Jack-o'-Murder
L'ultimo sorso di whisky si dimenò nel bicchiere mentre veniva portato in controluce per essere osservato meglio. Un single malt scozzese, osservò Lloyd. C'era qualcosa di buono in quel party: almeno non gli avevano rifilato un imbevibile distillato alla frutta o, peggio, un whisky annacquato di quelli che andavano tanto di moda negli ultimi anni. Sospirando, fece un tiro dalla sigaretta che teneva nella mano sinistra, mentre i suoi occhi si posavano sui rappresentanti dell'alta società di Londra, di cui egli stesso aveva avuto la disgrazia di far parte per nascita, disprezzandoli uno dopo l'altro. Non c'era nessun esponente della famiglia Britannia, notò, a parte il caro, vecchio Odysseus, che non si perdeva una festa. Poco più in là scorse Ruben Ashford, fondatore dell'omonima, prestigiosa accademia, con l'inseparabile nipote Milly al seguito.
La ragazza più corteggiata d'Inghilterra, pensò, seguendola con lo sguardo e continuando a fumare. Dopo qualche secondo Milly, accortasi di avere i suoi occhi addosso, si voltò di scatto. Lloyd distolse immediatamente lo sguardo mordicchiandosi il labbro. Sperava che lei non lo avesse interpretato come un segno di interesse.
Che idea stupida poi, un party di Halloween.
La villa di famiglia dei duchi Guilford, già pacchiana e di cattivo gusto durante tutto l'anno, il trentuno ottobre si colorava con spiacevoli ghirlande nere e arancioni, le cineserie venivano messe da parte e sui mobili comparivano zucche intagliate dai migliori maestri, affiancate da statuette deformi. Il padrone, Gilbert G.P. Guilford, stava facendo gli onori di casa da quelli che sembravano anni, salutando ora gli ospiti che entravano dall'ingresso principale, ora quelli che si avvicinavano alla grande scalinata che occupava la posizione centrale del salone, impedendo loro di accedere alle stanze private al piano superiore. Aveva scelto quello che doveva essere un costume da spettro: giacca e pantaloni erano completamente bianchi, così come i guanti che indossava.
Alcune donne avevano colto l'occasione per sfoggiare vestiti che altrimenti avrebbero fatto urlare allo scandalo, mentre qualcuno indossava maschere che avrebbero dovuto risultare spaventose, ma che Lloyd trovava invece di ridicolo cattivo gusto. Per cui, quando lo avevano obbligato a partecipare a quella festa, aveva optato per un sobrio completo di velluto nero. A chi glielo aveva chiesto, aveva risposto che si era mascherato da vampiro. Del resto, la carnagione chiara c'era.
«Herr(1) Asplund!» lo riscosse improvvisamente una voce maschile alle sue spalle. Lloyd distolse malvolentieri la propria attenzione dalla scenetta a cui stava assistendo, una donna che leggeva dei fondi di tè ad un piccolo drappello di curiosi paganti, e si voltò verso il suo nuovo interlocutore. Fortunatamente, non era nella sua lista di nobili da evitare con un cortese sorriso.
«Buonasera, Herr Gottwald» rispose, imitando il suo modo di parlare.
Jeremiah Gottwald era un uomo alto e piacente, sulla trentina, che per l'occasione aveva deciso di indossare una maschera dorata che gli copriva metà del viso. Faceva parte dell'élite di giorno, ma la sua caratteristica più interessante era che di notte gestiva fumerie d'oppio. Le migliori fumerie d'oppio, si sarebbe sentito di aggiungere Lloyd.
«Non mi sarei mai aspettato di vedervi qui» continuò Gottwald, stringendogli la mano, «vi è forse passata l'allergia per gli eventi mondani?».
«Gli eventi mondani» replicò Lloyd, dopo aver bevuto l'ultimo residuo di whisky «mi sono stati caldamente consigliati dalla famiglia Britannia; a quanto pare se voglio continuare a svolgere i miei studi per loro devo mantenere un'immagine pubblica. Che è lo stesso motivo per cui voi siete qui questa sera e non avete aperto la vostra... attività. Credetemi, entrambi vorremmo essere nello stesso posto, in questo momento, voi a fare affari e io...» concluse con espressione ambigua, interrompendo il discorso per fumare e non ricominciandolo più.
