10.Kato dim
Sofia, gennaio 1994
I colori scoppiarono nella volta celeste oscura, eruttando tutt'attorno come acqua da una fontana, spruzzati direttamente dalla gioia stessa degli Ephuri che li avevano prodotti, e accesi da acutissimi scoppi che si fusero con i battiti del suo cuore e con le grida emozionate della folla.
I fuochi d'artificio Ephuri erano molto più affascinanti e coinvolgenti di quelli Letargianti, perché animati da cebrim specifici che li rendevano veri e propri miracoli visivi: quelle che infiammavano nel cielo prendevano la forma di storie armoniose, tinte da colori che nemmeno sapeva esistessero, fusi e abbinati in modi che mai avrebbe ritenuto possibili.
Purtroppo, non erano molte le occasioni in cui si poteva assistere a quello stupendo spettacolo, dal momento che le opportunità in cui poter festeggiare per davvero nella società Umanente si potevano contare sulla punta delle dita, per cui Violeta decise di goderseli il più possibile.
Quel giorno, la leggerezza e l'euforia erano talmente tangibili che si potevano toccare con mano, perché era da poco avvenuto ciò che si era creduto impossibile per millenni.
«L'erede di Arkon è morto!» gridò un ragazzo alzando un pugno in segno di vittoria, subito accompagnato da altri Ephuri circostanti, per sottolineare maggiormente quell'affermazione per il semplice fatto che anche solo dirlo ad alta voce risultava inverosimile. Si trattava dell'Erede di Arkon, dopotutto.
Mentre i fuochi giungevano al termine e la notte invernale accesa dalle luminarie sembrava dilungarsi per concedere agli eroi di guerra quella pausa meritata dopo tutte le sofferenze subìte, Violeta si diresse verso uno dei tavoli messi a disposizione dalla loro Ephia, dove già si erano raccolti Yordanka, Sasho e i bambini. C'era anche Konstantin, intento a cullare il piccolo Ilia mentre questo gemeva nel suo pianto quasi privo di suono.
Ilia non gridava mai; anzi, era talmente silenzioso che qualche volta quasi ci si dimenticava della sua presenza.
«È incredibile, vero?» esclamò Yordanka, correndo ad abbracciarla entusiasta.
«Naah, prima o poi doveva finire, o per noi o per il mondo intero» ironizzò lei in risposta, con una risata amara, guadagnandosi un'occhiataccia dalla sorella.
Non appena la vide, Gogo smise di fare quel che stava facendo e la raggiunse con un salto per abbracciarle le gambe. A quel gesto, Violeta ebbe quasi un capogiro, perché una parte di lei al posto di Georgi vedeva un altro bambino, di un anno più giovane, con i capelli un po' più corti e mossi, più tondo e caloroso. Un bambino che aveva smesso di sorridere ormai diversi anni addietro.
«Hayde¹! Sono solo andata a vedere i fuochi poco più in là» disse per staccarselo di dosso, con una risata leggera che velava il suo malessere. Amava Georgi come fosse figlio suo, ma proprio non riusciva a sopportare quei momenti in cui le ricordava il fratellino che aveva perduto. «Dove sono Ran e Kiro?» chiese per cambiare discorso.
«A scorrazzare in giro da qualche parte sicuramente! Comunque, c'è Hristo con loro» rispose Sasho con tono distratto, lanciando diverse occhiate preoccupate al figlio più piccolo. Tutti in famiglia erano inquieti per l'ultimo nato: pur non soffrendo di alcuna malattia, la sua carnagione era sempre pallida come la luna, non rideva mai e nemmeno piangeva. Inoltre, i suoi occhi ancora non si erano aperti dopo quel primo mese che era trascorso dalla sua venuta al mondo, e un dottore Ephuro che avevano chiamato più volte non sapeva spiegare perché. Violeta era quasi sicura che circolassero tracce di astio nei confronti della loro famiglia, rimasta storicamente responsabile dei Vortici, e che per questo il medico si rifiutasse di fornire al piccolo Ilia l'aiuto che meritava. Aveva provato a farsi rispettare a modo suo, ma non era sicura di aver sortito qualche effetto. Come sempre.
«È impossibile fermarli quei due! Sempre a giocare, sembrano instancabili!» riprese il discorso Yordanka, stringendo con tono affettuoso una spalla al marito per rassicurarlo, ma senza spegnere il sorriso che le ravvivava il volto, come se quella sera avesse deciso di essere felice e basta, ignorando tutto il resto. Tipico di Dànceto.
