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26.Ìstinata

Sofia, marzo 2005

Yordanka infilò l'anello d'oro bianco al dito anulare. La minuscola sfera d'ematite incastonata in esso scintillò bigia nella luce pomeridiana che penetrava dall'infisso spalancato. Nonostante il canto delle cornamuse che suonavano di sotto, non v'era quiete più intensa di quella che provava in quel momento, mentre lo sguardo si immergeva nella quiete del roccioso paesaggio montano, su cui era stata spalmata una distesa quasi incontaminata d'arbusti verdi, che si tuffavano nel bianco soffuso delle nuvole.

«Avevi ragione tu, Sasho» affermò, tornando con gli occhi, inumiditi dalle lacrime incombenti, sul suo anulare, «stiamo riuscendo ad andare avanti. Lo Jivonhir sta fiorendo con nuovi folti rami. Grazie. Mi manchi. Ti... ti amerò per sempre.»

Dopodiché, come al solito, ricacciò indietro le lacrime, privò il suo dito dell'abbraccio dell'anello di fidanzamento, e lo ripose con cura nel cassetto. Prese un profondo respiro per farsi forza, poi indossò la fede nuziale, osservandola subito con ripugno. Detestava essere legata in quel modo a qualcuno che non fosse Aleksander, ma non aveva altra scelta. Lei, se n'era resa conto dopo quel terribile quattordici gennaio di nove anni prima, non era mai stata un ramo. Yordanka era diventata, in un modo o nell'altro - ancora non sapeva spiegarsi come -, il fusto stesso dell'albero millenario. Non lo sarebbe stata per sempre, di questo era certa, prima o poi avrebbe dovuto passare l'incarico a uno dei suoi figli; ma finché la responsabilità di sostenere la sua famiglia fosse ricaduta nelle sue mani, lei era tenuta a compiere qualunque sacrificio necessario a preservarne il vigore e la forza.

Se questo significava consolidare le alleanze con le altre famiglie bulgare loro sottoposte, ottenendo al contempo dei figli, anzi, dei rami, che arricchissero la loro chioma prima povera, era disposta a farlo. Si trattava di un sacrificio necessario. Né con Dragomir, né tutt'ora con Todor Andreev, suo attuale marito, aveva mai condiviso l'amore che ancora la legava a Sasho. E a nessuno dei due aveva mai donato in fidanzamento l'anello che aveva ereditato da sua madre. Quello apparteneva ad Aleksander, e sempre sarebbe rimasto legato a lui e a lui solo.

Inspirò profondamente, volgendosi al suo riflesso nello specchio adiacente alla porta. Risposarsi due volte le aveva impedito di continuare a portare i colori del lutto, ma il suo cuore ancora navigava nella sua oscurità; così, segretamente, indossava sempre almeno una cosa nera, in memoria di tutti i rami che erano caduti. Che fosse una giacca, una canottiera che nessuno poteva vedere, dei semplici orecchini o un paio di scarpe, non aveva importanza. Era pur sempre un pegno di memoria. Yordanka non dimenticava e mai l'avrebbe fatto, il passato aveva scolpito la sua attuale persona, lei stessa ne era diventata un frammento: l'ultima della precedente generazione, l'unica figlia di Milen Grigorov ancora in vita. A quel pensiero un lieve dubbio scalfì la sua certezza, ma in quel momento decise di ignorare la misteriosa figura che ogni tanto compariva nelle visioni che le provocava Ilia.

Anche quel giorno indossava qualcosa di nero: un semplice fermaglio per capelli, che le raccoglieva alcune ciocche castane chiare conferendole un innaturale aspetto ordinato. La vita era fasciata in un morbido tubino rosa antico e non troppo attillato, che infilava le braccia in maniche plissettate che raggiungevano i gomiti. L'abito le conferiva non poco fascino, nonostante i suoi passi claudicanti per via delle scarpette dal tacco squadrato. Erano numerose, ormai, le occasioni in cui era tenuta a vestirsi in modo elegante, ma non si sarebbe comunque mai abituata del tutto; come potevano, dopotutto, un bel vestito, una linea di mascara sulle ciglia, e un sorriso stampato sulle labbra, cancellare agli occhi altrui ciò che lei aveva passato?

Era l'unica Ephiante di Sofia - si era rifiutata di condividere il titolo con suo marito, a differenza di come aveva fatto con Aleksander - e pertanto doveva mostrare un'immagine consona di se stessa. I Grigorov necessitavano di costruirsi una nuova reputazione, meritavano di tornare a essere la famiglia rispettata e ammirata che erano prima. E lei ne era il tramite. La responsabilità dello Jivonhir risiedeva unicamente nelle sue mani.

Aveva atteso fin troppo, di sicuro di sotto la stavano aspettando. Sorrise, ricordando a se stessa che quello di quel giorno era un evento gioioso, e che pertanto non aveva senso sprofondare nello sconforto grigio cui si era ridotta la sua esistenza. Aprì la porta, facendone esondare immediatamente i suoni della festa, e scese di sotto.

La sala era animata da un viavai di Ephuri in frac, tailleur e altri vestiti consoni all'occasione, intenti a discorrere pacificamente tra loro, a ridere insieme, o a stringersi a vicenda le mani. Faceva una strana impressione vedere quel locale così pieno di gente e addobbato di tutti quegli striscioni di benvenuto, i palloncini, i distici cinesi appesi alle pareti, e le lanterne di carta rosse e dorate che pendevano come ciliegie dall'alto soffitto. Il salone era stato svuotato della maggior parte della sua mobilia, sostituita da comodi divanetti e lunghe tavolate imbandite di dolcetti e salatini di cui chiunque poteva servirsi a buffet. Anche a seguito delle ristrutturazioni attuate dagli Ophliri di Mu Chen, la sala prima dallo stile prevalentemente vittoriano e vagamente russofono, presentava ora elementi riconducibili a diverse architetture, tra cui spiccava quella orientale nelle grate che disegnavano motivi geometrici sul vetro delle ampie finestre, allontanando da esse il ricordo delle lunghe tende rosse che in passato avevano ombreggiato la stanza nel momento in cui era nata Ana, in quel giorno che mai sarebbe sbiadito dalla sua memoria, nonostante la diversità dell'ambiente.