Gottwald sorrise: aveva sempre apprezzato quell'uomo, con le sue insinuazioni spesso molto acute e incuranti di chi avesse davanti. Forse era per quello che Lloyd odiava gli eventi sociali: situazioni costruite in cui doveva mostrarsi a modo e, soprattutto, politicamente corretto.
«Signor Lloyd!» lo richiamò all'improvviso una seconda voce, questa volta più giovanile e sinceramente sorpresa.
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono, pensò Lloyd mentre si voltava per una seconda volta, sospirando.
Improvvisamente, l'aria fu squarciata da un grido acuto, a cui si aggiunsero presto altre urla spaventate. Lloyd, con il cuore in gola, guardò immediatamente nella direzione da cui provenivano i rumori, e vide la riproduzione di un carro completamente nero, sospeso con delle funi al soffitto, guidato da cavalli scheletrici in legno di pregevole fattura. Al posto del cocchiere, una figura incappucciata, probabilmente la Morte, teneva delle finte redini. Le urla degli astanti da spaventate diventarono ben presto gridolini di eccitazione e versi di ammirazione, che si riassunsero in un applauso quando videro affacciarsi dalla balaustra del piano superiore lo stesso duca Guilford, che manovrava sorridendo il mirabolante marchingegno, mentre un'orchestra cominciava a suonare della musica composta per l'occasione.
Lloyd sospirò una seconda volta e si limitò a scuotere la testa e spegnere la sigaretta nel posacenere sul tavolo, prima di cercare nuovamente la persona che aveva richiamato la sua attenzione, constatando che Gottwald ormai era sparito nella folla. Accanto a lui, ancora con il naso per aria, c'era una sua conoscenza: un giovane ragazzo dai lineamenti orientali, che da quando era giunto a Londra dal Giappone svolgeva la professione di investigatore privato.
«Suzaku Kururugi,» esclamò con voce acuta, senza riuscire a dissimulare la sorpresa «che ci fai qui?».
Suzaku non era certo un rappresentante della nobiltà, osservò Lloyd. Probabilmente era stato assunto per tenere d'occhio qualcuno, ma si chiedeva come fosse riuscito ad ottenere l'invito per la festa.
«So che cosa pensate,» replicò il ragazzo con un timido sorriso. Doveva essere appena arrivato, poiché un lieve ma diffuso rossore, dovuto allo sbalzo di temperatura, gli colorava il viso. «Ma non sono qui per lavoro. Sono stato invitato in quanto rappresentante dell'Associazione di Cultura Orientale, in modo da poter allietare gli ospiti con curiosità sul mio paese».
Appariva un po' a disagio, osservò Lloyd, probabilmente era la prima volta che si trovava in una situazione del genere. Avrebbe dovuto immaginare una cosa simile: negli ultimi tempi, i nobili erano ossessionati dal lontano Oriente, che aveva in sé qualcosa di misterioso ed esoterico, proprio come la notte di Halloween.
Un secondo grido di terrore, proveniente dall'altro estremo della sala, interruppe la loro conversazione. Questa volta, Lloyd non si disturbò nemmeno a spostare lo sguardo, ritenendo che fosse un'altra trovata per divertire la gente.
Tuttavia, questa volta le urla non cessarono, non si trasformarono in festosi applausi e risate. Passi concitati cominciarono a dirigersi verso l'entrata, dove una donna, piegata su se stessa, era sostenuta da un uomo e cercava inutilmente di soffocare le grida.
«Un medico! Un medico!» chiamò qualcuno, nell'agitazione del momento. Non vedendo nessuno intervenire, Lloyd si fece largo tra la folla.
«Lasciatemi passare» ordinò con voce decisa, dirigendosi verso la ragazza, che era stata separata dall'uomo che l'aveva sostenuta e veniva trasportata sul divanetto di una sala privata, ormai quasi priva di sensi.
Una donna indiana era china su di lei e, mentre le tastava il polso, cercava invano qualcuno che la aiutasse, ma la folla si era ormai riversata sul suo compagno, anch'egli in visibile stato di shock.
«C'è bisogno di aiuto?» domandò Lloyd, togliendosi la giacca e sistemandosi gli occhiali con aria professionale.
