapaccione sulla schiena o gridandogli contro di smetterla. Dopo una di quelle occasioni, Violeta l'aveva vista correre a rinchiudersi in un'altra stanza dove era scoppiata in un pianto disperato, di cui non aveva compreso il significato.

Perché Dànceto se ne angosciava tanto? Si sentiva in colpa? Eppure, era di Petar la scelta, lei non c'entrava nulla, era lui quello strano. Forse era pazzo, si diceva Violeta, o magari non sapeva più distinguere il dolore. Quale che fosse la ragione, a lei provocava solo un grande disagio la situazione di suo fratello, e l'aveva portata, quasi involontariamente, a tenere le distanze da lui.

Tuttavia, da allora, non l'aveva più accusato di non soffrire per la scomparsa della loro famiglia.

«A letto!» ripeté quella sera Yordanka, dopo aver tirato un sospiro di sollievo una volta verificato che in Petar fosse tutto a posto.

Prima che sua sorella potesse prendere in braccio Liuben per infilarlo nel lettino, Violeta diede voce a quello che pensavano tutti in quel momento, ma che nessuno aveva il coraggio di proferire. «Smettila di fingerti nostra mamma Danka, perché non lo sei. E sei anche una pessima kaka

Erano parole velenose, ne era consapevole, ma era ancora arrabbiata per la litigata di poco prima, così non se ne pentì nemmeno quando, a quelle parole, a Dànceto tremò il labbro inferiore, mentre Petar la rimbrottava: «Leto

La bambina roteò gli occhi. Lui stesso lo pensava, ma non aveva mai il coraggio di fare o dire qualunque cosa che potesse offendere nessuna di loro due. "Strahlivetz!¹³".

«Hai ragione, non sono la mamma. Però la mamma non c'è più, quindi non mi resta altra scelta che dovermi occupare di voi teste calde! Pensi forse che sia facile? Volevo vederti te al mio posto!»

Violeta avrebbe voluto ribattere che lei, tanto per cominciare, sarebbe stata in grado di affrontare l'odio che veniva loro rivolto con molta più disinvoltura della maggiore, facendo valere le loro motivazioni quando necessario. Tuttavia, gli occhi lucidi e il tremore nella voce di Yordanka furono sufficienti a frenarla dal peggiorare la situazione.

Dànceto si lasciò sprofondare in una poltrona e si coprì la fronte con una mano, come se fosse stanca. «Non sono niente. Non sono forte, non sono il tronco né le radici su cui si regge questo albero né mai lo sarò. Sono solo un ramo che cerca di sostenere un peso che non è in grado di reggere.»

A quelle parole così strane, Violeta fece un'espressione confusa quanto quella di Liuben. Non le piaceva essere inconsapevole di verità che coloro che erano più grandi sembravano invece comprendere. Era sempre stata convinta di essere più matura della sua età, come se ciò che aveva passato l'avesse fatta crescere più in fretta, eppure in certi momenti si sentiva così malka.

«Cosa intendi dire?» chiese invece Petar, dimostrando che questa volta pure lui non aveva capito le parole della maggiore.

Lei risollevò lo sguardo, come stupita che i fratelli le stessero prestando ancora attenzione, poi un'espressione più seria prese il posto di quella devastata, gli occhi cinerei accesi di una nuova determinazione. «Va bene, se proprio non volete dormire, allora vi racconterò una storia. O magari vi convincerò a dormire proprio raccontandovela!»

A Violeta piacque subito la proposta; Dànceto non gli aveva mai raccontato nessuna storia, e neanche la loro mamma lo aveva mai fatto prima. Perciò se questa volta aveva deciso di farlo doveva esserci un motivo particolare!

Quando sia lei che Petar furono sotto le coperte, e Liuben posizionato nel suo lettino a infilare le dita tra le sbarre come un prigioniero, Yordanka cominciò a raccontare.

«Questa leggenda mi è stata riferita da Bilyana. Mamma l'aveva raccontata a lei e a Denislav quando era morta la nonna.» La morte della nonna sembrava un evento così lontano nella mente di Violeta, forse perché facente parte di tutti quegli avvenimenti verificati prima che tutto cambiasse. Era come se un grosso muro la separasse da tutto ciò che c'era stato e che era stata lei stessa quando ancora poteva considerarsi una bambina normale con una famiglia completa.