Violeta non aveva neanche intenzione di provarci. Erano anni che non le riusciva di rilassarsi, si sentiva in costante tensione fin dalla morte di Liuben, quasi fosse sul punto di scoppiare e distruggere tutto ciò che la circondava, proprio come... sì, come un Vortice. Desiderava intensamente poter creare uno di quei maledetti mostri e abbatterlo sul Consiglio, sui Delphini, su Maksim, così da rendere devastante il loro ultimo spiraglio di vita e vendicare il fratello.
Quando Aleksander era sbucato per primo fuori dalla grotta, aveva tra le braccia quel corpicino ritorto, inerme come una bambola di pezza. In quel momento, il dolore e una furia senza limiti si erano allacciati dentro di lei, avvinghiati tra loro, affondando le loro unghie affilate nella sua anima, decisi a non mollarla mai più. A quel tempo era solo una bambina, nemmeno aveva sviluppato i suoi primi cebrim, ma, anche se non poteva fare niente, aveva ugualmente tentato l'impossibile, senza ottenere risultati. Il senso di inutilità che aveva provato se l'era portato dietro per anni. Avrebbe voluto distruggere quel sorriso che aveva deformato il volto di Maksim alla vista del corpo del giovanissimo Grigorov e gettarlo nel ruscello che ruggiva di sotto.
Invece nessuno di loro aveva potuto ribellarsi né mostrare il proprio disappunto. L'assolvimento che il Consiglio aveva concesso loro era già un premio che non meritavano, dicevano alcuni. Altri disapprovavano invece le azioni dei Delphini, affermando che avrebbero dovuto processare anche Yordanka e il resto della famiglia. Tutti erano troppo sollevati dalla sconfitta dei Vortici per insistere troppo, ma non ci fu una sola voce, escluse quelle degli Ivanov, a denunciare l'omicidio che era appena stato compiuto né a portare loro le dovute condoglianze.
Maksim aveva vinto, in tutti i sensi e i modi possibili, e loro non avevano potuto farci niente. A testa bassa se n'erano tornati nella loro Ephia a piangere il lutto, poi ognuno era andato avanti con la sua vita, Yordanka aveva messo su famiglia e persino Petar si era fidanzato.
Violeta invece proprio non riusciva a muoversi dalla sua posizione, come fosse rinchiusa dentro un'immagine di se stessa da cui non era possibile svincolarsi. Ignorare le ingiustizie non faceva per lei, e inoltre quell'insopportabile irrequietudine continuava a sussurrarle nell'orecchio che i loro problemi non sarebbero mai finiti, e che quell'apparenza di serenità che avevano raggiunto era solo la quiete prima della tempesta.
Come a confermare quei suoi cupi pensieri, una voce fin troppo familiare, che non aveva il dispiacere di dover ascoltare da diversi anni, esclamò: «Ma che bella famiglia che si è venuta a creare».
Qualcosa si congelò all'istante dentro Violeta.
Le sue dita si erano già automaticamente chiuse a pugno, proprio come quando era giovane, prima ancora che avesse il tempo di voltare il capo nella direzione di Maksim Razumov.
«Non mi pare che tu sia stato invitato» ribatté Yordanka con tono duro, posizionandosi subito davanti a Violeta, una mano a stringerle il braccio come a intimarle di calmarsi, già prevedendo la reazione violenta con cui altrimenti la sorella minore avrebbe accolto l'Ophliro. L'ultima volta che aveva affrontato Maksim non aveva potuto fare nulla, ma ora era diventata forte. Ora avrebbe potuto fargliela pagare. Avrebbe potuto spazzare via quell'orribile sorriso per sempre.
«Oh, è così allora che si accoglie un eroe di guerra e vostro superiore?»
Negli enormi occhi neri dell'uomo che Violeta detestava più al mondo, sorse la solita spavalderia derivata di quella superiorità con cui si divertiva tanto a schiacciare chi era più debole di lui. «L'invito non era forse rivolto a tutte le Ephie bulgare e a chiunque avesse contribuito a questa colossale vittoria? Se fosse venuta Magndis Dùnndottir, o magari il generale Eulalia, avreste avuto la stessa reazione?»
Yordanka, rossa dalla rabbia per come quel mostro avesse osato paragonarsi a tali eroine, aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotta da Aleksander.
