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Capitolo 32 "Breathe"

Jake's Point of View:

Non ero mai stato in Italia, in realtà non avevo nemmeno mai immaginato di andarci, almeno non prima di aver finito i miei studi.
Eppure in quel momento ero lì, in un aeroporto della capitale italiana, con due valigie accanto a me.
Gli altri avevano parlato e scherzato durante tutto il viaggio, mentre io dovevo ancora realizzare che tutto ciò stava realmente accadendo.

"Wow, che bello! Questo posto è molto diverso da Londra!" esclamò Sarah, accarezzandosi il pancione.

"Siamo solo in aereoporto, ci aspetta ancora molto da vedere." disse Helen, ridacchiando appena.

La guardai e notai che la bionda era dimagrita molto. Mi feci una nota mentale: avrei dovuto parlarle durante quelle due settimane.

La casa che avevamo affittato era a venti minuti dall'aeroporto e non ci mettemmo molto con i taxi.
L'abitazione era davvero graziosa, con un giardino sul retro e una piscina, due piani ed un enorme balcone a lato.
Quando finii di sistemare le mie cose in camera mia, decisi di farmi una doccia, perché ero tutto sudato. Il clima di Londra non era affatto così, lì faceva ancora un po' freddo a volte. Invece in quella giornata di metà marzo a Roma faceva già caldo. Abbastanza per farmi sudare.
Quando finii di lavarmi e fui vestito, bussarono alla porta della camera.

"Avanti."

"Ehi Jake."

"Blane."

Gli regalai un sorriso e lui venne a sedersi sul letto, accanto a me.

"Pensi di essere pronto per rivederlo? Potrebbe succedere qualunque cosa..."

Iniziai a torturarmi le mani con insistenza e mordicchiai il mio labbro inferiore con nervosismo.
Ero pronto? Bé, da quello che mi aveva detto Edward avevo capito che Jason stava per sposarsi. Solo a pensarci mi veniva da piangere, ma non potevo arrendermi in quel modo. Non dopo settimane di tristezza e tre ore di viaggio.
Presi un respiro profondo e sorrisi appena.

"Sì Blane, sono pronto."

-

Jake's Point of View:

Quando il taxi ci lasciò in un posto sconosciuto nel centro di Roma, capii che forse non ero poi così pronto per rivederlo.
Nessuno di noi parlava italiano, quindi riponemmo le nostre speranze sull'inglese, nostra madre lingua e parlata in tutto il mondo. Almeno era ciò che credevamo.
Chiedemmo indicazioni, ma con scarso successo. Daniel prese il foglietto in cui vi erano scritte tutte le indicazioni per raggiungere la nuova casa di Jason e si accigliò. Eravamo arrivati in un punto morto.

"Magari il tassista si è sbagliato. Non penso abbia capito quello che abbiamo detto." disse il biondino.

"Dan è colpa tua!"

"Ma che c'entro io, Helen? Ho solo tenuto il foglio con le indicazioni, non ho detto dove andare o non andare."

"Smettetela voi due! Non mi sembra proprio il momento di litigare." intervenne Teo, incrociando le braccia. "Ora chiediamo altre indicazioni a qualcuno. Avanti, tutti parlano inglese, non sarà difficile."

Sospirai e rimasi in silenzio a guardare la scena: in quel momento avevo tutt'altro in testa. Stavo pensando a cosa avrei dovuto dire a Jason quando lo avrei rivisto. Forse avrei semplicemente dovuto baciarlo. Sì, mi mancavano le sue labbra.
Intanto Teo aveva fermato due signori sulla cinquantina e aveva iniziato a chiedergli informazioni, ottenendo solo delle espressioni confuse da parte dei due uomini.

"Allora, forse non sono stato molto chiaro. Cerchiamo questo palazzo, qui c'è l'indirizzo... Potete aiutarci?"

Uno dei due uomini disse qualcosa all'altro, in italiano, poi scoppiarono a ridere.

"È infondo alla strada, a sinistra." disse, con uno strano accento.

Ringraziammo e seguimmo le indicazioni. Quando fummo davanti al palazzo, gli altri mi guardarono ed io annuii: era una cosa che dovevo fare da solo.
Entrai e fui subito travolto da un forte odore di pesto, probabilmente proveniente da uno degli appartamenti del primo piano. Avevo già mangiato, quindi rimasi sorpreso dalla fame che mi era salita tutta in una volta: forse l'odore del cibo italiano aveva un qualcosa di magico.