«È la storia su cui è basato lo stemma della nostra famiglia: un grande albero dalla chioma ramata privo di foglie. Non lo si vede spesso qui perché gli Ophliri l'hanno coperto con mille simboli di orsi Razumov e delfini del loro ordine o dei Mindsmith. Se ci fate caso, però, nel cancello d'ingresso è inciso un albero. Ecco, questo albero si chiama Jivonhir, ed era un albero sacro nell'antica Ephurias».

A quelle parole Violeta sgranò gli occhi. L'antica civiltà perduta degli Eph, specie da cui loro Ephuri erano stati originati, era sempre stata ammantata dal mistero. Non ne era rimasto praticamente nulla, esclusi quei fantomatici frammenti che negli ultimi due mesi, da quando era cominciata la guerra per via del ritorno dell'Erede di Arkon, erano sulla bocca di tutti a causa della fin troppo fruttuosa ricerca dei loro nemici, gli Arkonanti.

«Ci sono diverse ipotesi sull'origine di questo misterioso albero, con l'unica certezza che fosse talmente antico che le sue radici affondavano nella terra già diversi secoli prima dell'avvento degli Eph ed è possibile che questi ultimi, riconoscendone la sacralità, abbiano semplicemente deciso di raccoglierglisi intorno. Fatto sta che Jivonhiroto dŭrvo¹⁴ divenne il fulcro della loro civiltà; veniva venerato e le sue ampie fronde erano sempre un rifugio per chiunque. Entrarono talmente in sintonia con esso che, quando il disequilibrio provocato da Arkon dilagò in tutta Ephurias, dividendo la popolazione tra coloro che lo seguivano e coloro che invece non lo sostenevano, l'albero ne rifletté la divisione e il disordine e cominciò a imbruttirsi e adombrarsi, fino a perdere un ramo dopo l'altro.»

Yordanka si sedette ad accarezzare i capelli di Violeta, intenta ad ascoltare con gli occhi spalancati e attenti, curiosa di sapere il seguito. Non la infastidì quel gesto tipico della loro mamma, non in quel momento; anzi, le trasmise un profondo e inaspettato uyut¹⁵.

«Alcuni Eph, vedendo la fine che lo Jivonhir stava facendo, lo imputarono colpevole della pazzia di Arkon e provarono a buttarlo giù, ma ogni tentativo non riscosse alcun successo. L'unica cosa che ottennero fu di fargli perdere altri rami, ma nonostante questo il tronco rimase saldo alle radici, pur con tutte le capacità illimitate con cui lo attaccarono!»

«Ma perché? Non lo consideravano sacro?» ribatté sconvolta Violeta.

«Non erano più gli Eph di un tempo, ormai erano creature corrotte fin nel profondo dei loro Cerebrum dal loro stesso disequilibrio interiore che li portava a trovare nemico tutto ciò che li circondava e a non fargli bastare più nulla, con l'unica inevitabile conclusione di auto-provocarsi il loro stesso dolore, fino a quando Arkon raggiunse l'apice dell'instabilità e gli Eph scomparvero da questo mondo. Lo Jivonhir, però, rimase. Resistette persino quando l'intera placca di terra sprofondò nel blu e le acque lo sommersero. Ancora oggi, dal punto più profondo della Fossa delle Marianne si erge, malconcio e ritorto su sé stesso, quasi del tutto privo di rami, circondato solo da creature marine e sabbia sconfinata, a ricordare quel che era stato un tempo, e l'equilibrio di cui è ancora testimone e portatore.»

Yordanka fece una pausa, e Petar ne approfittò per chiedere, con tono scettico: «Come si fa a sapere della sua esistenza, se si trova su un fondale? Anzi, nel fondale più profondo di tutti, che non è mai stato raggiunto da alcun Letargiante?»