Appena Yordanka s'infiltrò nella folla, il suo passaggio venne segnato da volti più o meno sconosciuti che si voltavano verso di lei, si spostavano con ossequio per permetterle di passare, o le stringevano gentilmente una mano presentandosi con nomi che lei avrebbe sicuramente dimenticato l'attimo subito successivo. Adesso erano tutti gentili con lei, tutti la rispettavano. Ma dov'erano state tutte quelle loro famiglie alleate quando gli Ophliri avevano permesso che Silviya morisse dissanguata, distruggendo tutto quel che era rimasto di Petar? E non erano forse le stesse che le avevano voltato le spalle quand'era appena diventata Ephiante, convinti che i Grigorov fossero la causa dei primi Vortici? Ora tutti le sorridevano, ora tutti erano gentili con loro, ma fino a quanto sarebbe durato? Non era che questione di tempo prima che i Long si stufassero di loro, e a quel punto sarebbero tornati a essere i reietti della società Umanente, i traditori, gli assassini. Chissà quanti dei presenti erano gli stessi che avevano messo a ferro e fuoco l'Ephia per conto di Maksim...

«Dance be!» sentì d'improvviso chiamarla una voce gracchiante che conosceva bene. Si voltò con già un sorriso più sincero e divertito a inarcarle le labbra, vedendosi raggiungere dal sessantenne che arrancava instabilmente in avanti reggendosi su un bastone. «È da quando sei arrivata che cerco di raggiungerti, ma sei partita come un missile, non ci pensi ai poveri vecchi bacucchi come me?»

«Non sei un vecchio bacucco, Cicio Vasko» lo rimbeccò lei prendendolo a braccetto e sentendosi subito più leggera, pur dovendo supportare il suo peso, «la vita è semplicemente stata particolarmente cattiva con te.»

Lui emise un verso di disappunto che stava anche a significare "proprio tu lo dici?", e non aveva tutti i torti, pensò Yordanka, mentre faceva un cenno di saluto a uno degli Ephuri che voleva presentarsi o salutarla; almeno Cicio Vasko la svincolava dall'impiccio di dover stringere tutte quelle mani sconosciute.

«Comunque, cosa volevi dirmi?»

Lui si fermò, costringendola a fare altrettanto, e la squadrò con un sopracciglio di disappunto inarcato verso l'alto che infittì le rughe che gli solcavano il viso e la fronte liscia. «Ma chi ha detto che io volessi dirti qualcosa, be? Volevo solo un passaggio fino al tavolo dei dolci, quell'idiota di mio nipote non fa altro che ignorarmi! Mi fa rizzare i capelli il suo menefreghismo, davvero...»

Yordanka scoppiò in una fragorosa risata, dal momento che a Vasko di capelli in testa non ne era rimasto più nemmeno uno fin dalla gioventù, quando, scoprendo che sarebbe diventato calvo, aveva preferito rasarseli direttamente tutti. Solo una delle sue tante sfortune; la peggiore era la malformazione a una gamba che fin da quando era venuto al mondo gli impediva di muoversi con un'andatura normale. Come se non bastasse, non era mai riuscito a sviluppare cebrim della mobilità che gli permettessero di ovviare al problema, ed era talmente fiero e testardo che non aveva permesso a nessun Ephuro munito di facoltà appropriate di curare quel suo problema. A dir la verità non permetteva mai a nessuno di aiutarlo per davvero, a esclusione di piccoli favori come quello che aveva chiesto a lei in quel momento; voleva sempre fare tutto da solo. Questo, però, aveva condannato la sua esistenza: pur essendo il maggiore dei suoi fratelli, non aveva ereditato il posto da Ephiante di Plovdiv, ceduto a suo fratello, il padre di Todor, e non aveva nemmeno mai trovato una donna che fosse capace di amarlo, o "che fosse alla sua altezza" diceva lui - altra battuta fredda, dato che non raggiungeva il metro e sessanta.

«Comunque, Dance,» riprese con il suo solito tono sprezzante, lanciando sguardi taglienti intorno a sé, «credo che quella coppietta sia davvero conveniente, non c'è motivo di preoccuparsi. Ormai sono sulla bocca di tutti. Questo branco di fagiani spennati non avrà più nulla da ridire contro di voi se avverrà un'unione matrimoniale...» Cicio Vasko si profuse in un arcigno ridacchio "sotto i baffi". Yordanka scosse la testa, aiutandolo a sedersi su un divanetto adiacente al tavolo per cui aveva chiesto il passaggio, appena raggiunto. A legare quella coppietta, come l'aveva chiamata lui, non era pura convenienza, seppur potesse davvero sembrare tale - e Yordanka stessa riconosceva che quell'unione era a dir poco utile alla loro famiglia -, cosa di cui si rallegrava immensamente. Almeno per i suoi figli desiderava la massima felicità. Quanto a lei... l'unico motivo per cui ancora non si era separata da Todor era proprio Cicio Vasko, il quale si era trasferito lì da loro con il nipote, stufo della vita tediosa che conduceva nella sua Ephia.

Lì al tavolo dei dolci sembrava esserci una sorta di raduno della sua famiglia: Ran e Kiro confabulavano tra loro abbuffandosi di lokum¹, lanciando al contempo delle occhiate alla folla che sembravano divertite dal primo, e velenose dal secondo, poi quando la videro le fecero appena un cenno di saluto, tornando subito dopo all'atteggiamento di prima; Andrei e Stefan stavano stremando una povera Metephra: mentre Andrei le girava intorno come una trottola e lei cercava di acchiapparlo per tenerlo fermo, Stefan continuava a porgerle gentilmente un dolcetto dopo l'altro, lei puntualmente lo scambiava per il gemello e lo acchiappava, permettendo però all'altro di fare disastri. I due bimbetti, ormai di sette anni - non si capacitava di come velocemente passasse il tempo - erano l'uno l'opposto dell'altro, ma insieme erano peggio di quanto non erano mai stati Goran e Kiril da più piccoli, perché l'ingenuo Stefan veniva sempre sfruttato da Andrei per mettere in atto i peggiori dispetti.

«Prestanì Andro²!» abbaiò al figlio, afferrandolo per una spalla con presa ferrea. Lui, come sempre, fece più scena di quanto fosse necessaria, quasi lei gli avesse slogato una clavicola, e poi scoppiò a piangere quando Yordanka gli intimò di comportarsi bene perché c'erano tante persone importanti. Il gemello, anche lui con capelli neri corti e freddi occhi di ghiaccio ereditati dal padre - Dragomir -, lo andò subito a rassicurare con pacche sulle spalle e parole gentili ma un po' saccenti. Andrei, però, rispose con un sorriso furbo e l'attimo successivo era già schizzato via infiltrandosi nella calca dopo aver fatto un pizzicotto al fratello, che ora piangeva disperato e arrabbiato.