«Siete un medico?» rispose la donna, mentre distendeva la ragazza sul divano e le alzava le gambe.
«Sono un chimico».
«Bene. Su quella poltrona c'è una borsa, prendetemi i sali d'ammonio».
Lloyd obbedì velocemente e senza difficoltà, mentre alcune voci alle sue spalle continuavano a ripetere ai presenti di non farsi prendere dal panico.
«Lloyd!» urlò improvvisamente Suzaku, che cercava di farsi strada nella calca, e costantemente veniva risucchiato nel tumulto generale. Al suo quarto o quinto tentativo di raggiungere la stanzetta, fu afferrato per un braccio e tirato in salvo con uno strattone.
«Che cosa succede?» chiese Lloyd, lasciandolo.
«Il ragazzo, signore. Ha detto che c'è un morto».
«Dove?» ribatté rapidamente l'uomo, aggrottando le sopracciglia.
«Nel giardino, signore. C'è un'uscita di servizio da questa stanza».
Lloyd afferrò immediatamente il soprabito, appoggiò una mano sulla spalla della donna indiana, sussurrandole qualcosa, e si diresse rapidamente verso l'uscita.
Il giardino della villa dei Guilford era costellato da numerosi falò, adornati anch'essi da zucche intagliate, e non fu difficile trovare ciò che non andava sotto quella lugubre luce. A pochi metri di distanza dalla casa, riverso sotto un grande acero, c'era il corpo abbandonato di una ragazza, completamente nuda sotto i bagliori rossicci delle fiamme. Con cautela, Lloyd la voltò per vederne il viso. Il gruppetto di persone che era giunto, munito di fiaccole, assieme a Suzaku, lo vide allontanarsi di scatto, sussultare e portarsi una mano alla bocca. La ragazza era stata massacrata con decine di coltellate al petto. I suoi fianchi e il ventre avevano tagli e lividi ben visibili nonostante la penombra. Il suo volto era tumefatto, le labbra spaccate e gli occhi fissi, terrorizzati, accusatori.
«Signore!» esclamò il ragazzo giapponese, scattando verso di lui.
Lloyd riuscì a trattenere il conato di vomito e, a fatica, deglutì.
«Sto bene,» disse con voce strozzata «ma per favore portate qualcosa per coprirla».
Suzaku annuì mestamente e ripeté l'ordine agli uomini che lo avevano seguito.
«Avete idea di chi sia?» domandò, evitando di guardare il cadavere.
«No» rispose l'altro a fatica, mentre il corpo veniva coperto da un lenzuolo. «Dov'è Guilford?».
«In casa. Ha fatto chiamare la polizia e ha dato ordine di continuare la festa».
Una nuova sensazione di disgusto, diversa ma non inferiore alla precedente, assalì lo stomaco di Lloyd.
«Torna dentro, Suzaku» gli intimò, tremando. «Ordina che nessuno esca da quella stanza e comincia ad interrogarli tutti».
«Ma signore, io non... ».
«Ti assumo io» lo interruppe Lloyd. «Considerami tuo cliente, ti pagherò quanto dovuto».
Suzaku si spaventò. Era abituato all'uomo ironico, sprezzante, eccentrico ed appariscente che vedevano tutti, e ora gli pareva di avere di fronte un'altra persona. Il bel viso del conte Lloyd Asplund era sfigurato dalla rabbia, le sue narici dilatate, le labbra arricciate a svelare i denti.
«Non ho nessuna intenzione di lasciare impunita la bestia che ha ridotto così quella ragazza, perché chiunque lo abbia fatto è una bestia, non un uomo» riprese a dire con tono calmo, inquietante. «È stata massacrata, le è stata usata violenza, hanno infierito sul suo cadavere. Tutto questo a una donna, una ragazza, di neanche vent'anni. Dimmi, Suzaku, se posso lasciare che questo cane passi anche solo un minuto in più senza marcire in galera prima di sprofondare all'inferno».
Suzaku sostenne il suo sguardo con espressione seria e gli mormorò di seguirlo all'interno della villa.