«Intendevamo solo manifestare il nostro stupore per la sua presenza qui», la sua voce aveva assunto il solito tono ossequioso e gentile che riusciva inspiegabilmente a rivolgere anche a chi detestava, «i festeggiamenti a Mosca saranno certamente più sfarzosi rispetto a quelli di questa umile Ephia, sbaglio?»
«Hai ragione. Tuttavia, non potevo non approfittare di questa gioiosa evenienza per presentarvi al mio figlio maggiore» si rivolse al ragazzo che era accanto a lui, che in un primo momento Violeta nemmeno aveva notato. Doveva avere all'incirca l'età di Yordanka, ed era la copia sputata del padre, come se costui lo stesse creando a sua immagine e somiglianza. Stessi capelli chiari, medesimi zigomi definiti, e identica antipatia innata. «Vladimir, ecco i Grigorov, di cui ti ho tanto parlato: delinquenti impuniti che hanno pure la faccia tosta di organizzare una festa per la fine della guerra nonostante tutti i problemi che hanno causato. Guardali Vladimir, assassini che festeggiano la sconfitta di altri assassini...»
A quel punto Violeta non riuscì più a resistere. «Noi non abbiamo ucciso nessuno» disse, venendogli vicina come era solito fare lui quando intendeva gettarla in cella ai tempi in cui aveva il controllo dell'Ephia, il tono calmo ma spietato. «E noi non dimentichiamo. Mai.»
Lui non si scompose. Mantenne il suo sguardo e poi fece emergere quell'orribile ruga sulla fronte, distorcendo il viso in un'insopportabile risata che sapeva di neve primaverile e ruscelli che venivano inghiottiti dalla gola della terra. «Davvero, piccola Grigorova? Davvero?»
Aveva ragione, maledettamente ragione. Qualcosa in effetti era stato cancellato, e proprio per causa sua. Quella consapevolezza accrebbe ulteriormente la furia dentro di lei.
Stava per ribattere, quando un vociare improvviso e grida entusiaste si alzarono da un punto nella folla. Anche Maksim si voltò confuso e lievemente interdetto da quella interruzione.
Nel seguire il suo sguardo, gli occhi di Violeta si posarono per caso su Vladimir, notando che, forse fin da quando era arrivato, sembrava essersi irrigidito – sempre che non fosse proprio fatto così – e fissava Aleksander in un modo che non seppe decifrare. Quest'ultimo anche, a sua volta, sembrava aver notato in lui qualcosa che agli altri sfuggiva.
Tuttavia, non se ne curò molto perché intanto Yordanka, che era andata a vedere cosa stesse accadendo, stava ora gridando per la felicità, forse già dimentica della presenza oscura che era nuovamente piombata su di loro, portando sciagure. Corse verso di loro, accompagnata dalla coppia che era appena sopraggiunta, e attorno cui erano calamitati gli sguardi della maggior parte dei presenti.
«Ragazzi, non ci crederete mai, è Clara! Con Daniel! Oh Daniel, sono così felice di conoscerti! Clara mi ha raccontato così tanto di te! È così bello avervi qui di persona! Ma venite, il viaggio è lungo, sarete esausti! Ancora non ci credo che siate davvero qui!»
Yordanka, parlando a raffica e gridando come una bambina, continuò così per altri due minuti, presentando ai due nuovi arrivati Aleksander e i bambini.
Quando si rivolse a Violeta, lei si affrettò a tagliare corto. «Sì, la conosco già. C'ero anch'io, ricordi? Piacere di conoscerti Mindsmith. Dov'è l'altro? Langy mi pare si chiamasse.»
Un'ombra passò sul viso della signora Cervini nel sentire pronunciare quel nome. In effetti, fin da quando erano arrivati non sembravano condividere l'euforia degli Ephuri circostanti. «Non è potuto venire» si limitò a dire, a denti stretti, mentre Violeta notava la sua mano stringersi a quella del marito.
«Anche i bambini, li abbiamo lasciati con Michael» aggiunse poi, rivolta a Yordanka con un lieve sorriso tirato.
Lei e Daniel, da quel che sapeva Violeta, avevano contribuito a concludere la guerra. Le informazioni di cosa fosse realmente accaduto non erano trapelate, ma i due non sembravano esserne usciti indenni. Di certo, però, meritavano il titolo di eroi molto di più di Maksim. Il quale, tra l'altro, sparsa la sua aura negativa sui loro sorrisi, sembrava essersi dileguato.
