Capitolo 1 "Where it all began"
Aprii gli occhi e improvvisamente sentii come se tutto il peso del mondo gravasse sul mio corpo. Era da un po' che mi succedeva, precisamente da quell'orribile giorno. Sentivo sempre come se la mia vita non mi appartenesse più e un po' era anche così, alla fine.
Ma quel giorno era un giorno diverso dal solito. Quel giorno sarebbe ricominciata la scuola e io sarei stato costretto a vedere Jason. Solo il pensiero mi provocava ansia e rabbia. Mi alzai dal letto con le poche forze che avevo. Era da circa un mese che non mangiavo normalmente, ma come un bambinetto di cinque anni e che mi riempivo di alcool e calmanti. Anche se a fatica, ero riuscito a nascondere il mio stato a Eric e Mercy, che nel frattempo si era trasferita da noi.
Andai a farmi una doccia con acqua quasi bollente e mi vestii, mettendo un larga felpa nera alla fine, per nascondere la mia corporatura un po' minuta. Presi lo zaino praticamente vuoto e scesi al piano di sotto. Guardai il telefono: erano le 7:45. Feci per uscire, ma appena appoggiai la mano sulla maniglia della porta, qualcuno mi blocco il polso da dietro.
"Jake Smith, dove pensa di andare senza aver fatto colazione?"
Era Mercy. Alzai gli occhi al cielo e mugulai scocciato, continuando a darle le spalle.
"Jake..." insistette lei, in tono quasi malinconico.
Mi voltai.
"Sto bene."
Forzai un sorriso e sentii un groppo alla gola.
"Adesso basta con questa falsa, dimmi che ti succede."
"Lo sai che mi succede, non costringermi a ripeterlo, perché lo sai che scoppio a piangere e non smetto più."
Lei sospirò in segno di resa e mise dei soldi nella tasca sinistra della mia felpa.
"Cerca di mangiare qualcosa a scuola." disse, aprendo la porta.
Non risposi e uscii di casa. Iniziai a camminare con il cappuccio della felpa in testa e le mani in tasca. Camminai a testa bassa fino all'entrata della scuola. Alzai leggermente lo sguardo per vedere la facciata dell'edificio e sospirai. Feci un respiro profondo e andai in cortile. Mi sedetti con la schiena appoggiata ad un albero e misi una sigaretta tra le labbra. Iniziai a giocherellarci facendola dondolare su e giù, poi presi l'accendino. Iniziai a fumare, facendo lunghi tiri. Continuai a stare a testa bassa finché nel mio campo visivo non entrarono un paio di converse bianche. Alzai lo sguardo e vidi Sarah, notando subito la sua disapprovazione.
"Mmm sai, quelle fanno male." disse, stringendosi di più al petto i libri che aveva in mano.
"È un piacere anche per me rivederti." risposi.
"Vestito così sembri una specie di teppista e ora fumi pure?"
Mi alzai e la guardai dritta negli occhi.
"Non farmi la predica, non mi serve."
"Non distruggerti per lui, Jake." disse, con gli occhi lucidi.
Mi bloccai per qualche istante, stringendo le labbra e alzando lo sguardo al cielo per non piangere. Funzionava sempre.
"E se devi piangere, fallo. Non tenerti tutto dentro, fa più male." continuò, appoggiando una mano alla mia spalla.
Scossi la testa e mi scese una lacrima, che asciugai prontamente. Scostai la sua mano.
"Non ho bisogno di queste frasi fatte, per stare meglio."
Buttai il mozzicone e la guardai.
"Dovresti perdonarlo."
Iniziaiai a camminare.
"Mai." sussurrai tra me e me, prima di entrare a scuola.
Come sempre il mio sguardo era basso, così andai a scontarmi con una persona.
"S-scusa..." dissi, alzando lo sguardo.
"Di niente."
Era un ragazzo moro e con gli occhi azzurri, che avevo già visto da qualche parte. Gli feci un cenno con la testa e andai in classe. Mi sedetti nel mio solito posto: ultima fila, sedia accanto alla finestra.
"Jake!"
Smisi di guardare fuori e mi voltai, togliendomi il cappuccio.
"Daniel."
Sorrisi e lui si chinò ad abbracciarmi.
"Ehi, è da un po' che non ti fai sentire..."
Il suo tono di voce cambiò e capii subito dove voleva andare a parare.
"Sto bene."
"Non si vede però. Sai che non devi fingere con me..."
La mia risposta non arrivò mai, perché la nostra conversazione fu interrotta da un annuncio.
"Tutte le classi quarte e quinte in auditorium. Ripeto, tutte le classi quarte e quinte in auditorium."