Chi aveva saputo del ritrovamento del cadavere, sconvolto ma costretto a rimanere alla festa fino all'arrivo della polizia, cercava di dissimulare i propri sentimenti chiacchierando con chi era ancora ignaro dell'accaduto. La musica risuonava più festosa che mai, fino a quando gli orchestranti furono interrotti da un gesto perentorio del duca. Lloyd era di fronte a lui, con espressione feroce, lo aveva obbligato a far tacere tutto.
«Sospendete immediatamente la festa e date l'ordine di far riconoscere il cadavere» lo minacciò. «A tutti, anche alla servitù».
«Signor Asplund, io...».
«Voi risponderete alle domande del qui presente signor Kururugi come tutti gli altri» lo interruppe Lloyd. «Le macchine, signor Guilford, le locomotive dei treni hanno più umana compassione di voi».
Il corpo fu riconosciuto come quello della povera Shirley Fenette, diciotto anni e mezzo, cameriera da qualche tempo alla residenza dei Guilford. Una sua collega, tra i singhiozzi, aggiunse che quel giorno non si sarebbe dovuta presentare al lavoro, che aveva ottenuto un permesso per rimanere con la sua famiglia.
Lloyd decise di rimanere, solo, nella saletta dove avevano prestato soccorso alla ragazza che aveva ritrovato il cadavere, dichiarando di non voler essere d'ostacolo a Suzaku mentre svolgeva il suo lavoro, ufficiosamente perché stare nella stessa stanza di quell'assassino lo disgustava.
La porta si aprì mentre lui rimirava un quadro rappresentante un paesaggio, chiaramente una volgare imitazione di Turner, svelando uno stanco Suzaku.
«Signore, ho raccolto informazioni sulla vittima e ho interrogato le persone che mi avevate indicato» disse ossequiosamente il ragazzo, estraendo qualcosa dalla tasca. Lloyd sorrise, ricordando della sua abitudine di annotare i nomi dei sospettati su un piccolo pezzo di carta, come se avesse potuto dimenticarli da un momento all'altro, e allungò la mano per farsi dare il biglietto.
Lo spiegò, leggendo immediatamente i nomi che l'investigatore aveva raccolto.
Anya Alstreim
Gilbert Guilford
Milly Ashford
Ruben Ashford
Luciano Bradley
Jeremiah Gottwald
Sayoko Shinozaki
«Sono molti sospettati, Suzaku» commentò Lloyd. «Partiamo dalla vittima».
«Sembra non avesse nulla di particolare, signore. Nessuna relazione pericolosa, nessun passato burrascoso, nulla da segnalare».
«Vai avanti.» lo incitò Lloyd, con una smorfia di dolore in volto.
«Alle ore ventuno, la signorina Anya Alstreim si allontana per appartarsi con il suo fidanzato nel parco della villa».
Solitamente, a queste parole Lloyd avrebbe alzato le sopracciglia in modo malizioso, ma la situazione era tale che aveva completamente perso la sua voglia di fare ironia.
«Dopo pochi minuti, però, torna indietro terrorizzata a causa del ritrovamento del corpo, è talmente spaventata che dopo non molto perde i sensi. Giura di non essersi nemmeno avvicinata al cadavere».
«E perché è nell'elenco dei sospettati?».
«La persona che scopre l'omicidio è sempre fra i sospettati» rispose Suzaku.
Lloyd scosse la testa, ricordando un particolare a cui non avrebbe più voluto pensare.
«Non in questo caso,» disse mestamente «e questa Sayoko è una donna?».
«Sì, signore, una cameriera».
«Toglila dall'elenco. E anche Milly. Il colpevole non può essere una donna».
«Va bene...» mormorò Suzaku «Degli altri, tutti giurano di non avere niente a che fare con la signorina Fenette. Ah, e Guilford continua ad affermare che sono stati gli spettri che si aggirano qui attorno nella notte di Halloween, il demonio o che altro, e la gente comincia a credergli».
Lloyd sembrava pensieroso.
«Se posso dire la mia opinione, sembrate piuttosto sicuro che il colpevole sia il duca Guilford» commentò il ragazzo.
«Lo ero, Suzaku, prima che tu mi facessi venire qualche dubbio».
«Non capisco, signor Lloyd, che cosa ho...».
«Luciano Bradley, il candidato procuratore» notò lo scienziato nell'elenco. «Non l'ho visto alla festa».
