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Capitolo 50 "Flashback|Jamie Allen"

Mi chiamo Jamie Allen, ho diciassette anni e vengo da Boston.
Non c'è un modo giusto per dirlo, quindi lo dirò e basta: mi piace il dolore ed essere comandato. Mi eccita da morire. Non posso farci niente, è più forte di me.
Forse, però, dovrei incominciare dall'inizio della storia...

Avevo quindici anni quando persi la mia verginità. Avevo sempre immaginato un qualcosa di romantico, tanti baci e carezze, sguardi complici e delle candele profumate per rendere l'atmosfera ancora più romantica. Quindi ci rimasi un po' male quando un tipo del quinto mi scopò senza farsi scrupoli, nel bagno di un locale. Veloce, doloroso, ma soprattutto lontano anni luce dal romanticismo. Ero sempre stato un ingenuo e timido ragazzo, ma da quella sera le cose cambiarono. Non parlavo più molto, non mangiavo quasi per niente e mi bloccavo un po' troppo spesso a fissare il vuoto. Mia madre non mi capiva e non provava nemmeno più a farlo.
Ero in un tunnel oscuro. Mark fu la mia luce. La prima volta che lo vidi, fu ad una festa organizzata da un mio amico. Alto, capelli castani e occhi più azzurri di un oceano. Mark era la perfezione ed io me ne innamorai subito.
Mi sarei fatto avanti se solo lui non avesse avuto una ragazza. Una troietta che faceva parte delle cheerleader: Amanda. Odiavo quella ragazza, lei e le sue amiche avevano la capacità di farmi innervosire ogni volta che le vedevo.
Inoltre, Mark era più grande di me di due anni e quella differenza, anche se piccola, mi faceva sentire piccolo e non all'altezza.

Poi c'era Robert. La prima volta che gli parlai fu a scuola, durante la pausa pranzo. Amanda e quelle oche delle sue amiche mi avevano umiliato davanti a mezza scuola, facendomi cadere e versare il pranzo sulla mia camicia bianca. Mark era seduto accanto a lei, ma non aveva detto niente. Aveva semplicemente ridacchiato, per poi bere un sorso di aranciata dal suo bicchiere.
Avvilito e in lacrime, mi ero diretto nel bagno del terzo piano, inutilizzato durante la pausa pranzo. Appena entrato, avevo sentito odore di canna, ma avevo cercato di resistere e mi ero avvicinato ad uno dei lavandini.
Non avevo idea di cosa fare, così sbottonai semplicemente la camicia e me la tolsi, rimanendo a petto scoperto. Proprio in quell'istante uscì un ragazzo dai capelli blu e tatuato, da una delle cabine. Aveva una canna  tra le labbra e un sorrisetto stampato in faccia.

"Ma guarda guarda che bocconcino abbiamo qui." disse, per poi ridacchiare.

Io mi voltai e lo guardai negli occhi, sentendo il cuore accellerare: le sue iridi erano grigie, come una giornata d'autunno, come il fumo di una sigaretta. Grigi.
Dopo di lui, uscì un altro ragazzo dalla cabina, che si stava aggiustando la cintura dei pantaloni.

"Ci vediamo Rob, grazie per la sveltina."

"Sempre un piacere, Zachy." rispose il ragazzo dagli occhi grigi, mentre l'altro lasciava il bagno.

Rimasi a dir poco sorpreso da quella scena: se l'era davvero scopato nel bagno della scuola? Deglutii, mi voltai nuovamente verso il lavandino e bagnai la macchia enorme, per poi iniziare a strofinarla con del sapone. Sentivo il suo sguardo addosso e ciò mi metteva a disagio.

"Hai intenzione di stare lì a fumare erba e a fissarmi per tutto il giorno o te ne vai?"

Come risposta ricevetti un risata da parte sua. Alzai lo sguardo, incrociando il suo attraverso lo specchio posto sopra al lavandino e lo fulminai con lo sguardo.

"Comunque mi chiamo Robert. Robert White."

Alzai gli occhi al cielo e ripresi a strofinare, infastidito sempre di più da quel tipo. Che diavolo voleva da me?

"Sarebbe carino se mi rispondessi, sai?" interruppe il silenzio lui.

"Perché ci tieni? Non ci conosciamo."