L'interno dell'edificio era molto elegante, comunque e avrebbe potuto essere scambiato per un hotel.
Quando arrivai al piano che mi era stato indicato, mi avvicinai alla porta, titubante: al di là di essa c'era tutta la verità.
Suonai al campanello e aspettai, iniziando ad avere i primi ripensamenti. Non volevo soffrire, ma sapevo che qualcosa sarebbe andato storto.
Quando la porta si spalancò, alzai lo sguardo e incontrai quegli occhi verdi che mi avevano fatto innamorare, ma che ora sembravano spenti e stanchi.

"Jake? Che ci fai qui?"

Scossi la testa e gli saltai praticamente addosso, incrociando le braccia dietro al suo collo e appoggiando le mie labbra sulle sue. Finalmente il mio cuore riprese vita, cominciando a battere all'impazzita. Iniziai a tremare leggermente per l'emozione e a muovere le labbra sulle sue, senza però approfondire il bacio. Lui mi afferrò per la schiena, avvicinandomi di più a sé e facendo entrare in contatto le nostre lingue. In pochi istanti diventò un bacio bagnato e passionale, un bacio che sapeva di nostalgia, ma anche di addio...
Fu il primo a staccarsi e quando lo fece, mi guardò con un'espressione sconvolta. Si pulì le labbra con il dorso della mano e scosse la testa.

"Che cazzo ci fai qui?"

"Sei serio? Te ne sei andato senza dire niente, hai abbandonato tutti, hai abbandonato me. Proprio quando le cose avevano iniziato ad andare bene, tu cosa hai fatto? Hai scritto una lettera a Blane e sei partito, senza nemmeno pensare che forse ci sarei rimasto male."

Lui sospirò pesantemente e distolse lo sguardo.

"Guardami negli occhi..." mormorai.

"Non posso."

"Jason, che succede? Perché sei qui? Torna a casa con me, ti prego. Ho bisogno di te e tu di me."

"Non più, le cose ormai sono cambiate. Niente sarà più come prima."

Dopo qualche istante di silenzio, una voce femminile lo richiamò dall'interno dell'appartamento. Arrivò una ragazza, che mi guardò in modo strano e circondò le spalle di Jason con un braccio. Era abbastanza bassa, truccata, con i capelli mori e le punte bionde. Non si poteva dire che non fosse bella.

"Tesoro, chi è lui?" chiese, con un inglese pessimo.

Jason rimase in silenzio e mi guardò negli occhi. Quello sguardo era pieno di mortificazione e ciò mi sollevò un po'.

"È un mio vecchio amico, è venuto da Londra per farmi visita."

Come non detto. Il mio cuore si spezzò in un istante e sentii le gambe farsi molli: un amico? Dopo ciò che avevamo passato aveva anche il coraggio di dire che ero suo amico?

"Oh, che carino. Invitalo al matrimonio allora."

Sentendo quell'ultima frase, mi mancò il fiato. Non potevo credere che lo avesse davvero detto.

"Allora Eric aveva ragione." mormorai, con occhi lucidi.

"J-Jake..." mi richiamò Jason, con voce preoccupata.

Non aggiunsi nient'altro, iniziai a correre verso l'uscita, nonostante lui avesse continuato a richiamarmi.
Quando fui fuori, gli altri mi vennero incontro con sguardi interrogativi sui loro volti.

"Allora, com'è andata?" chiese Teo.

Scossi la testa e lasciai che una lacrima rigasse il mio volto.

"Non è andata."

-

Jason's Point of View:

Continuai a chiamare Jake, ma non potevo seguirlo o quella lì avrebbe detto a mio padre dell'accaduto.
Mi voltai verso Beatrice e la guardai: aveva un sopracciglio alzato e un'espressione confusa.

"Chi era quel ragazzo?" chiese, con quel suo inglese osceno.

Sbuffai e rientrai nell'appartamento, lasciando che lei richiudesse la porta alle nostre spalle.

"Un mio vecchio amico, te l'ho detto. Frequentavamo la stessa scuola a Londra."

Appoggiò le mani sul mio petto e sorrise appena.

"Oh, va bene. Invitalo al matrimonio, farò stampare altri inviti domani mattina. Ora che facciamo?"

