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18.Zad Vratata

Sofia, gennaio 1996

I passetti di Georgi sfrecciavano rapidi come missili in direzione della cucina. Appena raggiunto il rubinetto del lavello, si alzò sulla punta dei piedi per afferrare la manopola e girarla.

L'acqua sgorgò, con impeto improvviso, nella bacinella che aveva appena portato, facendolo sussultare per lo spavento; si sentiva quasi continuamente come un coniglietto tremante negli ultimi tempi, da quando tutti quegli sconosciuti erano in casa, e non credeva che si sarebbe mai abituato a vivere nella paura.

Non appena la bacinella fu piena, spense l'acqua e la sollevò per la maniglia, prendendo a trasportarla a fatica. Non era sicuro che alla mamma servisse per davvero dell'acqua per far nascere suo cugino, magari era solo un modo per tenere occupati i suoi figli. Tuttavia, quella era stata la sua richiesta, e per aiutare zia Sisi avrebbe fatto tutto ciò che gli era possibile. D'altronde, non si intendeva molto di parto, la mamma che l'aveva già fatto quattro volte di certo era più esperta.

Peccato che nelle altre occasioni sopraggiungesse appositamente un Ephuro formato in materia. Dov'era adesso? Perché non veniva? Possibile che gli Ophliri fossero cattivi al punto da impedirgli addirittura l'accesso? Forse era solo in ritardo...

Nel mentre, era meglio muoversi. La sala parto in cui portò la bacinella piena d'acqua era in realtà il loro soggiorno. Le stesse tende rosse scure impedivano alla luce bianca di penetrare completamente all'interno e posarsi su zio Petar, la mamma e Silviya, la quale era distesa su una pila di cuscini che equiparavano il loro divano a un vero e proprio letto. Non c'era stato tempo di portarla più lontano di lì, perché avrebbe significato anche dover salire le scale.

«Oh bravo Gogo, bravissimo» disse frettolosa, posando sbadatamente il cesto di fianco al letto. «Ora... ora vai da Ran e badate a Ilia... qua ci penso io... credo.»

Georgi, prima di uscire come richiesto – era curioso di sapere come sarebbe andata ma non avrebbe mai disubbidito a una richiesta della sua mamma –, diede una rapida occhiata all'Ophliro davanti alla porta, che osservava in silenzio, senza muovere un muscolo.

Prima che lo mandassero a prendere l'acqua, aveva sentito che sua madre e suo zio avevano provato a parlare, implorare persino, uno degli Ophliri presenti, di chiamare un esperto o aiutarli lui stesso, ma non aveva mosso un muscolo. Lo stesso i suoi compagni. «Non faremo alcunché fino a nuovi ordini di Maksim» avevano risposto secchi, senza nascondere il ghigno. «Avete creato i Vortici, cosa potrà mai costarvi far nascere un bambino?»

Così dovevano cavarsela con le loro sole capacità, che di certo non comprendevano cebrim da ostetrica. La mamma, abituata a partorire, non si era però mai trovata dall'altra parte e, senza suggerimenti esterni, non sapeva nemmeno da dove iniziare, se non indicando a zia Sisi di fare quel che era stato detto di fare a lei nella sua stessa situazione.

Georgi non aveva idea di come funzionasse un parto, dal momento che anche alla nascita di Ilia gli era stato impedito di assistere, con suo grande dispiacere; il miracolo della vita, pur sembrando assai faticoso per la madre, lo aveva sempre affascinato, ma di solito si accontentava di vedere i bambini appena nati tutti rugosi e sudici, con i visetti distorti in smorfie, proprio come i suoi fratellini.

Chiusosi la porta alle spalle, si trovò nel corridoio, la cui parete era percorsa interamente da una lunga panca, sulla quale al momento erano accomodati i suoi fratelli: Goran, che alla sua vista schizzò subito in piedi; e Ilia, che se ne stava in silenzio a braccia conserte, forse mezzo addormentato.

«Allora? Come sta andando?» chiese subito il maggiore dei due.

«Non lo so, credo bene» rispose semplicemente, accomodandosi accanto a lui.

«Credi? Non hai chiesto, be

«No, io... ho solo portato dell'acqua.»

Il bambino sbuffò infastidito, facendo tremolare le guance morbide e guardandolo come se fosse un idiot¹. Nonostante i circa cinque anni di differenza, Ran lo aveva sempre trattato come suo pari, anzi, quasi schernendolo per la sua profonda e, a parere suo, esagerata ubbidienza.

«Hayde², andiamo a sentire cosa dicono» fece, come fosse la cosa più naturale del mondo, trotterellando a sbirciare dal buco della serratura.

