35.Obratno broene
Il caos imperversava intorno a lei. Suoni orribili, atroci, grida e lamenti, scoppi e colpi, pizzichi continui ai pori della pelle per ogni Sincronia che veniva compiuta nella Valle.
La Morte era arrivata.
Lo sapeva che sarebbe sopraggiunta presto, non era altro che questione di tempo; tutto il resto era stata una semplice illusione. Aveva pensato di crederci davvero, questa volta.
Aveva pensato che ce l'avrebbe fatta, a risolvere una volta per tutte i problemi della loro famiglia. Eppure, nemmeno il fusto dello Jivonhir poteva compiere miracoli; anzi, era stata lei stessa a portare l'intero albero alla sua definitiva rovina.
Era per causa del suo desiderio di cambiare la loro situazione se adesso si trovavano tutti lì, se Maksim aveva attuato quel subdolo piano che li avrebbe presto condotti tutti alla morte. Una reazione a catena.
Proprio come l'ultima volta.
Violeta era fuggita dall'Ephia sperando di poter cambiare qualcosa, ma quell'atto aveva portato alla morte Hristo, Konstantin, e Sasho, dopodiché, come nel gioco del domino, anche Silviya, Petar, e infine Violeta stessa avevano subìto le sorti di quella ribellione. Qualunque tentativo di uscire da quel vortice di condanne non faceva che calamitarli sempre più in profondità all'interno dello stesso.
Anche la fiducia, nuovamente, era stata mal riposta: Yordanka si era fidata di Viktor, e poi di Irina, e quest'ultima li aveva traditi tutti, tanto quanto Viktor.
Era una sciocca.
Non era stata altro che una sciocca.
Di nuovo.
Arrancò a fatica verso la sua famiglia. Nessuno, dati gli scontri in atto, si era più preoccupato di aiutarla a reggersi in piedi. Non le restava che trascinarsi, e strascicare il corpo e gli abiti sulla terra sporca; ai Grigorov non poteva spettare altra sorte al di fuori di quella.
Una fila di Ophliri proteggeva la sua famiglia da gran parte degli attacchi degli Arkonanti – perché loro erano speciali, colpevoli e volevano sicuramente fargli patire di peggio, non tanto per gentilezza o nobiltà d'animo – e anche alcuni bambini più piccoli delle altre famiglie lì presenti si erano raccolti in quel riparo, dove venivano accuditi da Cicio Vasko.
Yordanka, contrariamente, non era lì in cerca di un rifugio. Era lì perché quelli erano gli ultimi attimi di vita di tutti loro, e desiderava solo passarli insieme alle persone che per lei contavano davvero.
Georgi e Li Wen combattevano per proteggere tutti loro. L'eleganza dei movimenti puliti e precisi di suo figlio si prolungava nella furia con cui sua moglie sbaragliava un nemico dopo l'altro; quest'ultima era giustamente ancora sconvolta per quanto accaduto.
Il padre della ragazza, privo di sensi, giaceva in mezzo a loro. La ferita medicata, così com'era messa, gli avrebbe concesso ancora parecchie ore di vita. Non che avesse importanza, dal momento che il sole incombeva già sulle loro teste. Probabilmente l'intento di Maksim non era mai stato quello di ucciderlo, perché aveva già previsto che se qualcuno, a posteriori, avrebbe visitato il sito della carneficina, avrebbe avuto modo di constatare che il Pre-Delphino Long Mu Chen era morto come tutti gli altri per la Maledizione dei Grigorov, e non per un pugnale a tradimento.
I piani di Maksim non fallivano mai.
I gemelli piangevano. Yordanka li abbracciò stringendo le loro testoline al petto, senza però trovare parole con cui consolarli. Semplicemente perché parole adatte non esistevano.
La terra vibrava sempre più forte. Yordanka la sentiva, la sua stessa energia di cui si era svuotata nei giorni passati. Sibilava sotto di loro e risaliva sempre più impaziente verso la superficie, verso di lei.
La chiamava.
La chiamava per portare la morte.
La chiamava per riversare la sua furia su tutti coloro che non avevano compreso la bellezza che aveva da offrire.
Non era così che sarebbe dovuta andare.
Yordanka aveva trascorso intere giornate a immaginare quel momento, da mesi, basandosi sui suoi ricordi di bambina e intessendo il proprio autoinganno con le sciocche speranze coltivate dal libro trovato da Vasko. In quel momento il suo amico stava aiutando Ilia a trattenere Ana, che fremeva per andare a combattere, nonostante ancora non possedesse cebrim sufficienti a difendersi.
Chissà, forse la ragazzina agognava il richiamo della Morte più di quanto dimostrasse; forse, insieme alla corporatura esile e agli occhi chiari aveva ereditato anche quella caratteristica da suo padre. Forse era destinata a incontrare colei che le aveva ingiustamente portato via entrambi i genitori prima del tempo.
Anzi, senza forse; era così. E valeva per tutti loro.
