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Capitolo 22 "Tu per me non sei niente"

Dopo scuola andai a casa. Aprii la porta con estrema delicatezza per non farmi sentire da Eric. Salii le scale e sentii dei rumori provenire dalla sua camera: erano lui e Meredith. Avvicinai l'orecchio alla porta e sentii i gemiti di lei farsi sempre più forti. Ripensai a me e Jason... Rimasi così per pochi secondi. Presi una borsa con dei vestiti di ricambio, e uscii. Andai a casa di Jason. Suonai e lui venne ad aprirmi quasi subito.

"Oh ma tu non puoi proprio stare senza di me per qualche ora?"

Sospirai alzando gli occhi al cielo ed entrai. Buttai la borsa sul divano e mi voltai verso di lui, che mi aveva seguito fino al salotto.

"Sai non ci tengo a sentire mio fratello che si sbatte Meredith nella stanza accanto alla mia."

Lui scoppiò in una risata rumorosa per poi darmi una pacca sulla spalla. Io sorrisi e lui smise di ridere, iniziando a fissarmi. Il mio cuore iniziò a battere a mille per la seconda volta in quella giornata. La prima era stata con...quel ragazzo al quale non avevo ancora chiesto il nome! Che stupido! A quel pensiero mi diedi un leggero colpo sulla fronte.

"Che ti sei dimenticato?"

Mi bloccai con occhi sgranati: che mi inventavo?

"Ehmm ecco niente..."

"Avanti!!"

"Davvero niente..."

Mi buttò letteralmente sul divano, facendo cadere la mia borsa.

"Ehi!" esclamai.

Si mise sopra di me e mi bloccò le braccia.

"Te lo dico io cosa hai dimenticato."

Si chinò leggermente e posò le sue labbra sulle mie. Poi fece lo stesso con la sua lingua, sempre con molta dolcezza. Lo stavo baciando, senza nemmeno essere sicuro di ciò che ero e di ciò che eravamo noi due. Lo strinsi più forte a me: volevo godermi, anche se per poco, quei brevi momenti di naturale dolcezza che c'erano tra di noi. Dopo un po' lui si staccò.

"Hai riflettuto?"

"Su cosa?"

"Sei gay...? Anche se questa domanda è un po' scontata ormai."

"Non lo è!" mi tirai su, mi misi a sedere e lui accanto a me."Non lo è..."

Jason sospirò, e io mi sentii in colpa. Mi sentivo in colpa per la mia ostinazione nel negare di essere gay. Naturalmente non glielo dissi, non ce la facevo.

"Come vuoi..." rispose lui, quasi deluso. "Ora devo sbrigare del lavoro, tu fai come se fossi a casa tua. Ci vediamo stasera e fatti trovare pronto.”

Si alzò e mi lasciò un bacio sulla fronte. Prese le chiavi della macchina e uscì. Ero solo, in casa di Jason. Andai in camera sua, mi sdraiai sul suo letto e affondai la faccia nel cuscino. Sentii un brivido percorrermi la schiena. Il suo profumo era buonissimo, tutto in quella stanza sapeva di lui. Mi alzai e per sbaglio feci cadere una foto che stava sul comodino. La presi e con sollievo vidi che non era rotta: sarebbe stata la seconda che gli mandavo in frantumi. Iniziai ad osservarla: c'erano tre bambini, due maschi e una femmina. I due si assomigliavano (tutti e due mori), mentre la piccola aveva i capelli simili ai miei, biondo cenere. Non capivo: chi erano quei tre? Posai la foto e andai a farmi una doccia. Mi vestii con il cambio che avevo portato e andai nuovamente in camera di Jason. Lì crollai sul letto per la stanchezza.

Sentii qualcosa sfiorarmi la fronte. Aprii lentamente gli occhi e vidi Jason seduto accanto a me che mi stava accarezzando. Non sapevo se fosse un sogno o no.

"Ehi Jake, dobbiamo partire fra venti minuti, dai alzati." disse con voce dolce.

"Allora sei reale." sussurrai.

"Che? Jake non stai più sognando e se non ti alzi subito faremo tardi."