Lui ignorò la mia frase e si sedette su un lato del lavandino, osservandomi. Fece un tiro dalla canna e buttò il fumo fuori subito dopo.

"Quella macchia non andrà via con del semplice sapone per le mani, lo sai vero?"

Sbuffai e lo ignorai.

"Hai intenzione di andare in giro per la scuola a torso nudo?" chiese poi. "Non che a me dispiacerebbe vederti così per tutto il resto della giornata." aggiunse, in tono malizioso.

Oh Santo cielo, quello era troppo!
Lasciai cadere la camicia sul lavandino e lo guardai con occhi di fuoco.

"Senti, Robert, sarò sincero con te: mi stai già sulle palle. Quindi, ora alzi il culo ed esci da questo bagno."

Lui rise e fece spallucce, per poi tornare in piedi. Dio, se era alto.

"Peccato, ero disposto a darti la mia felpa, ma se proprio vuoi andare in giro mezzo nudo..."

Imprecai mentalmente e strinsi i pugni.

"Okay, okay, dammi quella dannata felpa e togliti dalle palle."

Lui scosse la testa e si morse il labbro inferiore.

"Chi ti dice che io voglia dartela ancora? Mi sento offeso."

Mugolai per la frustrazione e mi passai una mano tra i capelli.

"Baciami e te la regalo."

Quelle parole mi fecero sgranare leggermente gli occhi. O quel Robert aveva seri problemi mentali o gli piaceva semplicemente sparare cazzate. Però non volevo davvero andare mezzo nudo per tutta la scuola.
Mi alzai sulle punte dei piedi e gli diedi un bacio a stampo, per poi guardarlo.

"Ecco."

Lui ridacchiò.

"Intendevo un vero bacio. Ma va bé, per stavolta va bene così."

Si sfilò la felpa e me la porse. Io la presi e la indossai: era enorme, ma meglio di niente.

"Nemmeno mi ringrazi?" disse lui.

"Oh, ma per favore." bofonchiai, per poi uscire dal bagno.

Dopo quello strano incontro, Robert iniziò ad andarmi dietro, ma dal modo in cui si comportava sembrava volesse solo scoparmi e poi non era il mio tipo. Troppo strano e sfacciato, per i miei gusti.
Mark, lui era la perfezione. E finalmente, una sera successe ciò che aspettavo da tempo. Era fine luglio e Amanda aveva organizzato una festa. Ci ero andato solo per vedere Mark, in realtà. Non lo vedevo da un mese, e cioè da quando la scuola era finita.
Fu quella sera che io e Mark lo facemmo per la prima volta. Lui mi aveva semplicemente trascinato in camera di Amanda e mi aveva fatto sdraiare sul letto, dicendomi di sapere che ero cotto di lui. Quella notte mi sentii amato. Era tutto diverso dalla mia prima volta. Mark si era preso il suo tempo per baciarmi profondamente e a lungo, poi mi aveva accarezzato e aveva fatto l'amore con me, come se da ciò ne dipendesse la sua intera esistenza. C'ero solo io per lui e lui per me.
Quella fu la prima di tante. Quell'estate la passai praticamente a fare l'amore con Mark. Robert, stranamente, aveva smesso di tormentarmi e ciò era solo un peso in meno.

Il ritorno a scuola fu meno duro del solito. Mia cugina Alana era arrivata da Londra, Mark ed io continuavamo a vederci ed i miei voti erano ottimi.
Un venerdì pomeriggio, però, Robert risbucò dal nulla. Ero seduto in un cafè e stavo leggendo un libro. Lui si sedette davanti a me, mi tolse il libro dalle mani e lo sbatté sul tavolo. La sua espressione non faceva trasparire emozioni ed era ciò che mi preoccupava di più: che stava tramando?

"Quindi scopi con quel bastardo di Mark."

Non era una domanda, ma un'affermazione. Tossii leggermente e cercai di non scompormi troppo.

"Ma che delicatezza, mi fai quasi commuovere."

"Rispondi alla mia domanda."

"Non sono cazzo tuoi."

Lui sorrise, cosa che trovai abbastanza inquietante, vista la situazione.

"E invece sono proprio cazzi miei, dato che mi piaci. E tu lo sai bene, ma nonostante ciò, ti sei sentito libero di ignorarmi bellamente e di andare a farti scopare da quel puttaniere. Ah, lo sai che se Amanda lo scopre ti farà a pezzi?"

Sospirai e mi passai una mano tra i capelli.

"Oh Robert, ma perché devi sempre essere così melodrammatico? Non sono un bambino, so cosa faccio. Dimenticati di me e fatti una vita."

"Invece a me sembri proprio un bambino, delle volte."

Ci fu un momento di silenzio, poi lui parlò.

"Se lui dovesse spezzarti il cuore, sappi che nessuno mi impedirà di rompergli il culo."

"Volgare."

"Dico solo come stanno le cose." e detto questo, iniziò a camminare verso l'uscita.

Ripresi il libro e ricominciai a leggere. Poi, però, lo riappoggiai sul tavolo e lo richiamai.

"Aspetta un attimo, come fai a sapere di me e Mark?!"

Lui rise.

"Vi ho visti mentre scopavate, a quella festa organizzata da Amanda. Forse avreste dovuto chiudere la porta a chiave. Ah, quasi dimenticavo: sei bellissimo mentre gemi."

Lui se ne andò, mentre io imprecavo mentalmente e sprofondavo nell'imbarazzo, dato che tutte le persone presenti nel cafè avevano sentito. Maledetto Robert White!

Tutto iniziò un normale pomeriggio di fine novembre. Io e Mark ci stavamo baciando sul letto di casa sua e quel contatto sarebbe presto diventato qualcosa di più intenso. Improvvisamente si bloccò e mi guardò negli occhi.

"Jamie, che ne dici di provare una cosa?"

Mi morsi il labbro inferiore e mossi il bacino verso il suo.

"Proprio adesso?" chiesi.

"Sì."

"Okay..." sussurrai.

Lui sorrise e mi lasciò un bacio a stampo, per poi allungarsi verso il comodino accanto al letto. Ne tirò fuori delle manette e le utilizzò subito dopo per bloccarmi i polsi alla testiera del letto.

"Wow, Mark, ti annoio così tanto che devi legarmi per fartelo venire duro? Cosa vuoi fare ora, frustrarmi?" scherzai e lo guardai negli occhi.

Lui sorrise malizioso e mi accarezzò i capelli con una mano.

"In realtà pensavo a delle sculacciate, per stavolta."

Tornai improvvisamente serio e mi accigliai.

"Cosa?"

"In effetti è da un po' che volevo dirtelo." iniziò lui. "Avere il controllo mi eccita da impazzire."

"Mi stai dicendo che ti piacciono quei giochetti padrone-sottomesso?" chiesi, alzando un sopracciglio.

Lui fece un mezzo sorriso ed annuì.

"Con Amanda non potrei mai farle queste cose. Mi prenderebbe per pazzo..." ammise, dopo qualche secondo di silenzio.

Mi morsi il labbro inferiore.

"E perché pensi che io possa accettare questo tuo lato?"

"Tu sei diverso Jamie. Lo vedo nei tuoi occhi."

Sapevo che stavo per entrare in un gioco pericoloso, ma c'era qualcosa che mi attraeva nelle sue parole. Così iniziammo a "giocare" e lo facemmo per mesi. Più andavamo avanti e più Mark diventava violento. La mia pelle ormai era coperta di lividi e cicatrici, provocate dai suoi schiaffi, i frustini, i morsi. Quei segni erano testimonianza di un amore malato. Eppure ormai non ne potevo più fare a meno. Il dolore aveva iniziato a piacermi, anzi, spesso non riuscivo più ad eccitarmi senza di esso.
Indossavo sempre felpe e magliette a maniche lunghe per nascondere quell'oscuro segreto. Se a volte Alana o mia madre vedevano dei segni, dicevo semplicemente di essere caduto.
E quelle balle funzionarono, ma non con Robert. Lui era troppo intelligente per essere preso in giro da me.
Era venerdì sera e lui si era presentato a casa mia. Mark mi aveva dato buca perché doveva passare il week-end con Amanda, ed io avevo la casa tutta per me. Mi sentivo solo, quindi decisi di farlo entrare. Indossavo un maglione lungo e dei semplici boxer, ma non mi interessava. Lui fece scorrere uno sguardo lascivo lungo le mie gambe, poi deglutì.

"Jamie, ho una voglia fottuta di baciarti." mormorò, con voce roca.

Non so perché lo assecondai, forse era per quel senso di solitudine o forse perché era da troppo tempo che non veniva baciato con amore. Mark non faceva altro che mettermi le mani addosso e scoparmi con brutalità.
Annullai la distanza tra di noi e lo baciai, alzandomi in punta di piedi e incrociando le braccia dietro al suo collo. Lui mi afferrò per i fianchi ed io incrociai le gambe dietro la sua schiena. Continuammo a baciarci, mentre lui camminava verso la sala. Cademmo sul divano, avvinghiati l'uno all'altro e ci staccammo, per riprendere fiato. Io mi misi a cavalcioni su di lui e mossi i fianchi, facendolo ansimare.

"Oh Jamie, non sai da quant'è che aspetto questo momento."

Mi morsi il labbro inferiore e lui fece per togliermi il maglione, ma io gli bloccai le mani.

"Non farlo..." mormorai.

"E perché, scusa? Non ti mordo mica." scherzò lui.

Una lacrima rigò il mio volto: mi sentivo così sporco. Lui riuscì a togliermi il maglione e si accigliò. Si tirò su a sedere, mentre io rimasi a cavalcioni sulle sue gambe.
Le sue mani andarono a toccare il mio petto, pieno di lividi ed io rabbrividii.

"Chi diavolo te li ha fatti?"

Scossi la testa ed abbassai lo sguardo.

"Sono caduto..."

Lui rise ed afferrò il mio mento, facendomi rialzare il volto. I suoi occhi erano tristi ed il suo sguardo arrabbiato.

"Non prendermi per il culo. È stato Mark, vero?"

Silenzio.

"Perché lasci che ti riduca in questo modo?"

"Perché mi piace, cazzo! Mi eccita! Sono solo un idiota a cui piace essere sottomesso!" sbottai, per poi scoppiare in un pianto liberatorio.

Apoggiai la fronte sul suo petto e lui accarezzò i miei capelli.

"Dio, Robert, è tutto così complicato..."

"Ricominciamo da zero. Solo io e te. Ti darò tutto l'amore che meriti, Jamie. Io ti amo, non posso vederti in queste condizioni..."

Alzai lo sguardo e vidi che era sincero. Mi amava sul serio, ma il mio cuore apparteneva a quel bastardo di Mark. Non potevo farci niente.

"Mi dispiace Robert, ma tu non sei lui..." sussurrai, per poi alzarmi e rimettermi il maglione.

Lui non aggiunse altro e se ne andò, lasciandomi solo con i sensi di colpa.

Il lunedì successivo mi presentai a casa di Mark, ma ad aprirmi venne Amanda. Aveva un'espressione neutra, ma c'era sempre quel pizzico di cattiveria nel suo sguardo, che riservava sempre a me.

"Oh, Jamie, che ci fai qui?"

E ora che mi inventavo? Io e Mark non eravamo nemmeno nello stesso anno scolastico, non potevo di certo dirle che dovevamo studiare o roba simile.

"Cercavo Mark, è in casa?"

Lei sorrise e scosse la testa. Poi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e tornò a guardarmi con quello sguardo glaciale.

"So che scopi con il mio ragazzo, ma questa storia finisce qua."

In un istante il mondo mi cadde addosso. Lei sapeva. Amanda sapeva di me e Mark e quella strega sapeva come vendicarsi della gente.

"N-Non so di che parli..." balbettai.

"Oh, invece sì che lo sai, piccola puttanella. Mark mi ha raccontato tutto."

Proprio in quel momento arrivò lui e si piazzò accanto ad Amanda. Mi guardò negli occhi e sospirò.

"Come hai potuto dirglielo? Era il nostro segreto!" sbottai, in preda all'ira e al panico.

"Amanda è incinta, dovevo dirglielo... I nostri genitori vogliono che ci sposiamo una volta finita la scuola. Mi dispiace." fu la risposta di Mark.

Mi sentivo tradito, frustrato, solo. Avevo respinto Robert per uno stronzo del genere. Ed ora era tutto finito. Mark avrebbe continuato la sua vita serenamente, mentre io avrei avuto per sempre addosso i segni di quel rapporto malato e perverso che ci aveva legati per mesi.

E come se non bastasse, la vendetta di Amanda non tardò ad arrivare.
Una mattina, entrando a scuola, mi ritrovai con foto appese per tutta la scuola di me legato con delle manette su un letto. Quella foto l'aveva scattata Mark per scherzo, una volta mentre lo stavamo facendo. Ma nessuno l'avrebbe mai saputo: nella foto c'ero solo io.
Pieno d'ira, strappai una delle tante foto da un armadietto e mi diressi verso Amanda e le sue amichette, che chiaccheravano tranquillamente in corridoio.

"Cosa diavolo ti è saltato in mente?!"

Lei rise, così come quelle oche che le stavano sempre intorno.

"Ops, per sbaglio mi sono imbattuta in questa foto, mentre guardavo nella galleria del telefono di Mark e ho pensato 'perché non fargliela pagare come si deve, a quella piccola troietta di Jamie?'. Spero non ti dispiaccia."

Non sapevo che dire o fare. Ero allibito. Feci cadere la foto a terra e corsi via, tra le lacrime, mentre mezza scuola mi rideva alle spalle.
Le settimane passavano ed io ero sempre più stanco delle prese in giro, dei nomignoli e le palpate sul sedere date per gioco dai ragazzi della squadra di football. Tutti mi consideravano una puttana. Ed io, dopo un po', iniziai davvero a credere di essere così terribile.
Non mangiavo, non parlavo più, stavo sempre chiuso in camera. Ormai non c'era più nessuno. Ero solo. Solo come un cane.
Robert mi scriveva qualche messaggio a volte e veniva a trovarmi, ma ciò non bastava. Ormai la mia vita era uno schifo.

Così un giorno presi una lametta dal bagno e mi chiusi in camera. Ero stanco, ma non avevo il coraggio di farla finita. Feci un taglio profondo sul polso e mi sdraiai sul letto. Iniziai a singhiozzare e mi diedi del codardo, perché non avevo nemmeno le palle di mettere fine a tutto quel dolore. Quando sentii bussare alla porta, mi coprii con la coperta e cercai di non singhiozzare più. Improvvisamente, sentii la porta aprirsi e richiudersi. Subito dopo, delle forti braccia mi stavano tenendo stretto, come a volermi confortare. Era Robert, lo capii dal suo profumo.

"Jamie, voglio vederti sorridere. Non farmi questo. Non posso più sopportare il fatto che tu stia così male per quel bastardo."

Chiusi gli occhi e singhiozzai nuovamente, incapace di trattenermi.

"Fa così male." sussurrai. "La mia vita è diventata un disastro e tutto questo solo perché mi sono innamorato della persona sbagliata. Perdonami Robert, ho davvero provato ad amarti, ma non ci riesco. I-Io non provo gli stessi sentimenti che tu provi per me..."

Lui si irrigidì, ma continuò ad abbracciarmi. Poi si sedette sul letto e mi afferrò i polsi.

"T-Ti sei tagliato?"

"Volevo farla finita, ma non ne ho avuto il coraggio..."

Il suo volto fu rigato da una lacrima ed il grigio dei suoi occhi diventò come il grigio di un cielo cupo prima di una tempesta. Era deluso.

"Perdonami, Robert."

Lui mi strinse a sé e si lasciò andare sulla mia spalla. Ecco, ero riuscito a far piangere anche un tipo forte come lui. Ora mi sentivo ancora peggio.

"Jamie, perché non riesci ad amare te stesso?"

Quella frase mi colpì dritto nel cuore, lasciandomi un vuoto dentro. Non risposi, perché nemmeno io sapevo il perché.

Quando mia cugina Alan decise di tornare a Londra, chiesi a mia madre di poter andare con lei. Ero stanco e volevo ricominciare da zero: una nuova vita con nuove persone, che non sapevano niente del mio passato.
Eppure a volte il destino è proprio buffo, perché per qualche strano motivo, una delle persone dalle quali stavo scappando, ora si trova qui a Londra. Ed io ho tremendamente paura che questa persona risveglierà i fantasmi del passato che avevo deciso di lasciarmi alle spalle.

Robert White...

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