«Per questo si chiama leggenda, glupcio¹⁶!» ribatté la maggiore. «Al nostro antenato più antico fu raccontata questa testimonianza dallo spirito di un Eph, o almeno questo è quel che dice lui, che prese talmente a cuore questa leggenda da decidere di serbarne memoria usandola come nostro stemma. L'albero di Jivonhir potrebbe essere benissimo un paragone, un semplice simbolo che rappresenta la memoria di ciò che è stato e potrebbe tornare a essere, non ha importanza se sia davvero esistito oppure no. Ciò che davvero conta è che esso rappresenta la nostra essenza, il nostro spirito immortale: le nostre radici sono ben radicate in questa terra così come le sue lo erano a Ephurias, e il nostro tronco è troppo resistente perché possa essere spezzato!»

La voce di Yordanka si incrinò un poco. «Potranno esserci scagliate contro le peggiori sciagure, il mondo potrà anche rovesciarcisi addosso, ma noi resisteremo, e non verremo spezzati, perché ognuno di noi che cadrà altro non sarà che un semplice ramo, un'estensione di qualcosa di troppo forte per essere abbattuto completamente. Mamma, papà, Denislav, Bilyana, Dimitar, e tutti gli altri, sono solo dei rami, e anche noi lo siamo, con la differenza che loro sono stati sradicati mentre noi siamo ancora attaccati al nostro albero. Essendo ancora vivi, siamo tutto ciò che resta di loro, siamo la loro memoria, siamo la speranza del ritorno a quella cosa bellissima e potente che era il nostro albero prima che la tempesta si abbattesse su di esso. Per questo dobbiamo restare uniti, preservare e soprattutto vivere le nostre esistenze al meglio per far sì che nulla sia stato vano. Siamo solo rami, ma ugualmente dobbiamo fare il possibile per non farci trasportare via dal vento impetuoso. Finché anche solo uno di noi sopravvivrà, lo Jivonhir continuerà a esistere.»

Yordanka si alzò e scoccò un rapido bacetto sulla fronte di Violeta, poi fece lo stesso anche con Petar e Liuben. Gli occhi della bambina però erano ancora spalancati da quelle parole che le avevano scavato un solco nell'anima e, anche quando Dànceto spense le luci per infilarsi sotto le coperte del letto di fianco al suo, continuarono a echeggiare nella sua testa e nella sua consapevolezza.

Nell'oscurità i suoi occhi incrociarono quelli di Petar, anch'essi aperti, su cui la lieve luce proveniente dalla finestra originava un tenue riflesso opalescente che mai prima di quel momento le parve tanto profondo. Non si dissero nulla, eppure in quei pochi attimi le parve che condividessero il mondo.

Yordanka, forse accorgendosi dei respiri ancora svegli dei due fratelli minori, augurò loro la buona notte.

«Leka nosht⁷» risposero Violeta e Petar, parlando nello stesso momento senza farlo apposta. Violeta sorrise e si avvolse meglio nelle coperte, come a dare il permesso alla stanchezza, fino a quel momento trattenuta, di avvolgerla nel suo tenero abbraccio. Poi, chiuse gli occhi.

"Dopotutto, Dànceto non è poi così male come kaka" fu l'ultima cosa che pensò, prima di sprofondare in un sonno senza sogni.

Jiv = vivo

E così ora sapete il significato del titolo. Dai, tutto sommato vi è andata meglio che in Cerebrum, dove avete dovuto aspettare fino all'ultimo capitolo per scoprirlo 🤣

È senz'ombra di dubbio uno dei capitoli più importanti, perché viene raccontata la storia dello Jivonhir, che vi anticipo verrà spesso ripresa perché ha colpito molto profondamente i nostri piccoli Grigorov (a parte Liuben, che è troppo piccolo al momento).

Detto questo, ci tengo a precisare che Violeta qui è davvero giovane e che per questo a volte la sua lingua può risultare un po' affilata, e ferire anche le persone a cui tiene, ma non lo fa con cattiveria, semplicemente è fatta così! Anche la sua indelicatezza relativa ai problemi di suo fratello deriva dall'età immatura, per cui vi consiglio di aspettare a giudicarla 🥺

Detto questo, spero che il suo pov vi sia piaciuto 👀
Curiosità: per ora quale dei tre protagonisti vi ispira di più? E, SOPRATTUTTO, QUALE SARÀ IL PRIMO A MORIRE??

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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