«Se ti va di parlare...» propose Yordanka, guardando in tralice l'amica, forse notando anche lei i suoi tentennamenti – intanto Daniel era andato a offrire dei cioccolatini dall'incarto dorato a Georgi, che sembrava apprezzarli parecchio.
Clara deglutì, e abbracciò l'amica. «È solo che... vogliono processarla...» le sentì dire tra le lacrime trattenute negli occhi color nocciola, mentre si portava nervosamente una ciocca dietro l'orecchio. «Che cosa ho fatto...»
«Clara, era necessario, ci hai salvati tutti!» ribatté Yordanka, con tono sicuro.
Violeta avrebbe volentieri origliato altro di quella conversazione, quando un'altra voce richiamò la sua attenzione, poi quella di altri dei presenti circostanti.
«Ehi! Ragazzi, scusate!» Silviya, bella e dolce come sempre – e come Violeta non sarebbe mai stata – cercò di raccogliere attorno a sé più gente possibile. Petar si trovava qualche metro dietro di lei, velato nell'ombra di uno degli edifici, per cui di lui si distingueva solo il profilo. «Io e Petar avremmo una piccola sorpresa...»
Si alzò un lieve brusio nella folla che si era raccolta, mentre il nominato se ne restava nascosto dietro lo spigolo. La ragazza dovette averle comunicato qualcosa mentalmente, perché poi lui si fece coraggio, e uscì alla luce del raggio rossastro di un lampione nelle vicinanze. Era il solito Petar, con i capelli castani scarmigliati e quello sguardo sempre un po' perso nella sua depressione, ma questa volta un lieve sorriso timido gli piegava un angolo della bocca e le orecchie erano avvampate come solo quando era profondamente imbarazzato gli accadeva.
Ma ciò che provocò un'esclamazione di stupore soffocata in Yordanka, e che fece accelerare il battito nel petto di Violeta, fu lo strumento musicale che il ragazzo impugnava delicatamente, come potesse spezzarsi da un momento all'altro. Uno strumento che durante l'infanzia non aveva fatto altro che guardare da lontano e che aveva sempre creduto irraggiungibile. Uno strumento che solo la persona a cui lui aveva tenuto più al mondo era capace di dare vita.
Senza pronunciare una sola parola, Petar si sedette su uno sgabello, e cominciò a suonare la chitarra. Le note che emersero dalle corde che venivano pizzicate dalle sue dita si sparsero nel silenzio che si era adagiato intorno a lui, prima come timidi scintillii nella notte, poi esplodendo, più intensi dei fuochi d'artificio di poco prima; scoppiati tuttavia, direttamente nel cuore di Violeta.
Nei recessi della sua memoria, rivide Denislav, il fratello maggiore che alleggeriva le vite dei più piccoli con le sue stupende melodie. Era tornato in vita, e ora suonava ancora un'ultima volta per loro tramite le dita di Petar. E li osservava, sorridente, tramite i suoi occhi luccicanti per l'emozione.
Era una melodia triste, che dilaniava l'animo, e forse per questo non fece molto successo tra i presenti che desideravano mettere da parte la tristezza in quel giorno di vittoria. Ma Violeta quasi non ci prestò attenzione, troppo assorbita da quella eruzione di malinconia.
Quando l'ultima nota si fu conclusa, il pubblico concesse un timido applauso, animato vivacemente da Aleksander e i bambini, tra cui erano appena sopraggiunti anche Ran e Kiril. Il primo era il più entusiasta e saltellava intorno a Petar facendogli mille domande sulla chitarra; il secondo, invece, se ne era restato imbambolato dall'inizio alla fine, in quel suo buffo cipiglio che sembrava sempre essere contenitore dei più grandi quesiti dell'universo.
Yordanka e Violeta si avvicinarono al fratello.
«Maledetto!» esclamò Yordanka, gli occhi lucidi, trattenendo un singhiozzo. Poi, d'impeto, lo abbracciò, stringendolo fortissimo a sé. «Mi ero ripromessa di non piangere oggi!»
«Spiacente di aver rovinato i tuoi piani» rispose lui con un sorriso, il tono leggermente meno monocorde rispetto al solito. Nonostante anche lui avesse provato dolore nel gesto in onore del loro fratello maggiore, pareva portare con elegante consapevolezza e soddisfazione lo stesso peso di cui per anni era stato vittima.