Mi irrigidii di colpo, perché non mi piaceva avere le sue mani addosso. La sera, prima di andare a dormire, provava sempre a toccarmi, ma io la respingevo ogni volta prontamente. Dicevo che volevo aspettare fino al matrimonio, ma poi? Una volta sposati avremmo dovuto per forza fare qualcosa, ma io non volevo assolutamente.
Mio padre aveva creato quella situazione assurda, solo per allontanarmi da Jake. Mi aveva minacciato e aveva detto che avrebbe reso impossibile la vita di Jake e la sua famiglia se non avessi accettato di sposare quella ragazza.

La spinsi leggermente, tornando alla realtà, giusto in tempo per evitare che quelle labbra piene di rossetto toccassero le mie.

"I-Io vado a fare un giro, okay?"

Annuì e sorrise appena: sapevo che stava sospettando qualcosa, ma in quel momento non me ne fregava niente sinceramente. Avevo rivisto l'amore della mia vita e lo avevo respinto, dicendogli di andare via. Sicuramente Jake era a pezzi dopo l'accaduto di pochi minuti prima e io dovevo trovarlo e parlargli. Dovevo almeno spiegargli il perché di tutta quella situazione.
Uscii dall'edificio e rimasi a bocca aperta vedendo che anche gli altri si trovavano lì.

"Ehi, eccolo." mormorò Daniel, stringendo la mano di Blane.

Non sapevo che quei due facessero sul serio, poi conoscendo Blane...

"N-Non voglio parlargli, andiamo a casa." disse Jake, che se ne stava accanto a Teo.

Sarah mi venne incontro e mi abbracciò. Sentii il suo pancione premere contro il mio addome e mi sorpresi di quanto esso fosse cresciuto in così poco tempo.

"Ehi J, come stai?" sussurrò al mio orecchio, accarezzandomi la schiena.

Mi staccai dall'abbraccio e la guardai: sembrava più matura.

"Ehi Sarah..." la salutai. "Come pensi che debba stare? Ho bisogno di spiegare le cose a Jake, ti prego..."

Lei sospirò appena, per poi annuire. Andò a sussurrare qualcosa all'orecchio di Jake, che fece spallucce.
Sarah tornò da me e sorrise.

"Puoi venire a casa con noi, lì avrete tutto il tempo di chiarire e parlare in santa pace."

Mezz'ora dopo io e Jake eravamo seduti sul bordo della piscina della casa che avevano affittato, con le gambe immerse nell'acqua fino alle ginocchia.
Stavamo in silenzio da circa due minuti, lui col capo chino ed io con lo sguardo rivolto verso il cielo.

"Allora?" mormorò lui, interrompendo il silenzio.

"Voglio iniziare col dirti che mi dispiace..."

Mi guardò ed io persi un battito, perché non ricordavo quasi che i suoi occhi fossero così belli.

"Non sai quanto dispiaccia a me. Non capisco proprio perché tu voglia buttare nel cesso il nostro amore..."

Quella frase fece male, perché non era affatto vero: io lo amavo e non era stata una mia decisione quella di partire.

"Non voglio rovinare niente, però devo davvero sposarla, non ho altra scelta."

"C'è sempre una seconda scelta. Torna a Londra, potremmo ricominciare... Lascia stare quella tipa dalle tette finte e l'inglese più osceno che esista."

Ridacchiai e lui fece lo stesso.

"Allora non sono l'unico che lo pensa..." dissi, smettendo di ridere a poco a poco.

Iniziammo a fissarci negli occhi, poi lui si sporse in avanti, verso di me, in cerca delle mie labbra. Chiusi gli occhi e girai il volto, facendo si che le sue labbra si appoggiassero sulla mia guancia.
Quando li riaprii, lui aveva un'espressione triste e lo sguardo perso nel vuoto.

"Allora perché la sposi?"

"Mio padre ha organizzato tutto."

"Ma non siamo nel medioevo, i tuoi genitori non possono decidere chi devi sposare."

Sospirai e mi passai una mano tra i capelli.

"Mia madre è completamente contraria a tutto questo, lei non c'entra niente. E poi è più difficile di quanto sembri."

Appoggiò una mano sulla mia e fece intrecciare le nostre dita: quel piccolo gesto mi rilassò.

"Mio padre mi ha praticamente minacciato. Lo sai che non ha mai accettato la nostra relazione e quando ha saputo che avevamo litigato era più che felice. Quando è venuto a sapere che le cose tra noi stavano andando meglio, ha portato fuori la storia del matrimonio. Credimi, ho lottato per convincerlo a lasciar stare, ma lui non ne voleva proprio sapere..."

Jake si accigliò e strinse ancora di più la mia mano.