Yordanka sospirò, sfinita: quei due erano davvero difficili da gestire! Sperava solo che crescendo non sarebbero diventati come il padre, di cui era riuscita a liberarsi soltanto cogliendolo a tradirla con una Metephra - un'amica da lei stessa assoldata per ammaliarlo - ottenendo così una ragione sufficientemente valida per chiedere e ottenere il divorzio senza peggiorare la propria reputazione. Sapeva bene che era stata una mossa infida, ma Dragomir l'aveva davvero portata all'esasperazione, ci litigava quasi ogni giorno e non era nemmeno più in grado di fingere di amarlo; quando si era resa conto che quell'atmosfera tesa stava sortendo cattivi effetti sull'emotività dei suoi figli più piccoli, aveva deciso di farla finita. Ora Dragomir veniva a trovare i suoi Stefan e Andrei una volta a settimana, durante la quale lei lo ignorava totalmente.

«Dove sono Ana e Filip?» Yordanka, dopo aver incaricato alcuni Metephri di tranquillizzare Stefan e cercare Andrei, tornò a rivolgersi ai due figli adolescenti. Goran spostò subito l'attenzione su di lei, che si sentì avvolta da quello sguardo caloroso e dall'espressione affabile. Kiril, assente e un po' immerso in se stesso, come al solito, a malapena diede segno d'averla sentita, un lieve sorrisetto amaro gli incupiva il viso.

«Anička ha pensato di tenere compagnia a Ilia e ha portato Filip con sé» spiegò con semplicità Ran. «Credo che al momento stia stremando il nostro povero fratello con accordi metal spaccatimpani per superare la musica della festa... ah, ed è ancora offesa per il fatto che le hai vietato di farsi i piercing all'orecchio. Okay, forse al momento si sta bucando di nascosto i lobi-»

«Che cosa?! Ole Arkon³...»

D'istinto si passò le mani tra i capelli per il nervosismo, salvo poi ricordarsi di aver appena terminato di pettinarli e raccoglierli con il fermaglio nero proprio prima di scendere. Perfetto, un disastro dopo l'altro. Prese un respiro profondo per calmarsi. "Una cosa per volta" si disse. Così deviò dalle sue orecchie le onde sonore emesse dalle gaide che strimpellavano rumorose ai lati della sala, e vi avvicinò invece quelle provenienti da una delle camere al piano di sopra, dalla stremata chitarra elettrica torturata dalle dita inesperte di Ana. Né lei né Ilia avevano ancora sviluppato alcun cebrim, perciò non ebbe problemi a infilarsi oltre le loro porte, sbirciare nei rispettivi Jutnos e verificare cosa stessero combinando. Mentre la figlia di Petar e Silviya tentava disperatamente di produrre suoni sensati, Ilia aiutava Filip, il quale aveva compiuto un anno da pochi giorni, a completare un puzzle gigante costituito di minuscoli pezzettini, che il piccolo sembrava più interessato a infilarsi in bocca che a riporre nel corretto ordine, con non poco dispetto da parte del maggiore che, tra le note agghiaccianti della cugina, sommate agli acuti provenienti dalla festa, era sull'orlo di una crisi isterica, ma si stava impegnando per mantenere la calma. Venire spesso escluso dagli eventi sociali per via della sua malattia, che peggiorava di anno in anno, l'aveva reso taciturno e scontroso, troppo spesso si immergeva in pensieri non adatti a un ragazzino della sua età, che preoccupavano parecchio Yordanka. Come se non bastasse, le diagnosi di diversi medici incapaci di trovare un qualche tipo di cura riportavano gravosi presagi: secondo molti di loro, infatti, il progressivo peggioramento della sua condizione avrebbe un giorno portato alla sua definitiva scomparsa; una delle tante occasioni in cui veniva cancellato dalla memoria di tutti i presenti sarebbe stata quella definitiva. Di lui non ci sarebbe stata più alcuna traccia, come fosse morto. O, peggio, damnato. Questo, di certo, non influiva positivamente sulla sua psiche e sul suo umore.

Appena Yordanka fu tornata con la mente alla sala in cui si trovava, folgorò con lo sguardo Goran, principale causa delle sue inutili preoccupazioni; Ana infatti non aveva mai avuto intenzione di bucarsi le orecchie. Certo, era una tipa ribelle e difficile da controllare, ma non era certo stupida.

«Te l'ho già detto che sei stupenda oggi, mamma?» riprese subito Ran, con un ampio sorriso birbante a infoltirgli le ampie guance, salvandosi così dallo scappellotto che lei si sarebbe comunque trattenuta da rifilargli, dato che c'erano ospiti.

«Io e te facciamo i conti dopo» avvertì, lampeggiante, per poi rivolgersi a Kiril, ancora immerso nei pensieri: «Ma buongiorno, eh!»

Fece per arruffargli i capelli per attirare la sua attenzione, ma lui dimostrò di essere più attento di quanto sembrasse schivando agilmente il suo tocco, e scivolando a qualche metro di distanza, squadrandola poi con le sopracciglia aggrottate e un piccolo sorrisetto sulle labbra, nella naturale contraddizione che sempre lo caratterizzava: pareva al contempo minuto e infantile come il dodicenne mingherlino che era, ma anche innaturalmente maturo da risultare quasi inquietante, con quelle espressioni ciniche e l'ombroso sguardo penetrante che sembrava sempre intento a risolvere i misteri dell'universo. La sua era di certo una mente particolare, un po' fuori dalla norma, ed era stato questo che l'aveva portato a sviluppare quello che avevano denominato cebrim delle proporzioni, unico nel suo genere, potentissimo, e di sicuro senza precedenti. Yordanka non sapeva mai se rallegrarsene o averne timore, ma nel dubbio era sempre immancabilmente preoccupata per lui. Crescendo, avrebbe potuto portarlo alla gloria quando alla più completa rovina.

«Dov'è Gogo?» gli chiese poi, con un tono confidenziale che ebbe il solo effetto di infastidirlo di più; ogni volta che qualcuno gli si rivolgeva come a un bambino sembrava arrecargli una gravissima offesa. Con il faccino imbronciato, gli fece un cenno del capo nella direzione verso cui si assiepava la maggior parte dei presenti.

In effetti, avrebbe anche potuto intuirlo da sé; tuttavia c'era sempre una scusa sufficientemente valida per passare un po' di tempo con i suoi figli. Stavano crescendo tutti troppo in fretta, tanto che iniziava a temere che presto gli sarebbero potuti sfuggire tra le dita, così non le restava che tentare in tutti i modi di tenerli allacciati a sé. Inoltre, era orribile da dire per una madre, ma dopo Georgi, i figli di Aleksander rimanevano sempre i suoi preferiti. Ora che già si vociferava della possibilità di un imminente matrimonio del maggiore, non sapeva più cosa aspettarsi.