Sospirai, alzandomi.
"Andiamo."
La sala era già mezza piena. Mi sedetti nell'ultima fila in un angolo isolato, mentre Daniel andò da Cassie. Tomas e Sarah stavano con Teo e Helen.
E così, quasi improvvisamente, mi resi conto di quanto ero solo. Iniziai a sentire freddo, finché una mano non mi sfiorò una spalla. Guardai con la coda dell'occhio la persona che si era messa accanto a me e sospirai rumorosamente: Jason. Scrollai le spalle per indurlo a togliere la mano e lui lo fece, abbassandola.
"Hai intenzione di ignorarmi a vita, Jake Smith?"
Continuai a guardare davanti a me, ignorando le sue parole.
"Mi manchi."
Un altro sospiro.
"Molto..." aggiunse.
Tossii falsamente e mi leccai il labbro inferiore.
"Ti tormenterò finché non ti deciderai a parlarmi. Ti ho lasciato messaggi, ti ho chiamato, sono venuto a casa tua, ma ogni volta Mercy e Eric si inventavano scuse assurde. Ora, penso che il minimo che tu possa fare sia parlarmi."
"E io invece penso che il minimo che TU possa fare sia chiudere quella bocca e darmi pace." dissi, incrociando le braccia.
"Alleluia, almeno mi hai parlato. Ora mi guardi per favore?"
Continuai a fissare il vuoto e dopo un po' lui si arrese.
Quando la preside salì sul palco, nell'auditorium calò il silenzio.
"Prova prova...un, due, tre." disse, picchiettando l'indice destro sul microfono. "Okay, allora ragazzi, buongiorno."
"Buongiorno." risposero tutti, in "coro."
"Ci siamo è? Siamo all'inizio di un nuovo anno. Spero che questo sarà anche meglio dello scorso e vi auguro di fare nuove e bellissime esperienze."
Alzai gli occhi al cielo e sospirai. Per sbaglio il mio polpaccio sfiorò quello di Jason. Ritirai subito la gamba e lo guardai con la coda dell'occhio: aveva un sorrisetto da ebete in faccia. Sospirai per l'ennesima volta e continuai ad ascoltare il noiosissimo discorso della preside.
Dopo una ventina di minuti uscimmo dalla sala. Fu come ritornare a respirare, perché stare vicino a Jason era come ricevere coltellate al cuore ogni secondo.
Alla fine delle lezioni uscii dalla classe, ringraziando il cielo di non aver incontrato Blane. Sì, Blane Johnson, seconda posizione nella mia lista nera.
Stavo camminando senza prestar attenzione al mondo intorno a me, quando sentii delle voci familiari: vidi Daniel e Blane che parlavano. Il biondino sembrava quasi a disagio e continuava a toccarsi il capo con una mano. Assottigliai gli occhi e spostai il mio sguardo su Blane. Per un istante sperai che si girasse, perché mi sarebbe piaciuto mandarlo affanculo. Poi ritornai in me e decisi di uscire da scuola il più in fretta possibile.
Arrivato a casa mi chiusi in camera. Mi sdraiai sul letto e iniziai a guardare il soffitto, portandomi le mani dietro alla collo.
"Jake, è pronto!" urlò Mercy, dall'altra parte della porta.
"Non ho fame!" esclamai.
"Devi mangiare, piccolo." abbassò un po' il tono di voce, rendendolo più dolce.
Sbuffai.
"Non tentare di convincermi, è inutile. N.o.n. h.o. f.a.m.e."
Sentii la maniglia della porta muoversi.
"Perché hai chiuso a chiave?!"
"Non preoccuparti, non mi sto masturbando. Sono solo stanco e voglio la mia privacy."
"Jake apri subito la porta e smettila di fare il sarcastico!"
"Ma non ho fatto niente!"
Sentii dei passi.
"Che succede qua?"
Era la voce di Eric.
"Jake non vuole aprire la porta e come al solito vuole digiunare."
"Dai lascialo stare, forse non ha fame..."
Iniziai ad ascoltare la loro conversazione, cercando di fare meno rumore possibile per percepire tutte le loro parole.
"Non ha mai fame, Eric. Vuoi farlo morire? Dici sempre "lascia stare" ma così stiamo permettendo che si distrugga sempre di più."
"Ma dai è l'adolescenza..."
Sentii Mercy fare un lungo sospiro.
"Non è solo l'adolescenza." replicò lei.
Li sentii allontanarsi, continuando a discutere.
Mercy ci aveva preso in pieno, però. Non era solo l'adolescenza a distruggermi, oh no. Era Jason, Jason McCurthy.
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