«Ma come... come...» provò a dire Violeta, senza sapere da dove cominciare. Non riusciva proprio a trovare dentro di sé le parole per esprimere ciò che provava. Forse perché semplicemente non esistevano. Così si limitò a trasmettere le sue emozioni direttamente al fratello, che la guardò intensamente come solo lui sapeva fare, gli occhi grigiazzurri che le perforavano l'anima.
«Stavamo prendendo lezioni da un po', quando si allenava insonorizzavo la nostra camera così da potervi fare la sorpresa al momento giusto» spiegò Silviya.
«È stata di Sisi l'idea» aggiunse Petar, prendendo le mani della moglie nelle sue, chino a guardarla come se non esistesse nulla di più prezioso al mondo. I due, a differenza di Yordanka e Sasho, erano soliti riservare le loro effusioni amorose a quando erano da soli, per cui risultavano sempre molto timidi. In quel momento, però, Sisi posò una mano sulla guancia del ragazzo e gli propose: «Ti va di ballare?»
Lui annuì, accennando un lieve sorriso, e la coppia cominciò a dirigersi verso la piazza dove molte coppiette avevano preso a muoversi, tutte abbracciate tra loro, a un motivo mieloso e romantico suonata da una band improvvisata, forse ispirata da Petar stesso.
Yordanka esultò e, preso per mano Aleksander, corse verso la musica. Mentre anche Clara e Daniel e altre coppie andavano a ballare, con un sospiro Violeta si avvicinò a Konstantin e Hristo, interponendosi esattamente in mezzo a loro. In un passeggino si era accomodato Kiril, forse stanco di correre dietro al fratello più grande, che però continuava comunque a stuzzicarlo; Gogo, invece, si era allontanato a giocare con altri bambini.
Mentre Hristo a momenti riprendeva a monosillabi e poche brevi parole i due bambini, Violeta si accorse che Konstantin continuava a lanciargli di nascosto alcune occhiate. All'improvviso si sentì di troppo e si chiese come avesse fatto a non rendersi mai conto prima del reale tipo di legame tra i due tutori.
Con un sorrisetto malizioso si avvicinò all'orecchio di Konstantin. «Su, chiedigli di ballare, mi occupo io di Ilia.»
A quelle parole lui sgranò gli occhi per la sorpresa, vulnerabile e insicuro come un ragazzino. «Ma... ecco, io...»
«Dammi questo succhia-latte e non rompere!» ribatté lei prendendogli il bambino. Lui sorrise riconoscente, poi andò dall'altro Metephro, che alla proposta a sua volta chiese conferma alla Grigorova. Lei assicurò che poteva occuparsi anche dei piccoli furfantelli e così i due si unirono alle coppie danzanti.
«Voi resterete la mia priorità per sempre, capito?» sussurrò ai bambini, accarezzando la fronte di Ilia. Il piccolo era immerso in quel suo stato di torpore continuo, grazie al quale non si riusciva mai a capire se dormisse o se fosse semplicemente annoiato.
Durante il proseguire del ballo, diversi ragazzi proposero a Violeta di ballare, ma lei li scacciò tutti, i primi gentilmente, i secondi a male parole. Non si era certo tinta i capelli per far colpo, anche se era sicura che se fosse stato quello il motivo Yordanka si sarebbe trovata assai meno in disaccordo. "Così rinneghi le tue radici!" diceva la sorella, come se avesse contaminato le radici dello Jivonhir stesso.
La verità era che neanche lei sapeva perché l'avesse fatto. Forse era un gesto per attirare l'attenzione, dopotutto gli altri le dicevano sempre che era infantile, nonostante l'età. O forse era perché da giovane i suoi capelli erano stati più chiari ed erano andati poi scurendosi lievemente nel colore dei Grigorov crescendo? Forse era perché non ce la faceva a proseguire, a lasciarsi il passato alle spalle e a rinunciare alla Violeta che era stata illuminata dai sorrisi del piccolo Liuben fin da quando era nato?
Ormai, guardandosi allo specchio, da quando era tornata bionda, vedeva Violeta, nient'altro che la Violeta intemperante che era fiera di essere. Non un'ombra di se stessa proiettata dai crimini di Maksim.
Uno scoppio improvviso nel cielo fece sobbalzare il bambino tra le sue braccia. Sollevando lo sguardo, accompagnata dalle ovazioni della folla che aveva interrotto il ballo, si rese conto che i fuochi d'artificio erano ripresi.
«Oh no-no-no» prese a cullare Ilia mentre questo gemeva in un modo quasi doloroso solo a sentirsi.
