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Lunedì 22 gennaio 2001

Avevo ricevuto miliardi di chiamate, veramente, non scherzo, mi sembrava di essere una bitch di quelle dei numeri erotici a pagamento. Era stato difficile decidere chi ospitare, anche perchè era la prima volta in cui mi trovavo in una situazione così particolare. Avevo finito per scegliere un tizio che faceva informatica, ma aveva la faccia dello smanettone, non propriamente del nerd: un incrocio tra un meccanico di paese e un quattordicenne impallinato di videogiochi.

Si chiamava Ciriaco, originario di Avellino e quando inveiva contro il computer nel suo dialetto era incomprensibile. A proposito, il suo computer era perennemente acceso, e lavorava di continuo, utilizzando l'ISDN del numero fisso che utilizzava anche il Turci per mandarmi documenti o cose del genere. Era uno che non rompeva il cazzo ma a Roma era stato bullizzato dai padroni di casa per via dell'accento meridionale e la faccia non propriamente da furetto.

Fornendogli quell'appartamento a prezzo onesto, in un posto accettabile e senza fregature, ero diventato una specie di idolo per lui, tanto che era stato ben contento di darmi una mano a piratare diversi software che potevano servirmi per il lavoro sulle rime e sui beat. Non ero particolarmente in grado di costruire beat fighi, ma attingevo bene da quelli che erano disponibili e ritagliavo dai CD che possedevo e che mi ero portato da Cesena usando roba come Fast Tracker o FL Studio per assemblarlo. Facevo beat semplici, che andassero bene per fare roba come il freestyle.

Prima di YouTube diciamo che ci si arrangiava a fare la roba, soprattutto se volevi fare tutto artigianalmente, con quello che passava il convento in termini di pirateria informatica. Avevo imparato pochi passaggi per fare un beat a una determinata frequenza per controllare e migliorare la metrica o renderla più spedita senza mangiarmi le parole che era mortale nelle rap battle: se il pubblico non ti capiva automaticamente non poteva apprezzarti.

«Sient' Gia', ci sta un amico mio che sa fare il tecnico del suono così in amicizia. Sta a cercare un posto meglio di dove è» mi aveva proposto Ciriaco un giorno in cui casualmente mi aveva incrociato a casa.

«Serio, Cirì?» avevo chiesto conferma.

«Serio. Se ti serve uno che ti da una mano gli dico che qua in tre ci stiamo prendi un letto a castello all'Ikea e noi ci arrangiamo. Che dici?»

Chiariamo: per me quell'appartamento era da uno, perchè mi piaceva avere i miei cazzo di spazi, ma confrontandomi con altre realtà di ragazzi a Roma per studiare, potevo tranquillamente dire che molti padroni di casa senza scrupoli e con una parete di cartongesso, avrebbero affittato quella casa anche a quattro ragazzi.

«Cirì si può fare, basta che nel castello delle fate ci state voi.»


E così era arrivato anche Santo, nome del cazzo ma tipo a posto, allampanatissimo, non aveva mai nemmeno visto passare un rapper nel suo lavoro da tecnico dilettante che aveva lavorato su tammuriate, pizziche, tarantelle, ma conosceva abbastanza bene le strumentazioni, ovvero quelle cose che io non avevo. Era più chiacchierone di Cirì, e si era subito incuriosito a quello che facevo.

«James te lo dico in amicizia se vuoi cantare o fare o' rappèr o chill' cazz che vuoi, accattati i fierri buoni e fatti pavà» mi aveva detto una delle prime chiacchierate su quello che facevo.

«Che sarebbe?»

«Materiale di qualità, se non puoi essere professionista sii almeno professionale. Con cosa registri? Guarda, la roba che hai è schifezza. Aiutiti che Ddio t'aiuta

È giunta l'ora di parlare del mio rapporto con la musica registrata: vi rimanevo sostanzialmente lontano perchè ne avevo un certo timore. Avevo ripreso a registrarmi e risentirmi semplicemente per capire dove sbagliavo, come tenevo l'intonazione, come stavo sul beat, il tutto in maniera molto da autodidatta. Come ho già detto, avevo lasciato perdere l'incisione di pezzi a scopi di pubblicità, o per diventare famoso, perché era troppo il fastidio di essere ignorato rispetto all'impegno che mettevo nel dire cose che scuotessero, nel bene o nel male. Santo aveva preso in mano un paio di registrazioni e le aveva sentite, elencando una tonnellata di problemi tecnici: per come vedeva quel tipo di prodotti, le sue critiche erano sempre mosse dall'idea che dovessero essere messi in commercio. L'avevo capito in fretta e avevo cercato di spiegargli che non volevo pubblicare, ma lui aveva replicato seccamente «Se non vuoi pubblicare sono problemi tuoi, ma se vuoi vincere una sfida pure bene sul beat devi stare.»

Santo aveva un'altra caratteristica che avevo colto: dati i generi in cui era coinvolto, poneva critiche che non facevano riferimento al suono "pop". Ciò su cui aveva lavorato faceva riferimento a musiche della tradizione delle sue terre, e questo lo preservava dal desiderio artificiale di ottenere suoni che piacessero alla massa. Non spingeva verso una deriva omogeneizzatrice, sottolineando invece le peculiarità di un genere che aveva canoni ben diversi da Geri Halliwell o dai Lunapop.

Incuriosito dal suono, aveva chiesto quali erano i dischi migliori del genere. Io avevo visto la possibilità di sfoggiare la mia conoscenza sull'argomento e gli avevo messo in mano qualche classico italiano come SXM e qualche uscita particolarmente tecnica made in USA come Illmatic. Lui aveva in fretta capito come si poteva modificare il rappato per renderlo più efficace all'ascolto, e non al riascolto.

Improvvisamente, grazie a quella montagna di informazioni, mi ero sentito stuzzicato l'idea di registrare con materiale che avesse un senso. Le mie spese musicali erano sempre state impostate sugli impianti di riproduzione, non su quelli di registrazione. Con una guida che sapeva cosa stava facendo, mettersi al mic poteva essere finalmente stimolante.

Santo, in relativamente poco tempo, mi aveva fatto l'elenco delle cose che servivano per approntare qualcosa di accettabile, ma c'era l'annoso problema di dove alloggiare quella roba, in modo da farla fruttare nel migliore dei modi.

Parentesi appartamento, nei trentacinque metriquadri c'era la cucina subito a destra dell'ingresso, con un metro di penisola, la porta finestra per il terrazzino, un tavolo, il divano di spalle alla porta con un tavolino davanti, e il mobile TV in fondo. A sinistra dell'ingresso si entrava in un disimpegno dove c'era un mobile attaccapanni a sinistra, la porta del bagno a destra e quella della camera di fronte.

«Se metto della strumentazione su questa parete» avevo indicato la parete del mobile attaccapanni, «Insonorizziamo il disimpegno svuotando il mobile attaccapanni e mettendoci il mic, sarebbe fattibile?»

«Studio di registrazione nel disimpegno?» mi aveva guardato ironico.

«Si» secco.

Non era convinto ma lo aveva fatto lo stesso, in fondo non doveva ospitare una orchestra, ma un singolo coglione e un microfono.

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