Mi alzai capendo che quello non poteva essere un sogno, quello era il vero Jason: dolce, ma acido allo stesso tempo.

Dopo venti minuti esatti eravamo in macchina, pronti ad andare alla festa. Arrivati, lui mi bloccò per un polso, impedendomi di aprire la portiera.

"Sì?"

"Senti...cerca di stare alla larga da tipi che non conosci, okay?"

Lo guardai stranito.

"Ho sedici anni e non è la prima volta che vado ad una festa. Che ti prende?"

Gli lasciai un bacio sulla guancia e scesi dalla macchina. Anche lui scese e insieme entrammo in casa. Che poi più che una casa sembrava una villa. Anch'io non me la passavo male con i soldi, ma dovevo vivere in una casetta che non era nemmeno nel centro di Londra. Lasciai tutti questi pensieri da parte e iniziai a guardarmi intorno. La musica non era il mio tipo, ma non diedi peso alla cosa. Vidi Sarah e Tomas. Gli presi la mano e mi diressi verso di loro. Alcuni ci guardarono e io mi resi conto che stavo camminando mano nella mano con Jason. Era come fare coming out, cazzo! Mi ero scavato la buca da solo e mi ci ero infilato per l'ennesima volta. Mi staccai e salutai Sarah.

"Ehi! Guarda chi si vede!" esclamò con entusiasmo lei. Mi abbracciò e fece lo stesso con Jason.

"Andiamo a ballare?" propose Tomas.

"Vado in bagno." dissi.

Jason annuì ed io mi allontanai. Quando entrai, andai contro qualcuno. Ancora! Alzai lo sguardo e lo vidi, il ragazzo che assomigliava a Jason.

"Io e te siamo proprio destinati a scontrarci sempre." ridacchiò. "Sei venuto da solo?" continuò.

"No, con degli amici." risposi vago.

"Okay, allora ci vediamo più tardi."

Mi fece l'occhiolino ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Mi rinfrescai il viso, poi una volta finito tornai nel salone, rendendomi conto di non avergli chiesto il nome per l'ennesima volta.

"Era ora." mi accolse Jason, per poi prendermi per il bacino.

"Jason, che fai? Siamo in pubblico."

"E allora? Ti vergogni di me? Uno dei ragazzi più sexy della scuola?"

Lo guardai irritato.

"La modestia l'abbiamo lasciata a casa?"

Non rispose, continuando a ballare.

Dopo circa mezz'ora ci invitarono a metterci in cerchio.

"Diamo un po' di brivido a questa festa!" urlò un tizio.

Il gruppo di ragazzi rispose con imprecazioni ed incitazioni. Ma che ci trovavano in quel gioco?
Mi seddetti su una sedia, abbastanza lontano dal gruppo.
Dopo un paio di minuti Jason mi disse che doveva andare in bagno.

"Okay." risposi semplicemente.

Alcuni si aggiunsero al cerchio, mentre la bottiglia continuava a girare. Guardai l'orologio e mi accorsi che Jason ci stava mettendo molto. Mi alzai.

"Ehi Jake! Ci abbandoni senza nemmeno strappare un bacio a qualche... ehm... bella ragazza?" mi richiamò Sarah.

"Ecco... io vado in bagno."

Salii le scale e cercai di ricordarmi dov'era e qualcuno mi afferrò il polso destro. Sentii una porta chiudersi accanto a me, rendendo lo stanzino semibuio, impedendomi di capire chi fosse la persona che mi ci aveva trascinato. Riuscivo a vedere degli occhi verdi e dei capelli mori, perché il suo volto era molto, troppo vicino al mio.

"Ancora tu?" chiesi, dimenandomi un po'.

"Sì, ancora io." rispose lui, ridendo.

"Allora... perché mi hai portato qui? Non si rapiscela gente in questo modo."

"Secondo te?"

Mi spinse contro il muro e si avvicinò a me, per poi posare dolcemente le sue labbra sulle mie. Non sapevo che fare, il cuore mi stava battendo a mille: cosa mi stava succedendo? Dovevo reagire, cazzo!
Dopo qualche istante lui approfondì il bacio ed io chiusi gli occhi, abbandonandomi tra le sue braccia, abbandonandomi a quel momento di irrazionale debolezza: mi stavo baciando con uno sconosciuto, mi stavo baciando con un ragazzo di cui non sapevo nemmeno il nome. Mi scostai a fatica.

"Wow." sussurrò lui sulle mie labbra.

Mi sentivo in colpa per ciò che avevo appena fatto. Era Jason, era per lui che sentivo di aver sbagliato. In fondo era stato solo un bacio, un innocuo bacio...

"Posso sapere il nome di questo bel ragazzo?" chiese lui, sorridendo.

Alzai gli occhi al cielo.

"Jake Smith, piacere. Tu invece come ti chiami?" chiesi.

"Blane. Blane Johnson."

Il mio leggero sorriso si trasformò in un'espressione sconvolta. Sentii il cuore fermarsi per qualche secondo.

"Blane Johnson..."

"Sì."

"I-io non mi sento molto bene. Devo andare." farfugliai.

Quando aprii la porta vidi l'ultima persona che avrei voluto in quel momento. Aveva un'espressione arrabbiata e sorpresa.

"Jason..."

Blane uscì dallo stanzino e si bloccò di colpo. Il volto di Jason si fece ancora più cupa.

"McCurthy."

"Johnson."

Guardai i due, confuso.

"Jake, ti accompagno a casa."

"Ma-..."

"Ma un cazzo! Tu vieni con me e adesso!"

Mi voltai verso Blane, ma lui distolse lo sguardo. Jason mi afferrò per un braccio e mi trascinò fuori.

"Non abbiamo nemmeno salutato Sarah e Tomas!"

"Jake sta zitto, non è il momento!"

"Senti, calmati!"

Salimmo in macchina. Una volta seduti lui fece un respiro profondo.

"Una cosa, ti avevo chiesto un'unica semplice cosa, ma no! Tu devi sempre fare di testa tua!"

Iniziò a guidare. Appoggiai la testa sul finestrino: le luci dei lampioni, dei locali, dei negozi di Londra mi stavano accecando. Arrivati davanti a casa mia, lui spense il motore.

"Che ci facevi con quello?"

"Io non sapevo fosse... lui."

"Immagino che vi siate baciati."

"Non sapevo nemmeno il suo nome, quando me l'ha detto sono uscito da quel posto..." tentai di spiegare.

"E se non fosse stato Blane? Se fosse stato un altro ragazzo, saresti uscito o saresti rimasto in quello maledetto stanzino?"

Rimasi in silenzio, perché tanto era inutile provare a ragionare con lui.

"E poi perché mi arrabbio? Forse Blane mi ha fatto arrabbiare, ma tu? Noi cosa siamo?" chiese.

"Jason, non lo so. Non so nemmeno cosa sono io, se sono gay, etero, bisex... che pretendi da me?"

"Volevo solo che tu non ti avvicinassi a quel-..."

"Ma perché? Per quale motivo dovrei disprezzare una persona che neanche conosco?! Tu non mi vuoi nemmeno dire cosa è successo tra voi due."

Mi voltai e vidi delle lacrime rigare il suo viso. L'avevo fatto piangere, ero uno stupido.

"Non preoccuparti, non sono arrabbiato con te, ma con Blane. Tu per non sei niente." disse.

Quell'ultima frase mi provocò una fitta al cuore. Uscii dalla macchina sbattendo lo sportello. Mi voltai per guardarlo un'ultima volta, poi lui ripartì a massima velocità, provocando una lieve brezza.

"Tu per me non sei niente."

Restai sul vialetto per un bel po' di tempo. Me ne stavo seduto a tormentarmi ripensando a quella frase. Sospirai e mi alzai dal marciapiede. Entrai in casa e chiusi la porta dietro di me. Mi ci appoggiai con la schiena e mi sedetti a terra. Le lacrime iniziarono a scendermi dagli occhi: avevo appena rovinato un rapporto che non era nemmeno realmente iniziato.

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