In quel momento, si limitò a fare ciò per cui era entrata in quella sala fin dall'inizio, che era anche l'epicentro della festa: dare il benvenuto.

Nuovamente, non ebbe nemmeno bisogno di chiedere il permesso, la calca le schiuse subito la visuale sul suo bellissimo e adorato Georgi, affiancato dalla sua ragazza, che al momento stava chiacchierando con i genitori.

«Mamma!» esclamò subito lui, venendole incontro, e attirando anche l'attenzione della giovane, sul cui viso delicato si delineò immediatamente un ampio sorriso. Yordanka l'aveva vista già un paio di volte, durante alcune sue visite alla loro Ephia avvenute negli anni, ma quel giorno sembrava più incantevole del solito, quasi la gioia di quella sudata scelta, concessa con non poche contestazioni, la facesse luccicare di una nuova brillantezza.

«Li Wen» esclamò, raccogliendo le vellutate mani della ragazza appena diciottenne nelle sue, «permettimi di dirti che sei bellissima. E... benvenuta. Davvero, benvenuta nella nostra Ephia. Siamo tutti onorati di averti qui con noi e ci adopereremo al meglio per non farti mancare mai nulla.»

«Grazie mille, signora Grigorova» rispose lei, senza spegnere un solo attimo il sorriso, ma ritirando le mani per allacciarle all'altezza del petto con le dita piegate ad arco, e chinando rapidamente il busto in avanti in un piccolo inchino che ricordava invece le usanze dei Letargianti orientali. Doveva trattarsi di una sorta di saluto o ringraziamento Long.

Yordanka si prese un attimo per squadrare la giovane coppia. Georgi, ormai praticamente un uomo fatto - la superava anche di almeno una decina di centimetri - era più completo in presenza della sua luce, il suo sole sempre splendente, che gli accendeva il viso gentile dai lineamenti semplici e rendeva frizzanti le ondulate ciocche castano-dorate che si scioglievano ordinate su zigomi e si abbandonavano sulla parte retrostante del collo. La corporatura ben formata, morbida e non muscolosa, combaciava perfettamente con quella più longilinea e delicata della ragazza, sottolineata dal delizioso cheongsam blu notte su cui si intrecciavano disegni floreali argentati, che richiamavano, in una sorta di convergenza tra diverse culture, le scevitze⁶ geometriche ricamate sulla camicia antracite di lui.

L'amicizia tra loro era nata quasi per caso, e si era coltivata negli anni in concomitanza con il miglioramento delle condizioni della loro famiglia, tanto che per Yordanka ne erano diventati il simbolo. Ogni volta che sentiva Georgi comunicare a distanza con lei tramite proiezioni mentali, tutte le occasioni in cui si era persa nelle loro spontanee risate fanciullesche durante le visite della ragazzina, e soprattutto ora, dopo che l'amicizia, pian piano, si era trasformata in qualcosa di più - proprio come era accaduto a lei e Sasho - osservandoli non poteva che rimanere incantata. C'era anche qualcos'altro, tuttavia, qualcosa che...

«Oh, devi assolutamente assaggiare questi» se ne uscì d'improvviso Georgi, spostando l'attenzione della sua ragazza verso uno dei tavoli. Il tono urgente le fece sospettare che il vero motivo fosse quello di interrompere l'imbarazzante momento che era venuto a crearsi, per come Yordanka li aveva fissati con il sorriso stampato che già vedeva fedi nuziali sulle loro dita e bambini trotterellanti tutt'attorno. Entrambi affrontavano quella loro nascente relazione con un certo imbarazzo, soprattutto quando si trovavano in pubblico, forse perché spaventati dallo scalpore che la notizia della loro unione avrebbe sollevato nella società Umanente, come sempre accadeva quando si trattava di rapporti amorosi in cui era coinvolto qualche membro di una delle Sette famiglie del Consiglio.

«Sono davvero affiatati, non è vero?» la colse di sorpresa una voce melodiosa poco distante. Si voltò di scatto, ricordandosi solo in quel momento della presenza dei genitori di Li Wen. La sua attenzione era stata talmente catturata da quella coppietta luminosa che quasi non aveva fatto caso a loro!

«Oh, ma che sbadata, vi chiedo di perdonarmi» si affrettò a correggersi, imbarazzata. Perfetto, come se la sua situazione non fosse stata già abbastanza precaria prima, ora aveva avuto addirittura la faccia tosta di mancare di rispetto a nientemeno che Long Mu Chen e sua moglie.

«Non c'è nulla da perdonare, capiamo benissimo. I nostri figli vengono sempre prima di ogni altra cosa» rispose calorosa la donna, la stessa che le aveva rivolto per prima la parola.

«Jia Li, sbaglio? È un piacere conoscerla e ospitarla nella mia umile dimora» le si rivolse Yordanka tentando di imitarne la scioltezza e melodiosità, con deplorevoli risultati che tuttavia non scalfirono l'elegante gentilezza che ringiovaniva il volto della moglie di Mu Chen, ingentilito da un'unica ciocca laterale lasciata sciolta, ondulata come il corpo sinuoso del drago cucito sulla sua camicetta di seta.

«I nostri ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro» intervenne Mu Chen, lanciandosi un'occhiata attorno e rivolgendole un occhiolino, inasprito tuttavia da un sopracciglio inarcato verso l'alto che rivelava un inspiegabile disappunto dietro i soliti sorrisi spavaldi.

«Assolutamente, non vi ringrazieremo mai abbastanza per-»

«Sì-sì, va bene, abbiamo capito» tagliò corto lui con un gesto annoiato della mano, quasi avessero affrontato centinaia di volte quel discorso. Sembrava particolarmente nervoso e facile all'irritazione. O per lo meno più del solito. Il Pre-Delphino era venuto di frequente, da quando i suoi Ophliri si erano assunti l'incarico di proteggerli, dunque ormai poteva quasi dire di conoscerlo. Era imperioso e non si esimeva dallo spadroneggiare senza ritegno sui suoi sottoposti approfittando del suo potere, ma lo faceva sempre con una tale garbata leggerezza, zuccherata da una curata loquacità d'intesa e condita di un'apparente giocosità che finivano per renderlo ammirabile e rispettato da quasi tutti. Quel giorno, tuttavia, nascondeva con meno abilità il suo turbamento.

«Guardateli» riprese, più pacata, l'incantevole Jia Li, spostando nuovamente l'attenzione sui loro figli.

«Sono una bellissima coppia» confermò Yordanka con un ampio sorriso, accalorata dal sostegno dell'altra madre.