Georgi sgranò gli occhi. «Goran!» squittì arrabbiato. I suoi fratelli erano sotto la sua tutela, in qualunque modo avessero disubbidito alle regole la responsabilità sarebbe poi ricaduta su di lui. La sola idea che la loro stessa incolumità dipendesse dalla sua persona fu sufficiente a provocargli un capogiro. Non vantava alcuna abilità di attitudine al comando, non sapeva farsi rispettare e soprattutto l'ansia azzerava ogni sua facoltà d'intelletto, spingendolo ad appoggiarsi alle sicurezze, come quelle che sapevano dare le persone più grandi ed esperte di lui, dunque i genitori, i tutori e gli zii. Senza di loro, costretto a dover agire per propria iniziativa, non sapeva mai cosa fare.

Era meglio impedire a Goran di sbirciare? La mamma aveva detto loro di uscire, dunque forse preferiva che non assistessero...

«Ran non si fa, via di lì» lo richiamò con un tono pacato che risultò tuttavia soprattutto incerto.

«Andiamo, che vuoi che sia!»

«Mama ha detto che...»

«Che non possiamo dare un'occhiata dal buco della serratura? Eh, ha detto così mamma?» ribatté imperterrito l'altro, il tono in parte canzonatorio. Roteò gli occhi. Menomale che non c'era anche Kiril, quando i due facevano comunella contro di lui erano ancora più ingestibili! Si pentì subito dopo di quel pensiero, e corse di fianco a Ran, il quale gli indicò un posto in cui anche lui poteva spiare parzialmente. Non si riusciva a vedere praticamente niente, perché lo schienale del divano copriva la figura di Silviya e sia zio Petar che Sisi erano in controluce. Nonostante ciò, gli occhi di Goran erano magnetizzati verso ciò che quel minuscolo spiraglio permetteva di raggiungere ai loro sguardi curiosi.

«Lascia perdere, Ran, dobbiamo occuparci di Ilia» provò a rimbrottarlo con un imbarazzante tentativo di tono severo, tornando a sedersi vicino al fratello più piccolo. Lui ovviamente non volle sapere ragione.

Passarono così una buona mezz'ora, lui a richiamarlo senza risultati ogni tanto e l'altro a ignorarlo beatamente. A momenti era invece lui stesso che correva dal fratello a vedere cosa stesse succedendo, preoccupato per le grida che sentiva dall'altro lato.

«Cicio³ Petar e mamma stanno litigando!» esclamò d'un tratto Goran, attirando subito la sua attenzione.

«Riesci a sentire cosa dicono?»

«Sŭvsem malko⁴... » bisbigliò mentre, a punta di piedi, allungava un braccio verso la maniglia, che prese a ruotare lentamente con la manina paffuta.

«Ran! Che cosa fai?!»

«Shhh!»

Era incredibile, non capiva mai quando era il momento di fermarsi! Troppo tardi: ormai aveva aperto la porta, di circa un millimetro. Fessura più che sufficiente, tuttavia, sia per permettere ai rumori della stanza adiacente di fluire nella loro, che per concedere anche a Georgi di dare un'occhiata oltre l'uscio. Stava letteralmente morendo dalla curiosità.

Zio Petar esclamò qualcosa che nessuno dei due comprese, dal momento che era in Ephiano. La lingua madre degli Ephuri era anche buffa se udita da orecchie esterne, un po' meno buffa era tuttavia l'espressione sconvolta dello zio, accostata alla rabbia disperata che ne distorceva i lineamenti. Non l'aveva mai visto in quello stato, sudato e gesticolante, così diverso dallo zio pacato e un po' noioso cui era abituato.

«Uff, non si capisce niente!» lamentò sottovoce il fratello.

«Sembra che cicio stia dicendo di no a qualcosa» notò, interpretandone come possibile i gesti. La mamma, invece, insisteva il contrario. Anche lei sembrava parecchio esasperata, i capelli castani chiari raccolti in una crocchia disordinata, il viso tutto rosso forse per la pressione e gli occhi imperlati di lacrime. Neanche a lei piaceva quello che stava dicendo, si rese conto Georgi, ma in qualche modo lo riteneva necessario.

Percepì un groppo formarglisi in gola, mentre il cuore gli si agitava preoccupato nel petto. Non sapeva in che modo, ma la situazione era grave. Vedere i suoi punti di riferimento così spaventati lo impanicava, e la consapevolezza che qualcosa di terribile stesse per accadere prese possesso di lui.