«Io sì» rispose Suzaku. «L'ho notato perché mi avevano parlato di lui, sapevo che ha fatto molta carriera come avvocato, e l'ho visto discutere in modo concitato con il signor Ashford».
«Litigavano?».
«No, non direi. Bradley era affannato, voleva qualcosa da Ashford, ma non sono riuscito a sentire cosa dicessero perché discorrevano a bassa voce».
«Non gesticoli quando parli» osservò Lloyd, con lo sguardo che pareva perso nel nulla. «Io gesticolo molto».
«Sì, ma non capisco cosa...».
«Ascoltami» disse improvvisamente Lloyd, come se avesse avuto un'illuminazione, «la donna che ha assistito Anya quando è svenuta ha visto il corpo?».
«Sì, certo, lei è...».
«Lo so. Vai a chiamarla, dille che voglio parlare con lei in privato».
«Subito. Desiderate parlare con qualcun altro?».
«No».
«D'accordo» rispose Suzaku, dirigendosi verso la porta. «Un'ultima cosa, se mi permettete: non avete considerato tutti i sospettati nella mia lista».
«L'ho fatto. Non ho nessuna intenzione di ritenere Gottwald capace di un'azione tanto atroce» rispose Lloyd con tono perentorio. «Adesso va'».
Per lunghi minuti che sembrarono ore, Suzaku attese che la porta si riaprisse, ma il colloquio tra Lloyd e la donna indiana pareva non finire mai. Poco dopo l'arrivo di due agenti e un ispettore di Scotland Yard, che vennero immediatamente informati dei fatti, i due in riunione quasi inaspettatamente uscirono.
«Desidererei scambiare qualche opinione con qualcuno di voi» esordì sorridente Lloyd, e fece uscire dalla folla degli attoniti Ruben e Milly Ashford, un Luciano Bradley che già si appellava a vie legali e un indignato duca Guilford.
«Se questa messinscena è solo per vendicare la morte di quella ragazza, che magari conoscevate, conte Asplund» inveì il nobiluomo «vi troverete in grossi guai. C'è un efferato assassino tra di noi, qualcuno che uccide per piacere al demonio, come dimostrano i segni sul corpo della mia cameriera. È solo per proteggere tutti da qualche oscuro rito che ho fatto continuare la festa, ed ora vengo trattato come un volgare...».
«Vi state sbagliando, Guilford» lo interruppe Lloyd. «Non l'ho mai conosciuta da viva. Lei, per me, esiste solo attraverso gli altri, nell'evidenza delle loro reazioni alla sua morte (2). O meglio, nella non evidenza. Non è vero, signori? Perché voi, escludendo miss Milly, non avete battuto ciglio quando avete scoperto che una ragazza era stata brutalmente assassinata a pochi metri da voi, e che l'omicida era ancora in circolazione. Quindi c'è una spiegazione: l'assassino è uno di voi tre, o forse tutti voi».
Guilford stava per farsi avanti minaccioso, ma venne interrotto da Milly.
«Che cosa state dicendo?» strillò la ragazza, aggrappandosi alla giacca di Ruben. «Nonno! Ditegli che sta mentendo!».
«Calmatevi, signorina. Vostro nonno non ha questa colpa» cercò di rassicurarla Lloyd, mentre lei scoppiava a piangere. «Ditemi, signor Ashford. Voi, durante la festa, avete allontanato vostra nipote quando avete visto uno spaventato signor Bradley venirvi incontro, non è così?».
«Sì» confermò l'uomo.
«Che cosa voleva?».
«Qualcosa che non potevo concedergli. Dei soldi, e un aiuto... politico, per la sua futura posizione».
«Ashford!» tuonò Bradley, fino a quel momento in silenzio, sentendosi chiamato in causa. «Non ascoltatelo, lui sta...».
«Io invece ho buona ragione di credere, date le numerose indiscrezioni per cui si troverà facilmente un testimone, che i soldi girassero eccome tra voi, e che girassero anche tra voi due e il duca Guilford» intervenne Lloyd. «Ritengo anche che qualcuno avesse notato il fatto, qualcuno che avrebbe potuto ricattarvi, e che questo abbia portato a delle gravi conseguenze, esattamente quelle che alcune persone giurano di aver sentito citare da Bradley ad Ashford durante il party».