«In ogni caso,» si affrettò a specificare Mu Chen, «Li Wen si è trasferita qui solo temporaneamente, questa sua decisione non comporta nessun cambiamento o unione di qualche tipo...»

Yordanka deglutì. Ecco qual era il problema: Mu Chen non apprezzava l'idea che sua figlia avrebbe potuto un giorno unirsi in matrimonio con Georgi. Le motivazioni potevano essere molteplici, a partire dal fatto che lui, nonostante non l'avessero mai trattato diversamente per questo, era di fatto il figlio di un Metephro. Come se non bastasse, i Grigorov, per quanto fossero una famiglia importante, erano pur sempre di un livello forse più basso rispetto a quello cui lui ambiva.

«Oh, ma stai scherzando?» ribatté la moglie, con una lieve nota di rimprovero, facendo un cenno verso le schiene dei ragazzi. «Mi ricordano tanto noi da giovani» aggiunse, ammorbidita, portando con scioltezza una mano sul mento del marito e voltandosi indietro per posare un lieve bacio sulle sue labbra, che fecero perdere l'uomo nei suoi occhi, disgregando ogni sua contestazione. Yordanka avvampò, rendendosi conto di averli fissati troppo intensamente, senza il minimo pudore. Una voragine le aveva scavato un solco nel petto, nel vedere l'amore che allacciava quella coppia, opposto a quello che la legava al suo attuale marito, ma fin troppo simile a qualcosa che aveva perduto ormai anni addietro; questa concomitanza di sentimenti opposti le aveva magnetizzato lo sguardo su di loro.

«In ogni caso si sono messi insieme solo da qualche mese» riprese il discorso, per costringersi a non guardarli, e dando invece ragione a Mu Chen, «sono affiatati, certo, ma è ancora troppo presto per valutare se quello che c'è tra loro durerà ancora a lungo o meno. Una grande amicizia non corrisponde per forza a un grande amore. Per il momento non possiamo che rallegrarci della loro gioia e io sarò sempre felicissima di ospitare vostra figlia qui da noi per tutto il tempo che lei lo desidererà.»

Era tutta fiera del suo discorsone saggio e maturo, che nascondeva quelle che in realtà per lei erano quasi certezze, ma ogni risultato ottenuto fu infranto dalla risata dell'altra donna.

«Certo, hai ragione» confermò, con tono leggero, «tuttavia non ti saranno sfuggite le voci che hanno dilagato in quasi ogni Ephia del mondo alla notizia di questa curiosa accoppiata. In molti si chiedono se in futuro l'alleanza tra i Grigorov e i Long si consoliderà definitivamente con un matrimonio...»

Jia Li non aveva nemmeno finito di pronunciare la parola matrimonio, che a Mu Chen andò di traverso l'airyan che aveva appena provato ad assaggiare. Continuò a tossire per i successivi cinque minuti, dopodiché, espresso un commento poco lusinghiero sulla bevanda a base di yogurt, si congedò dalle due donne.

«Tuo marito sembra proprio andare matto per l'idea...» tentò di ironizzare Yordanka, con un lieve sorrisino che ne celava il nervosismo. Almeno Jia Li, tuttavia, la faceva sentire a suo agio e libera di esprimersi.

«Nasconde bene le sue opinioni in merito, eh?» rise lei, in risposta, incrociando le braccia al petto in posa rilassata e tornando, come lei, a osservare la giovane coppia - viste da fuori dovevano sembrare due mamme iperprotettive intente a tramare qualche oscuro piano per i propri figli. «Come sai, Li Wen ha chiesto di potersi trasferire qui già due mesi prima di diventare maggiorenne, ma inizialmente Mu Chen gliel'aveva vietato categoricamente, non ne voleva sapere. Lei l'ha implorato più volte e in ogni modo possibile, e alla fine sono stata io a convincerlo, anche se tuttora è ancora reticente e insicuro. Ha accettato solamente perché noi, a differenza di molte famiglie Umanenti che sfornano figli come fossero pupazzi da aggiungere a un elenco solo per aumentare le proprie dimensioni e popolarità, amiamo i nostri bambini, e desideriamo il meglio per loro sopra a ogni altra cosa.»

La donna rivolse dunque il viso verso di lei, portando Yordanka a restituirle lo sguardo fattosi ormai serio. «E questo, cara, è anche lo stesso motivo per cui mio marito è tanto spaventato all'idea.»

Le iridi scure della donna la fissarono intensamente, come a sottintendere qualcosa con quelle parole, che però Yordanka non riuscì a cogliere. «N-non capisco. Come vi ho già assicurato, Li Wen è sempre la benvenuta e la tratteremo con il maggiore riguardo, a maggior ragione se sposerà Georgi, sapete inoltre che siamo eternamente riconoscenti a voi Long per tutto quello che...»

«Non parlavo di questo» sorrise lei, ora leggermente a disagio. Distolse poi nuovamente lo sguardo, per chiudere l'argomento, che però ancora agitava l'animo di Yordanka. Sembrava quasi che non avesse il coraggio di dirle qualcosa. Sia lei che Mu Chen. Era ridicolo, loro erano assai più influenti e popolari di Yordanka, erano a capo dei Long, la seconda famiglia più potente del Consiglio.

Inoltre, aveva pensato che ormai l'alleanza, anche senza matrimonio, fosse già parecchio stabile. Mu Chen aveva reso chiare le sue intenzioni nei loro confronti fin da subito; il suo aiuto nei loro confronti non era mai stato gratuito, e a Yordanka andava benissimo così. Inizialmente era stata intimorita dal suo interesse, tuttavia con il tempo aveva imparato a farci i conti, ed era giunta alla conclusione che, in fin dei conti, non era poi cosa di cui darsi tanto cruccio. Apprezzava, inoltre, che avesse voluto rendere espliciti i suoi obiettivi fin da subito, dimostrando così di essere meno infido di quanto sussurrassero meschine le voci nei suoi confronti. La questione era semplice; a differenza dei Razumov, infatti, lui intendeva venire davvero a capo del problema dei Vortici, per un duplice motivo: assumere un ruolo di primo piano agli occhi del Consiglio come salvatore da quella terribile piaga che, al contrario dei Mindsmith, i Long sarebbero stati tanto competenti da riuscire a risolvere, salvando il mondo; e, nel caso si fosse scoperto che ai Vortici non v'era soluzione, ma, al contrario, si trovasse un modo per assumerne il controllo, sguinzagliarli contro i loro oppositori, e imporre definitivamente il loro dominio con una sorta di colpo di stato per spodestare i Mindsmith.

A Yordanka non dispiaceva nessuna delle due possibilità, purché la sua famiglia fosse protetta, così non aveva esitato a mantenere il segreto e ad accettare il loro aiuto e l'appoggio nelle assemblee del Consiglio. In quel momento, tuttavia, si chiese se gli inconcludenti risultati negli anni che erano trascorsi da quado quell'alleanza si era solidificata rischiassero di minare la fiducia dei Long nei loro confronti. Loro non avevano davvero nulla da offrirgli, esclusa la gratitudine. Dopo la morte di Violeta, era stato impossibile ricavare qualcosa da ciò che lei aveva scoperto a Puebla, prima di distruggere le prove. I Long erano tuttavia restati convinti che, semmai qualcosa fosse saltato fuori, i Grigorov ne sarebbero sicuramente stati coinvolti, così avevano preferito "tenerseli vicini" per essere i primi a intervenire. Perché allora, quella reticenza? Cosa le stavano nascondendo?

«Anche qui è lo stesso, noto» la voce di Jia Li la risvegliò d'improvviso dai pensieri angustianti in cui era sprofondata. Gli accenni sottintesi di poco prima sembravano non aver mai adombrato il suo dolce viso, ora tornato a sorridere leggero e delicato mentre osservava i due giovani.

«Come, scusa?» Forse si era persa un pezzo del dialogo in corso?

Jia Li si abbandono a una lieve risata imbarazzata, come a indicare che era stata lei a esprimersi in modo poco chiaro. «Devi, scusarmi, ero immersa nei pensieri. Prima parlavo di quanto io e mio marito, a differenza di molte famiglie Ephure, amiamo i nostri figli più di ogni altra cosa...»

«Oh, sì, e si nota» confermò Yordanka, vedendo le occhiate colme d'affetto che Li Wen si scambiava sempre con entrambi i genitori. Mu Chen poteva essere anche infimo e subdolo con chiunque, ma con la sua famiglia sembrava trasformarsi in un'altra persona, quasi lui fosse una medaglia che mostrava un volto ai suoi nemici e al contempo rivolgeva quello opposto ai propri cari.

«E anche qui, noto lo stesso affetto sincero, reale» riprese Jia Li, sottolineando le parole con un gesto espressivo della mano che indicava l'ambiente circostante. O, meglio, le persone che lo abitavano.

Dato che un blocco alla gola le impediva di rispondere, la lasciò continuare. «È per questo che non sono eccessivamente preoccupata all'idea di lasciare qui Li Wen. Se proprio deve trasferirsi, sono felice che sia in un ambiente così familiare e spontaneo.»

Yordanka, presa da un'improvvisa agitazione, afferrò la prima cosa che le capitò sottomano - un pezzetto di baklava - e se lo ficcò in bocca, mentre la direzione del suo sguardo fu afferrata dalle mani dell'irragionevolezza e spinta con due dita nella direzione di Todor, la cui solita faccia da ebete era rivolta a uno dei tavoli imbanditi.

Jia Li sopravvalutava la spontaneità di quella famiglia. Yordanka l'aveva ormai sacrificata snaturando ciò che erano prima. Era un pessimo busto d'albero, forse il peggiore che fosse mai esistito. Il senso di colpa le serrò lo stomaco, provocandole un moto di nausea; stava ingannando quella donna, e forse stava ingannando persino se stessa. Quella che aveva costruito era un'immagine di falsità.

«Tuttavia,» continuò lei, senza badare al suo viso imbrattato di sciroppo di miele, «e ora ti parlo proprio da madre a madre, ti consiglio di prepararti all'evenienza, assai probabile, che possa essere un giorno il tuo Georgi a distaccarsi dal nido materno.»

Quell'affermazione improvvisa la colse in contropiede. Si voltò, sconvolta, verso di lei. La sola idea di avere Georgi lontano da casa, di poterlo vedere solo in proiezione mentale, o esclusivamente nelle occasioni speciali, le provocava un magone svuotante, opprimente quasi quanto quello provato nel momento in cui all'improvviso si era trovata senza fratelli, senza tutori, e senza marito. Il vuoto della mancanza.

«Non guardarmi così, Yordanka» ribatté lei, accartocciando le sopracciglia e la fronte in un viso rattristato e impietosito. «Ho provato anch'io lo stesso e lo provo sempre ogni volta che uno dei miei figli si allontana, ma è questa la natura delle cose. Noi siamo Long, e se davvero si sposeranno, tuo figlio assumerà questo nome. E dunque... è quasi certo che potrebbe doversi trasferire da noi. Non è ancora detto, certo, tuttavia... ci tenevo solo a sincerarmi che ti fosse chiara questa possibilità.»

Yordanka si forzò ad annuire, solo per compiacere l'altra donna. Era stata talmente concentrata ad allontanare i problemi dalla loro famiglia, che nemmeno si era resa conto di come questa rischiasse di sfaldarsi sotto i suoi occhi.

«È che... è il mio primogenito. Io avevo anche intenzione di concedergli in eredità l'Ephia, un giorno...» Ogni tentativo di impedire al suo stato d'animo di strizzarle la voce si rivelò inutile.

Jia Li non si esimette dal criticare la sua scelta arricciando le labbra. «Yordanka, devo forse essere io a ricordarti che Georgi è nato fuori dal matrimonio, e, soprattutto, la sua discendenza Metephra? È assai probabile che il Consiglio possa opporsi a questa concessione di eredità.»

Aveva ragione. Yordanka non se n'era mai resa conto, ma effettivamente era così. Frugò nella sua testa alla ricerca di appigli adeguati con cui arrampicarsi sugli specchi; non trovandone nessuno, finì per scivolare a terra inciampando nella propria goffaggine.

Rialzandosi, i suoi occhi furono di nuovo attirati da Georgi e Li Wen, che al momento stavano ridendo mentre erano intenti a chiacchierare con Ran e Kiril. Erano un quadretto così delizioso già solo a vedersi, il modo in cui l'uno cercava l'altro e il calore che sembrava avvolgerli quando si trovavano insieme...

«Non m'importa» affermò d'impeto.

«Yordanka, non puoi ignorare la-»

«No-no» la fermò Yordanka, sottolineando il malinteso con un gesto di diniego, «intendevo che non m'importa se Georgi si dovrà trasferire. È come dicevamo prima: guardali. Sono così felici già solo a guardarsi. Con nessuno il mio Gogo si era mai sciolto così, tua figlia è stata in grado di fargli tornare il sorriso quando non avevamo alcun motivo per sorridere. Perciò, se trasferirsi da voi sarà quello che lui desidera, io non avrò alcuna remora a permettergli di andarsene. Non m'importa che sia lontano da casa, purché stia bene. Con Li Wen sta bene. È molto semplice.»

Una sollevata espressione di gioia piegò verso l'alto le labbra di Jia Li e le distese i lineamenti del viso. «Sapevo che avresti capito.»

Yordanka annuì di nuovo, come a sancire quella sorta di alleanza tra madri.

«E ora» riprese, frizzante, «ho un discorso di benvenuto da fare!»

Si congedò dalla donna con un cenno del capo, poi si diresse decisa verso i due gradini che sopraelevavano una porzione laterale della sala, sulla quale si erano assiepati i musicisti. Questi conclusero il motivo in corso proprio in quel momento.

«Grazie ragazzi, siete stati bravissimi. Ora potete andare con gli altri» gli sorrise, per poi ampliare il suono della propria voce e irraggiarla in tutta la sala, «posso avere la vostra attenzione un attimo, per favore?»

Quando tutti i visi si furono voltati verso di lei, a Yordanka parve che l'atrio assumesse una nuova forma, quasi sconosciuta, da cui si sentì estraniata. Ignorò quella sensazione e scolpì un sorriso sulle labbra per calciare via il rossore.

«Vi chiedo scusa per l'interruzione» esordì, «ma ci tenevo a ringraziare tutti voi per essere venuti qui ad accogliere questa stupenda ragazza tra noi. Viviamo in tempi difficili, sembra che gli Arkonanti si stiano già riprendendo dalla guerra e molti di coloro che ci hanno permesso la vittoria purtroppo ne stanno pagando le conseguenze.»

La morte di Magndis aveva provocato uno scalpore talmente grave che ancora se ne sentiva il peso nonostante fosse passato un intero anno, durante il quale ne erano seguite molte altre.

«È per questo che è necessario che noi Umanenti restiamo uniti, che ci sosteniamo sempre a vicenda nonostante i dissidi. Sono ormai circa vent'anni che la mia famiglia non ha... la possibilità di offrirvi la Benedizione di Grigor, ma vi sono grata per essere comunque tornati, alla fine, a riporre la vostra fiducia in noi. Li Wen,» cercò il suo viso tra la folla e le sorrise, «cara, sappi che da questo momento, e per tutto il tempo che vorrai restare con noi, sarai parte della famiglia.»

Allargò poi le braccia in un gesto che abbracciava grosso modo tutti i presenti. «Tutti noi, non solo Grigorov, ma anche tutti coloro qui presenti. È un grande onore che tu abbia scelto di riporre la tua fiducia in noi, ti siamo immensamente gra...»

Un gelo improvviso congelò ogni altra parola, sigillandole il fiato nel petto.

La sala fu inghiottita dal battito del suo cuore, mentre una spugna cancellava ciò che i suoi occhi avevano creduto di vedere.

Immensamente grati.

Non era la prima volta che Yordanka pronunciava quelle parole. Quando ognuno di quei volti, ora piatti e anonimi come maschere prive d'anima, intenti a fissarla, le aveva voltato le spalle, solo due persone gli si erano invece avvicinati nel momento del massimo bisogno, erano entrati nella loro famiglia, e allora lei, Leta e Petar gli erano stati davvero immensamente grati. Ma quali erano state le conseguenze? Cosa significava, per davvero, entrare a far parte dei Grigorov?

Un vaso di vetro che si infrangeva sul pavimento marmoreo in mille pezzi. Il vento che sradicava anche i rami più forti dall'albero. Un ruscello che si tuffava in una grotta. Un addio nero solcato nella neve canuta. Un pugnale infame dalla bava scarlatta.

Era inutile disegnare in aria l'illusione della comunità di famiglie bulgare coese e unite che esisteva quando ancora suo padre la manteneva in vita. Loro erano sempre stati soli, il resto era pura facciata. Quando Silviya e Aleksander avevano deciso di trasferirsi lì, avevano reso più piacevole il ghiaccio della prigione entro cui erano rinchiusi; tuttavia, per farlo vi erano entrati a farne parte loro stessi, recidendo ogni contatto con ciò che c'era fuori, dunque condannandosi. Attirando la maledizione che se li era infine portati via.

«Io...» tentò di riprendere il filo in risposta ai borbottii confusi dei presenti, ma la verità appena sbocciata alla luce bigia del suo presente le impediva di tornare al discorso di facciata in cui si era perfettamente calata poco prima.

I suoi occhi corsero tra i volti della folla, soffermandosi su quello di Mu Chen. Ora tutto le era chiaro: non c'era alcun problema nella loro alleanza, nulla che l'avesse minata; quello che Jia Li aveva cercato di dirle era sempre stato sotto i suoi occhi, talmente chiaro ed evidente che per Yordanka era stato di disturbo scorgerlo e aveva preferito voltarsi dall'altra parte.

Mu Chen temeva che, se sua figlia fosse definitivamente entrata a far parte della famiglia Grigorov, la maledizione scagliata sullo Jivonhir si sarebbe estesa fino al suo ramo. Aveva paura di perderla, proprio come gli Ivanov avevano perso i loro figli.

Prima o poi la ruota sarebbe girata di nuovo e un altro ciclo di quel limbo avrebbe schiacciato tutti quelli che si fossero trovati sulla sua traiettoria. Era inutile illudersi, le disgrazie ritornavano sempre a perseguitarli, anche dopo che tutto sembrava migliorare. Anzi, era proprio allora, quando la gioia sembrava raggiungere culmini inarrivabili, che sopraggiungevano.

Cercò Gogo con gli occhi e subito si rispecchiò nel suo sguardo colmo di preoccupazione. Le era finalmente chiara l'entità di quella sensazione che si accompagnava alla felicità quando osservava lui e la sua ragazza: il loro legame illuminava ogni cosa, era una fonte di speranza nell'oscurità, proprio come accaduto in passato per i fantasmi che danzavano nella sua memoria.

Era al culmine della luce, che si cominciava a precipitare verso l'oscurità.

L'inizio della fine. La valanga, dall'orlo di un precipizio, incombeva incerta su di loro.

Lo sentiva. Il vento preannunciava la tempesta.

Questione di tempo, prima che-

«Mamma» la richiamò la voce apprensiva di Goran, avvicinatosi alla piattaforma rialzata. «Tutto bene?»

Non stava bene affatto. Nessuno di loro stava bene. O se anche stavano bene, non si trattava che di una condizione temporanea.

Ogni emozione positiva sarebbe stata ribaltata, acuendo il dolore che ne sarebbe seguito. Non si poteva scegliere di non amare, sarebbe stato come non vivere affatto. Ma più si amava e più si soffriva dopo; era una condizione insita in ogni creatura di Arkon, umana o Ephura che fosse, una condanna, un limbo senza fine.

«Mamma» ripeté la stessa voce.

Si accorse che le lacrime stavano scavando solchi neri sulle sue guance solo quando ne avvertì il solletico scivoloso. Tutti i pensieri relativi alla sua immagine erano stati spazzati via in un battito di ciglia dalla realizzazione di ciò che stava per accadere alla sua famiglia. Ed ecco il risultato: si era umiliata e aveva rivelato la fragilità che si nascondeva dietro l'aspetto formale ed elegante che prima tanto si era curata di costruire.

Una persona devastata dal passato e distrutta dalla vita, non era altro che quello, e si era stancata di mentire.

Si era stancata di quelle maledette strette di mano e dei sorrisi forzati. Loro, per lei, non valevano niente. Erano gli stessi mostri che l'avevano abbandonata al momento del bisogno. Ogni forzatura di coesione era una crepa sulla tomba di ognuno dei familiari che le erano stati strappati via.

«Lo so cosa pensate di me» esondò il suo amaro disprezzo, pari all'eruzione di un vulcano esploso all'improvviso sui presenti, «è inutile mentire. Voi non siete fedeli a noi Grigorov, ma solo a ciò che vi conviene, che vi salvaguardia. Appena la situazione si farà difficile, non esiterete a voltarci le spalle, di nuovo. La vostra stessa presenza qui è un affronto, un insulto a chi è morto, all'interno di questa stessa stanza, a causa del vostro silenzio!» ormai Yordanka stava gridando, la voce graffiata dalle lacrime.

Ignorò Cicio Vasko che scuoteva la testa con una mano sulla fronte, come fosse imbarazzato lui stesso dalle sue parole. Si era affezionata a quell'uomo, che più volte le aveva manifestato, sempre a modo suo, le sue condoglianze per ciò che aveva passato. Ma il dispiacere suo o di altri non avrebbe cancellato quanto accaduto, non avrebbe riportato in vita i rami perduti. Quello che avevano fatto, o meglio, non avevano fatto, ormai non si poteva cambiare.

«Li Wen» tornò a rivolgersi all'oggetto della "festa", ignorando il turbamento della folla. «D-davvero, ti sono davvero grata per ciò che hai fatto per mio figlio e per averci scelto. Ma temo che questa sia la scelta sbagliata. Noi Grigorov saremo sempre la scelta sbagliata. Siamo maledetti, condannati. Ti conviene starci alla larga finché ti è possibile. Anzi... conviene a tutti voi. Cosa ci fate ancora qui? Andatevene! Andatevene via, se non volete rischiare finire invischiati nella nostra maledizione, a-andatevene...»

La voce le si infranse in singhiozzi incontrollati, che la piegarono in due. Le ginocchia furono attratte dal suolo e lei si trovò a terra, con il desiderio di farsi piccola piccola, come se fosse l'unico modo per far scomparire tutte quelle persone. Tutti quei volti privi d'anima.

Tutti coloro che l'avevano sempre abbandonata.

Si era umiliata, ed era sicura che a posteriori avrebbe voluto cancellare quell'episodio dalla sua esistenza, ma una parte di lei era sollevata di aver finalmente messo sul piatto le cose esattamente come stavano. Violeta era sempre stata diretta con tutti, Petar non aveva mai avuto remore ad affermare le peggiori verità che nessuno accettava; lei invece aveva sempre continuato a mentire.

A Dragomir. A Todor. A Mu Chen. A Jia Li. A ognuno dei presenti.

A se stessa.

Dire la verità era tremendamente difficile, ma anche liberatorio. Aveva trattenuto troppo a lungo le lacrime, quelle vere, quelle che per anni le avevano graffiato i pensieri e soffocato i sogni.

Quel fiume in piena che esondava dall'alveo, quel vulcano spento finalmente esploso, quel ruggito impregnato di angoscia.

Non fece caso alla reazione degli altri al suo comportamento indecoroso, l'unico suono che le sue orecchie riuscivano ancora a percepire era quello dei suoi respiri strozzati e del suo Clypeus stanco che si infrangeva in pezzi, lasciandola nuda, scoperta, una conchiglia già vuota ora privata anche del suo guscio.

Poi, dal nulla, emersero un paio di vellutate mani di seta, che gentilmente presero le sue. Yordanka, gli occhi spiritati e le lacrime che le annebbiavano la vista, sollevò lo sguardo su Li Wen. La ragazza la raccolse da terra con la stessa cautela riservabile a cocci di vetro tagliente infranti al suolo.

«Yordanka» sussurrò, la voce un filo sottile sospeso sopra l'abisso, la fronte strizzata in un'espressione profondamente addolorata. «Ti sono grata per queste parole sincere. La maledizione della tua famiglia è finita, a nessuno di voi, anzi, di noi, verrà fatto più alcun male.»

La ragazza volse per un attimo gli occhi verso un punto della folla, forse il padre, poi tornò a Yordanka, per affermare: «Io ti do la mia parola».

A Yordanka parve di precipitare, le vertigini le serrarono lo stomaco. «Tu... tu non puoi saperlo. È-è troppo pericoloso-»

«Non m'importa. Questo è quello che ho scelto, e non potrai cambiare la mia decisione» Li Wen addolcì il viso con un ampio sorriso sornione dalla piega infantile, volto forse a tirarle su il morale.

Era così giovane, sciocca, e ingenua. Yordanka stava rischiando pericolosamente.

L'abbracciò con impeto, per stringerla a sé come fosse figlia sua.

Stava rischiando pericolosamente di affezionarsi.

Ìstinata = La verità

Ennienteh, Yordanka che va in crisi l'ennesima volta non potevamo perdercela ahah

Chissà come andranno le cose questa volta eheh 😇 Ma di nuovo è prevedibilissimo che andranno a meraviglia perché vi ho già anticipato che nella Terza Parte non muore nessuno 🥳

In ogni caso, per non rischiare di fare troppa confusione con i nomi nuovi, ecco per voi il nuovo Jivonhir genealogico! 🌳

E dal momento che è troppo minuscolo per capirci qualcosa vi faccio una piccola zoomata sui personaggi che è più importante memorizzare per il momento:

E INFINE, NEL CASO NON AVESSE VISTO BENE DATO CHE LE IMMAGINI SONO MICROSCOPICHE, ECCO UN'ULTERIORE ZOOMATA SU ILIA SOLO PER GiulSma 🖤💀

Il prossimo salto è quello definitivo, ma questo piccolo capitoletto di passaggio - piccolo di quasi ottomila parole 💀 - era comunque fondamentale per capirci qualcosa dopo ahahah

E ora... comincia la terza parte vera e propria! 🌹

Buona lettura!

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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