"Ma hai quasi diciannove anni, lui non può decidere al posto tuo."

"Ed è per questo che mi ha minacciato. Ha detto che avrebbe reso la tua vita un inferno e che avrebbe fatto fallire l'azienda dei tuoi genitori, se non avessi accettato. Capisci adesso? L'ho fatto, anzi, lo sto facendo solo per proteggerti da mio padre."

Lui annuì, abbracciandomi. Per un momento rimasi immobile, poi strinsi i suoi fianchi e appoggiai la fronte sulla sua spalla sinistra. Amavo il suo profumo, sapeva di cose dolci.

"E ora?" chiese lui, dopo un po'.

Alzai lo sguardo, senza interrompere il contatto fisico.

"Non lo so..."

Appoggiò le sue labbra sulle mie, con esitazione, mentre io lo strinsi a me e ricambiai con foga. Se fosse stato possibile lo avrei preso anche li, sul bordo di quella piscina, per fargli capire che lo amavo e che quell'amore che provavo nei suoi confronti non sarebbe mai finito.
Lui andò ad accarezzarmi i capelli e sospirò appena quando le nostre lingue andarono ad incontrarsi. I miei movimenti si fecero più lenti, finché non mi staccai.
Lui stava piangendo e mi si spezzò il cuore nel vederlo così. Era abbastanza intelligente per capire e consapevole del fatto che ci stavamo avvicinando alla fine della nostra storia. Ma non del nostro amore, quello non avrebbe mai avuto una fine, almeno non da parte mia.
Le parole che pronunciò dopo e la voce spezzata con cui le disse, furono la mia rovina.

"Ti amo Jason..."

Scossi la testa e trattenni le lacrime, alzandomi dal bordo della piscina.

"D-Devo andare."

Lui si alzò a sua volta, l'espressione sconvolta. Abbassò lo sguardo e annuì.
Uscii di casa, senza salutare nessuno. Iniziai a camminare in cerca di un bar o un supermercato in cui comprare dell'alcool. Avevo bisogno di non sentire più niente o sarei morto per i sensi di colpa: cosa avevo appena fatto?
Aveva detto di amarmi e io me ne ero uscito con un "devo andare"?
Anche se non avevo scelta, il rimorso mi stava uccidendo. Dovevo uscire da quella situazione, dovevo fare qualcosa. Ma cosa?

-

Jake's Point of View:

Lo guardai sparire dentro casa, diretto verso l'uscita. Le lacrime continuavano a scendere dai miei occhi e quel dolore al petto mi stava facendo mancare il respiro.
Mi lasciai cadere all'indietro in piscina e rimasi sott'acqua, ad occhi chiusi.
Non sapevo più che fare, quel viaggio era stato praticamente inutile e quel rifiuto da parte di Jason ne era la conferma. Mi sentivo perso e solo.
Sapevo che non aveva altra scelta, ma cazzo. Avevo appena detto di amarlo e lui se n'era semplicemente andato! E in quel momento iniziai a chiedermi se valesse davvero la pena soffrire per lui.
Diverse immagini di noi, affollarono la mia mente, mentre il respiro iniziava a mancarmi. Quando aveva passato il Natale con me, il nostro primo bacio, i litigi, le provocazioni, la nostra prima volta, quando aveva detto di amarmi per la prima volta, la sera in cui mi aveva raccontato tutti i suoi segreti e la sua storia, il ballo, quella meravigliosa estate, il coming out, la vacanza a Brighton, la proposta di matrimonio e poi il vuoto...
Tornai in superficie, tossendo e afferrando il mio petto. Guardai il cielo e tornai a respirare a poco a poco. Avevo trovato la mia risposta: sì, per lui avrei sofferto anche tutte le pene del mondo, perché infondo lo amavo e c'era sempre stato per me.

Sentii una voce chiamare il mio nome e mi voltai di scatto, notando che Cassie mi stava fissando con sguardo confuso e le braccia incrociate al petto.

"Jake, tutto okay? Perché sei in piscina con tutti i vestiti addosso e dov'è Jason?"

Deglutii e mi passai una mano tra i capelli.

"Cassie, dobbiamo parlare..."

*Spazio me:

Tra tutte le lingue che sto imparando è normale che a volte faccia degli errori, perdonatemi. A volte non ricordo nemmeno come si scrivono alcune parole, ceh...
Comunque fatemi sapere che ne pensate della storia e grazie a tutti/e per gli apprezzamenti♡♡.

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