Quando Ran si accorse che le mani di suo fratello avevano preso a tremare, senza esitazione ne afferrò una e la strinse forte. Georgi si voltò verso di lui, stupito da quel gesto inaspettato, svolto inoltre con totale naturalezza, senza neppure distogliere lo sguardo dalla fessura. Era così abituato alla vivacità del fratello che ogni tanto finiva per dimenticare che pure lui sapeva essere affettuoso, quando necessario. Quel piccolo gesto conferì maggiore forza a entrambi i fratelli, tanto che Georgi ritrovò addirittura il coraggio di tornare a osservare oltre l'anta socchiusa.

Adesso Petar si era chinato sul divano, per cui ne scorgeva solo parte del capo e della schiena ingobbita. Lui e lelia Sisi parlarono a bassa voce, quella di lei affaticata e quella dello zio affranta, poi lui si alzò di scatto e, a passo rapido, si diresse verso la porta.

La loro porta.

Entrambi i bambini realizzarono con un attimo di ritardo, poi fecero appena in tempo a ritrarsi per non venire investiti dall'anta che si apriva con veemenza. L'avevano scampata per un pelo. Georgi non era abituato a disubbidire alle regole, e la sensazione non gli piaceva per niente.

Tuttavia, ogni pensiero sulle sue colpe fu scacciato via dalla presenza dello zio, che non badò nemmeno a loro. Si tirò indietro i capelli con fare agitato, il respiro corto come dopo una corsa faticosa, e si appoggiò con una mano sul muro, come necessitasse di una pausa. Georgi pensò che avrebbe pianto, come aveva visto fare suo papà una volta, dopo un brutto litigio con la mamma. Invece lo zio non lo fece, restò semplicemente lì, a pensare chissà che cosa, osservato da tre paia di occhietti confusi.

«Cicio Petar» lo chiamò senza remore Goran. «Che sta succedendo?»

Lui si voltò di scatto, quasi ricordandosi solo in quel momento della loro presenza. Gli occhi grigiazzurri ombreggiati da occhiaie profonde li scrutarono stupiti e annebbiati, la bocca leggermente socchiusa. Sembrava la stessa espressione confusa di una persona appena emersa da un sogno.

Peccato che l'incubo, sospettava Georgi, fosse la realtà stessa che stavano vivendo.

«Il bambino» rispose con una bizzarra voce arrochita, «pare che sia nella posizione sbagliata.»

Non ebbe il tempo di chiedere cosa ciò significasse esattamente, e perché fossero tutti così sconvolti, che la porta si aprì di nuovo, e la figura della mamma si stagliò alla porta. Notando i figli, accarezzò rapidamente i capelli di Georgi, poi spostò lo sguardo su suo fratello.

«Dobbiamo farlo, Petre, non c'è altra scelta.»

«C'è sempre una scelta» ribatté lui con una voce talmente bassa da far rabbrividire Georgi.

Lei, tuttavia, non si scompose e, con la voce rotta, rispose: «E Silviya ha preso la sua».

Per un attimo il labbro inferiore dello zio tremò, poi sparì oltre la porta nello stesso modo in cui ne era uscito, e senza fornire la minima spiegazione.

«Fate i bravi» aggiunse la mamma, la voce appena un filo tremante, trattenendo le lacrime prima di seguirlo. Ran provò ad andarle dietro, ma Georgi riuscì a fermarlo, con sua stessa sorpresa, semplicemente posando una mano sulla sua spalla.

Non appena sbirciarono nuovamente dalla fessura della porta socchiusa, notarono che la madre aveva in mano un coltello.

Zad Vratata = Da dietro la porta

Ma che avrà in mente 'sta pazza con il coltello?? 😱
Credo che non vi sia difficile intuire cosa succederà ora... e in merito a cosa sia stata la scelta di Silviya. Vi chiedo perdono in anticipo, perché questa parte è davvero pesante, ma l'avevo pensata tempo fa come backstory dei Grigorov di sfondo e non immaginavo che sarei mai arrivata a scriverla... anche per questo è un po' fuori dalla mia comfort zone, ma spero che vi piacerà comunque (no, non vi piacerà 💀), in ogni caso la mia "salvezza" in Jivonhir è che ho deciso di concentrarmi sulle emozioni dei personaggi, quindi vi saranno risparmiati i tecnicismi del parto, PERCHÉ SINCERAMENTE È UN ARGOMENTO DI CUI SO MENO DI ZERO E CHE NON MI INTERESSA APPROFONDIRE.

Detto questo vi avverto che nei prossimi due capitoli non metterò spazi autrice perché lasciano a corto di parole. Perciò anticipo qui le immagini di Gamsutl, in cui arriveremo nel prossimo, giusto per trasmettere un po' di pubblicità in stile Merlin:

Nel prossimo episodio...

E niente, detto questo... buoni traumi! 💔

꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂

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