«Gogo, occupati dei tuoi fratelli» ordinò al bambino che era appena sopraggiunto. Per via della sua insicurezza, il piccolo detestava quando gli veniva chiesto di assumersi le responsabilità altrui e Violeta lo sapeva, però non gli restavano alternative, doveva portare Ilia al riparo per non rischiare che venisse congestionato troppo da quel caos; dopotutto non erano a conoscenza del modo in cui funzionava la sua malattia ed era meglio non correre rischi.
Con passo affrettato, entrò dentro la loro residenza e, sempre dondolando il neonato, raggiunse la sua culla. Nell'oscurità della camera, appena illuminata dalle luci che penetravano da una tenda alla finestra, Ilia sembrò calmarsi.
«Bravissimo, è ora di fare la nanna, piccolo»
Tenendolo con delicatezza, si chinò per posarlo nel calore della sua culla. Non aveva ancora raggiunto la morbidezza della sua coperta di lana, che un nuovo fuoco tuonò dall'esterno, inondando la camera di luce. Per lo spavento, gli occhi di Ilia si spalancarono di scatto.
Violeta non ebbe nemmeno modo di provar stupore per l'evento tanto atteso, che si ritrovò fissata da stupende sfere cerchiate di nero, che si sfumavano gradualmente in una tinta talmente chiara da apparire quasi lattee, forse per la luce, intorno alle minuscole pupille.
Sembravano iridi color del fumo che si levava da un incendio. E come fumo si dissolsero.
Insieme agli occhi di Ilia, scomparve ogni cosa. Violeta non si trovava più in quella camera, non aveva più vent'anni e non reggeva più nessun bambino tra le braccia.
Il sole splendeva. Un sorriso più caldo dell'astro luminoso accendeva il volto di Bilyana, che, bella come una dea, passeggiava nella foresta di Vitosha. Le mani di Violeta erano sollevate verso l'alto, e tentavano di afferrare i raggi che s'infiltravano tra gli alberi. Erano mani piccole e paffute, dalle ditina sottili come fili d'erba appena sbocciata. Si trovava su una comoda seggiola su ruote che ondeggiava sul terreno incolto del sentiero, trainata da qualcuno. Una dezka kolicka², così la chiamavano, anche se lei ancora non era riuscita a pronunciare nessuno di quei complicati suoni che chiamavano parole.
«Stai calma, piccola Leta» disse la voce di Yordanka, mentre una mano le accarezzava i corti capelli di raso sorsi recentemente sul capo. «Siamo quasi arrivate, il pancino non ti borbotterà ancora per molto!»
Dopo quella frase, la luce calda del sole si fece più biancastra e agli alberi si sostituirono le pareti della camera semibuia. Violeta tornò improvvisamente in se stessa, ma senza riuscire a rianimare in tempo le braccia che avevano mollato un neonato come se la sua esistenza fosse stata cancellata dalla loro memoria.
Non un neonato, si rese conto con un attimo di ritardo. Si trattava del nipote di cui si stava prendendo cura, il bambino le cui sorti preoccupavano tutta la famiglia.
Il cuore le saltò in gola quando si rese conto di quel che stava accadendo. Ilia, però, crollò come un sasso su un fianco, riprendendo a gemere dolorosamente. Senza esitare, lo riafferrò subito e controllò che non si fosse fatto male. Stava bene.
Invece Violeta non stava bene affatto, perché annebbiata dall'orribile confusione per quel che era appena accaduto. Era come se... gli occhi di Ilia le avessero rievocato un ricordo di cui non avrebbe dovuto serbare memoria.
C'era decisamente qualcosa che non tornava in quel bambino. E Violeta ne ebbe conferma in quel momento: la loro famiglia non avrebbe mai avuto pace.
Kato dim = come fumo
Tranquilli, verrà spiegato tutto nel prossimo capitolo 😁 non verranno date vere e proprie risposte in merito però, per quello dovrete aspettare Cerebrum.
Quanto a Clara e Daniel... teorie? Cosa ha fatto Clara per essere così sconvolta?🤔👀
Dal prossimo capitolo inizia definitivamente a precipitare la situazione (e indovinate con quale pov?🤣), e si fermeranno anche per tutta la seconda parte i salti temporali di anni. Intanto da questo è il capitolo precedente è trascorso praticamente un anno, quindi eccovi la versione aggiornata dello Jivonhir genealogico:
Detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo 😁🌳
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro