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Capitolo 42 " Can you fix the broken?"

Jake's Point of View:

Il funerale della mamma di Cassie si tenne durante un piovoso venerdì mattina. Saltammo tutti la scuola, volevamo stare accanto alla nostra migliore amica.
Il prete stava recitando qualche passo della Bibbia, mentre le persone ascoltavano con lo sguardo chino sulla bara che stava per essere seppellita per sempre. Avevano tutti un ombrello e la pioggia faceva un rumore quasi confortante infrangendosi contro la loro superficie. Sentii qualcuno stringermi la mano ed alzai lo sguardo verso la mia sinistra: Jason. Ci guardammo per qualche istante ed io socchiusi le labbra, poi riabbassammo lo sguardo.
Quando il prete concluse, le persone iniziarono a fare dei discorsi, per poi lasciare il luogo. Quando fummo solo io, Cassie, Julyan e gli altri, Cassie si inginocchiò a terra, sporcandosi la pelle lasciata scoperta da una gonna nera. Appoggiò le mani sul terreno ed iniziò a singhiozzare.

"Mamma, mi ero ripromessa di non piangere, ma..." fu scossa da un altro forte singhiozzo. "M-Ma non ce l'ho fatta, sono troppo debole. Dio, mi manchi già..." la sua voce era roca e stanca, come se avesse pianto per giorni e probabilmente era così. "Perdonami se a volte sono stata testarda o se ti ho fatto arrabbiare e...grazie per esserci sempre stata. Grazie mamma... T-Ti prometto che mi prenderò cura di Julyan e papà. Te lo prometto. Sii felice..."

Helen si chinò e l'aiuto a rialzarsi, per poi abbracciarla. Era una scena struggente. Vidi Julyan iniziare a piangere, silenziosamente.
Iniziammo a camminare verso le nostre macchine, per andare a casa di Cassie dove anche le altre persone presenti al funerale erano invitate. Il padre di Cassie e Julyan rimasero lì per un po', prima di raggiungerci.

Mezz'ora dopo ero seduto sul divano della casa di Cassie, circondato da persone che parlottavano con faccie tristi. Mi alzai e bevvi un bicchiere d'acqua, per poi andare a sedermi nel portico: pioveva ancora a dirotto, ma l'acqua non arrivava fino a lì. Qualche istante dopo, Jason mi raggiunse, sedendosi accanto a me.

"Come ti senti?" mi chiese.

"Questo dovresti chiederlo a Cass."

Annuì e sospirò, stringendomi una mano, proprio come aveva fatto in precedenza.

"Vedendo la tristezza nel volto del padre di Cassie ho capito."

Ci guardammo negli occhi e un brivido mi percorse la schiena. Ci conoscevamo da due anni ormai, eppure mi faceva sempre quell'effetto guardarlo dritto in quelle iridi verdi.

"Non possiamo perdere tempo, questa vita è troppo corta. Forse anche troppo per riuscire ad amarti fino in fondo. Jake, ti prego, non lasciarmi. So che sarà dura, ma sono pronto a combattere qualsiasi battaglia, pur di averti al mio fianco."

Socchiusi la bocca ed il mio labbro inferiore tremò, prima che scoppiassi in un pianto liberatorio. La consapevolezza che un giorno sarebbe tutto finito mi travolse come una valanga. Prima di quell'avvenimento non avevo mai realmente pensato alla morte.

"Un giorno non ci saremo più... Un giorno non potremo più amarci..." mormorai.

Jason mi abbracciò ed io appoggiai il volto sul suo petto, inspirandone l'odore dolce ma mascolino allo stesso tempo.

"Jake, ti amerò per sempre. Nemmeno la morte potrebbe uccidere i sentimenti che ho per te, piccoletto mio."

Scossi la testa ed arrossii: erano le parole più belle che mi avesse mai detto. Erano sincere e dette con amore. Mi sentivo fortunato ad averlo trovato. La mia anima gemella.

"Non voglio lasciarti. Starò con te, ma promettimi una cosa..."

"Cosa?"

"Non mi trascurerai a causa di quel lavoro."

Mi guardò negli occhi, poi con un po' d'esitazione rispose.

"Promesso."

Promesso. Mh. L'avevo sentito molte volte, ma sarebbe durata stavolta?

Cassie's Point of View:

Ero sdraiata sul letto dei miei, nella parte in cui dormiva sempre mia madre. Al piano di sotto era pieno di gente falsa, che durante la malattia era scappata, lasciando mia madre sola.

"Stronzi..." mormorai.

Sentii che qualcuno si era sdraiato accanto a me, ma non smisi di fissare il soffitto.

"Cass, che ci fai qui?"

Era Teo.

"Non voglio stare in mezzo a quegli ipocriti." dissi, per poi sospirare.

"Oh piccola, non posso dire di sapere come ti senti, ma so che fa male. Molto male..."

"Grazie Teo, sei di aiuto."

"Ma, so anche che sei una ragazza forte e che riuscirai a superare anche questo."

Risi in modo triste, per poi sospirare. Ecco le dannatissime lacrime che volevano uscire per l'ennesima volta. E quelle parole di conforto, anche se dette con buone intenzioni, non mi aiutavano affatto. Anzi, scatenavano in me ancora più frustrazione e rabbia.

"È come se stessi cercando di afferrare qualcosa che è già sparito. Teo, lei se n'è andata e non tornerà mai più... È frustrante, una lenta ed eterna agonia, finché non la raggiungerò..."

"Non capisc-..."

"E Teo, so che lo fai con buone intenzioni, ma smettila di cercare di fare sempre il bravo ragazzo. È irritante."

Mi girai su un fianco, per guardarlo. Lui fece lo stesso e si accigliò per le mie parole.

"Che intendi dire?"

"Cerchi sempre di aggiustare le cose...le persone..."

Lui mi accarezzò una guancia e fece un mezzo sorriso.

"Qualcuno deve pur farlo." rispose.

"A volte le persone sono troppo rotte per poter essere aggiustate..." sussurrai, quasi a me stessa, prima di chiudere gli occhi per tentare di addormentarmi.

-

Blane's Point of View:

Dopo la morte di sua madre, Cassie cambiò. Non mangiava, non che prima lo facesse. Non parlava quasi mai. Era sempre triste e ogni volta che eravamo tutti insieme, sembrava sempre confusa, come se si sentisse fuori luogo.
Quella sera l'avevo invitata a casa mia per mangiare una pizza e guardare un film, nel tentativo di tirarla su di morale.
Quando ci sedemmo sul divano, la guardai e feci una smorfia buffa, beccandomi una sua occhiataccia.

"Sei ridicolo..." mormorò, portandosi le ginocchia al petto.

"Voglio farti sorridere."

Lei fece un sorriso esagerato ma falso, per poi tornare seria ed accendere la tv. Le pizzicai una guancia e ridacchiai.

"Un sorriso vero, signorina."

"Ah! Ma lasciami in pace, su. Mi hai chiamata per guardare un film."

Le tolsi il telecomando dalle mani e lo appoggiai sul tavolino davanti a noi.

"Cass, volevo solo-..."

"Oh ti prego Blane, non iniziare anche tu. È davvero penoso..."

Ci fu un po' di silenzio, poi decisi che magari le parole non servivano e che avrei dovuto usare i gesti: semplici ed efficaci. L'abbracciai e con mio grande stupore, lei me lo lasciò fare. Si rilassò contro il mio petto e strinse la mia maglietta da dietro.

"È soffocante dover vivere con la consapevolezza di non poterla più rivedere o di non poterle più parlare..." mormorò, con il volto appoggiato sul mio petto.

Le accarezzai i capelli, poi vi lasciai un delicato bacio. Era così magra e fragile, avevo quasi paura di spezzarla.

"Ci siamo noi, non ti abbandoneremo Cassie. Però devi parlare, sfogarti, urlare. Qualsiasi cosa, pur di farci capire cosa provi, così possiamo aiutarti."

"È difficile..."

"Conosco qualcosa che potrebbe aiutarti."

Presi un cuscino dal divano e la colpii in pieno volto.

"Ma cosa?! E questo dovrebbe farmi sentire meglio?!"

Le porsi un altro cuscino e mi alzai.

"Fai lo stesso con me: colpiscimi."

Dopo qualche istante di esitazione, si alzò e mi colpì in testa. Risi e la colpii di nuovo, innescando una vera e propria battaglia di cuscini, fatta di tante risate e divertimento.
Quando fummo sfiniti, ci sdraiammo a terra e iniziammo a riprendere fiato.

"Allora?"

"È una delle cose più liberatorie che abbia mai provato in vita mia." disse con il fiatone, ma sorridendo.

Presi il mio telefono e le feci una foto proprio in quell'istante.

"Così te la farò vedere ogni volta che sarai triste, per mostrarti la bellezza del tuo sorriso."

Ridacchiò e mi diede una leggera pacca sulla spalla.

"E non provarci con me! Pensavo fossi gay!" esclamò.

"Non ci sto provando! Stavo solo-..."

"Blane." mi interruppe. "Grazie."

Sorrisi e le arruffai leggermente i capelli. In quel momento il mio telefono prese a squillare, così risposi: era un numero sconosciuto.

"Pronto?"

"Oh Santo cielo, Blane! Ci hai fatto preoccupare! Qualche tempo fa mi hanno chiamato da un ospedale di Londra e mi hanno detto che hai tentato... Dio, non riesco nemmeno a pensarci. Ora stai bene?"

Sentendo quella voce mi bloccai e sgranai gli occhi.

"Lucy..." fu l'unica cosa che riuscii a dire.

Era da mesi, che non la sentivo.

"Tesoro, sono io. Domani prendiamo il primo aereo per Londra e veniamo a prenderti. Non posso vivere con la paura che tu possa tentare di nuovo di farlo."

Deglutii e guardai Cassie: dovevo avere un'espressione sconvolta, perché lei mi strinse una mano e mi guardò con preoccupazione.
E sì, c'era da preoccuparsi, perché Lucy aveva parlato al plurale e se stava venendo a Londra, non sarebbe stata sola. E la persona che l'avrebbe accompagnata era proprio la causa di tutto quello.

Dereck.

Spazio me:

Allora, dato che preferite la prima persona, continuerò così ♡.

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