Vi ringrazio tutti per essere venuti qui, sono onorata dalla vostra fiducia, noi tutti lo siamo. Era questo che avrebbe dovuto dire in quel momento, erano quelle le parole che si era preparata a pronunciare, che si era impressa con forza nella memoria. Aveva vagliato centinaia di modi diversi di esprimersi, e si era imposta di non chiedere aiuto a Clara. La sua amica più cara l'aveva aiutata per anni per tutti i discorsi più importanti, e per questo, oltre che per tutto quello che aveva fatto per loro, la sua riconoscenza era talmente vasta che avrebbe potuto colmare oceani.
Quelle parole, tuttavia, aveva voluto trovarle lei e lei sola. Perché erano le parole decisive, quelle che avrebbero determinato una nuova era per la sua famiglia. Sarebbero state le prime e le ultime, avrebbero sancito la fine di qualcosa e l'inizio di qualcosa di nuovo.
Invece si erano dissolte in aria insieme alle sue speranze.
Fiamme di un fuoco estinte dal vento. Non rimaneva che il fumo a sciogliere la neve.
Ho sempre amato questa tradizione unica della nostra famiglia, avrebbe detto, perché è un modo per connetterci tutti con qualcosa più grande e che ci accumuna tutti.
Qualcosa che presto li avrebbe travolti. Qualcosa di troppo distruttivo e soverchiante per essere fermato, anche con tutto l'impegno del mondo. Il tremore circostante dei mens che ormai permeava l'aria e ottundeva i sensi ne era la conferma.
Il momento si stava avvicinando.
Lacrime rigavano incontrollate il suo volto; quasi non le percepiva. Sentiva solo i lamenti dei bambini e il rombo della terra che stava per implodere su tutti loro.
Il nostro antenato Grigor l'aveva capito, e compì questa sacra connessione con la terra di questo luogo perché noi ci ricordassimo chi siamo.
Lì avrebbe fatto una pausa, per scorrere lo sguardo sulla folla riconoscente. Una folla ormai terrorizzata e ferita, dissanguata da una fiducia mal riposta.
Per dissipare gli screzi e sciogliere le insidie.
Un'altra pausa, mentre si sarebbe spostata sul cerchio disegnato sul terreno, pronta a raccogliere l'energia. Energia che ormai non era che una bestia informe, un mostro in procinto di divorarli, che già le stava succhiando via ogni traccia di vita.
Per unirci tutti in nome della memoria dei nostri antenati.
In un certo senso era vero, stavano tutti per unirsi ai loro antenati morti. Ai loro cari perduti. Tentò di abbandonarsi alla gioia di rivedere il sorriso di Sasho e perdersi nelle sue carezze e nei suoi occhi d'abisso. Sperava che così affrontare quel che stava per accadergli sarebbe risultato meno doloroso.
Non ci riuscì. Aleksander non avrebbe mai desiderato un tale destino per la loro famiglia; ma soprattutto non si sarebbe mai arreso, nemmeno quando il mondo gli avrebbe sbattuto sulla faccia l'orribile realtà. Per quanto lo amasse, Yordanka sentiva di dover godere ancora così tanto della vita, come veder crescere i suoi figli, invecchiare, provare ancora moltissime gioie e, perché no, anche soffrire per i lutti che non riusciva a lasciarsi alle spalle...
Riunirsi ora a lui sarebbe stato un errore.
Per quale motivo non era mai riuscita ad arrendersi all'evidenza come invece avevano fatto i suoi fratelli?
Perché noi siamo Ephuri, discendiamo tutti dagli antichi Eph. I loro mens scorrono ora tra i nostri Cerebrum.
Mens che però erano troppo irrequieti e troppo instabili per poter garantire loro un futuro diverso dalla morte.
Noi Grigorov non siamo che il tramite, i messaggeri di questo passato che ci accumuna, e che non morirà mai fintantoché vivremo. Messaggeri della morte, forieri di condanna. Maksim aveva ragione, in fin dei conti. Aveva ottenuto quel che voleva.
Questa è la mia benedizione per voi.
Il sole era allo zenit. Ne percepiva il calore rovente sulla testa e sulla pelle.
Non era l'unica a essersene accorta. Anche le rose parevano sciogliersi o forse esplodere tutte insieme, i petali sudavano esasperazione e le spine non aspettavano altro che pungere e ferire. Uccidere.
Da circa mezz'ora, avendo compreso che non c'era modo di fermare l'inevitabile, gli Arkonanti avevano tentato di battere in ritirata; la compatta e aggressiva difesa Ophlira aveva però impedito loro ogni via di fuga, prolungando quello scontro sanguinoso in mezzo al quale stavano finendo per lo più innocenti.