«C'era qualcosa di strano nell'omicidio» riprese poi dopo una piccola pausa, «qualcosa che da principio non avevo notato. Il tutto era stato configurato come un atto bestiale compiuto da un appartenente a qualche oscura setta, il corpo sfigurato di una ragazza, i segni sul petto e sul grembo... tuttavia, quando ho fatto notare al signor Kururugi che non poteva essere stata una donna l'assassino, lui mi ha risposto che non ne capiva il motivo. E questo non perché abbia uno scarso spirito di osservazione, ma perché la qui presente dottoressa Rakshata Chawla, esaminando il corpo, gli aveva comunicato che non c'erano segni di violenza sessuale. Il che conduce ad una sola conclusione: complice questa particolare notte, avete simulato un omicidio a tinte esoteriche per nascondere il vero motivo per cui la povera Shirley è stata eliminata».
«Fate tacere quest'uomo!» provò ad ordinare il duca, ma fu fermato dall'ispettore di polizia, entrato nella stanza assieme ai due agenti.
«No, fatelo continuare» disse.
«La ragazza aveva scoperto i vostri traffici, probabilmente in maniera del tutto casuale» ricominciò Lloyd, «e quando lo avete saputo, nella paura che vi ricattasse, la cosa è degenerata. La ragazza è stata uccisa, sempre secondo il nostro medico, molto prima di essere ritrovata, forse proprio prima della festa, il che spiega anche perché Guilford era così solerte nell'impedire che le persone andassero al piano di sopra: in una delle stanze era stata lasciata la povera Shirley, dopo essere stata pugnalata da Bradley in un impeto. Dopodiché, approfittando della messinscena del carro e del conseguente frastuono, Guilford ha raggiunto la stanza con il cadavere, ha organizzato il tutto per farla sembrare l'opera di un serial killer e ha gettato il corpo dalla finestra. Gli occhi di tutti erano sul carro, nessuno avrebbe potuto notarlo. Nel giardino lo aspettava Bradley, che l'ha trascinata fino a sotto l'albero».
Bradley e il duca Guilford si guardarono attoniti.
«Non avete nessuna prova di quello che state dicendo» provò ad obiettare il nobile.
«I vostri guanti, signor Guilford» replicò Lloyd «non sono bianchi come il resto del vostro vestito, sono color panna. E non li indossavate quando sono entrato perché, se mi permettete, avrei notato subito che stonano con il resto del vostro completo. L'unica spiegazione è che, nel creare la vostra versione della scena del crimine, li avete macchiati di sangue e sostituiti. Ispettore, provate a controllare all'interno dei falò vicini all'albero. La pelle brucia bene, ma se i suoi guanti erano come i miei avevano dei bottoni che ritroverete, se siete fortunati assieme ai resti del vestito della ragazza».
L'intuizione di Lloyd fu corretta. Bradley fu accusato di omicidio e di tutti gli altri reati collaterali per cui furono imputati anche il duca Guilford e Ashford, e portato via quella sera stessa.
Gli invitati alla festa se ne andarono, sconvolti, diretti alle proprie abitazioni. Solo Suzaku rimase al fianco di Lloyd a guardare la prima alba di novembre. Lo scienziato si accese una sigaretta.
«Credo che il Sole» disse «non si sorprenda più, ormai, della violenza degli uomini sulla Terra».
«Andiamo a casa» fu l'unica cosa che riuscì a rispondere Suzaku.
Lloyd si voltò e annuì, osservando il viso del ragazzo ai raggi del nuovo giorno.
L'unica cosa, pensò, rimasta di cui sorprendersi è la bontà.
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(1) "Signor"
(2) Citazione di James Ellroy, richiesta dal Contest.
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N.d.A.: Ciao a tutti, sono Amahy! Questa volta ho scoperto quanto sia difficile scrivere un giallo in sole 3500 parole. Sta a voi fare da giudici e dire se ci sono riuscita o no!
Se avete apprezzato questo racconto, sto pubblicando nel mentre anche la prima storia della serie dedicata a questi personaggi, la trovate nel mio profilo ed è intitolata "Il fiore del male".
Alla prossima!
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