Ormai, erano rimasti pochissimi. Se ne rese conto solo in quel momento, cavando la testa fuori dalla sabbia dell'agonia che l'aveva soffocata. Molti si erano dati alla fuga, senza sapere che, anche si fossero allontanati da quello specifico campo di rose, non v'era modo di uscire dalla zona in quarantena fino a quando questa non fosse stata travolta dalla furia delle rose; dopo, non ci sarebbe più stato nessuno a desiderare di andarsene.
Erano topi in trappola. Prede di Maksim Razumov, ormai talmente accanito contro di loro da essersi trascinato nel suo stesso patibolo.
«Dobbiamo fuggire, andarcene il prima possibile...» era stato un Ophliro a parlare, con il terrore al posto della voce, rivolto a Maksim, il quale avanzava di nuovo verso di loro, la pelle e i capelli incrostati di sangue rappreso non suo.
Non lo ascoltò nemmeno, così come non ascoltò nessuna delle altre voci e degli altri lamenti circostanti.
Si rivolse solo a lei, ancora in ginocchio nella terra che tremava, con i figli lacrimanti stretti tra le braccia: «È il momento, Yordanka. Benedicici tutti.»
A Yordanka, chissà perché, tornò in mente tutte le volte che aveva sgridato sua sorella, quando ancora erano piccole, per il suo comportamento irrispettoso e aggressivo nei confronti di quell'uomo.
Sollevò lo sguardo su di lui.
Dopodiché sputò ai suoi piedi, immettendo in quel gesto tutto lo sdegno per la persona che si trovava davanti. Non disse altro.
L'ira, l'impazienza, e un intruglio di altre emozioni incomprensibili attraversò gli occhi neri di Maksim, solidificandosi nella vena sporgente sulla fronte: «Prendeteli».
L'ordine era stato impartito nel suo solito modo, senza la minima inflessibilità o traccia di emozione.
Nessun Ophliro si mosse.
«Mi avete sentito? Ho detto...»
Gli fu sufficiente un'occhiata intorno a sé per comprendere che nessuno aveva più intenzione di ascoltare un'altra sola parola uscente dalla sua bocca aleatrice e infida. Anche gli Ophliri, alla fine, avevano capito che Maksim non aveva mai avuto intenzione di preservare le loro vite. Perché Maksim era ormai un completo e folle suicida, e ancora più folli erano stati loro a seguirlo.
«E va bene, a quanto pare devo fare tutto da solo!» Prima che Yordanka riuscisse a capire cosa avesse intenzione di fare, lui aveva già afferrato con forza Stefan, sottraendolo al suo abbraccio. Il bambino gridò e il gemello fece altrettanto.
Yordanka non aveva la forza di reagire, ma in quel momento avrebbe spostato le montagne solo con la furia che le tuonava nel petto. Non poteva permettere che gli facesse del male, non ai suoi figli, non di nuovo.
Andrei sfuggì alla sua presa per correre contro Maksim, che fu bersagliato di pugni sulle gambe e sui fianchi da parte del bambino di dieci anni nel disperato tentativo di liberare il fratello. All'Ophliro fu sufficiente scrollare la gamba e il piccolo cadde all'indietro sulla terra che tremava, insieme all'ultimo frammento ancora attaccato alla razionalità.
Yordanka avrebbe voluto gridare, ma non aveva l'energia nemmeno per quello.
La sentiva, la terra: stava per esplodere.
«Fai quel che devi fare, o questo bambino muore» disse la voce di Maksim, puntando una lama ancora sporca di sangue alla gola di Stefan.
Yordanka fu portata da un ultimo disperato tentativo di via di fuga, a voltarsi indietro. Tuttavia, proprio come le creature indifese e intrappolate quali erano, non vi era speranza. Georgi aveva provato a intervenire, constatò, ma una ferita infertagli nello scontro lo aveva costretto al suo posto.
Si scambiarono uno sguardo disperato immerso nelle lacrime. Consapevoli entrambi.
Sarebbe sempre andata a finire così.
Era inevitabile, e non c'era nulla da fare.
Gli Ophliri sembravano essere diventati di pietra, ancora troppo intimoriti dall'uomo che avevano seguito fedelmente per tutta la vita.
Non restava altra scelta.
Il cerchio nella terra non era lontano.
Arrancò in avanti. Un passo dopo l'altro. Una lacrima dopo l'altra.
Un'ultima morte. Un'ultima umiliazione.
Per suo figlio. Lo avrebbe fatto per Stefan e per tutti i suoi altri stupendi bambini.
Per la sua famiglia.
Perché lei era il fusto dello Jivonhir, e se proprio il loro albero doveva affondare, era giusto che lo facesse lei per prima.
Basta rami che crollavano.
Entrò nel cerchio.
Prese un respiro profondo, sentendo i mens nella terra riconoscerla e chiamare il suo nome.
Era pronta.
La valle era pronta a inghiottirli.
«Ferma!» Quella parola arrestò il tempo. Anche i mens parvero bloccarsi.
Era la voce di Kiril. Appena arrivato in mezzo a loro.
Irina, la traditrice, era con lui.
Obratno broene = Conto alla rovescia :)
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