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Capitolo 5: Rumore e Silenzio

Nemmeno tutto quel rumore durò a lungo.

Due settimane dopo, nel pieno d'Agosto, ci fu una nuova riunione dell'Ordine. Stavolta Ive era quasi felice di andarci, perché significava fare rapporto del lavoro delle ultime tre settimane, degli attacchi sventati, dei Mangiamorte catturati... dell'aiuto portato. Anche se aveva ancora la fiammella della paura di incontrare Tamsin che bruciava accanto a quella felicità. Una parte di lei sperava che non ci fosse, che avesse avuto un imprevisto, o che non fosse stato convocato, o che avesse un in incarico da svolgere.

Come aveva fatto lei la prima volta, si Materializzarono parecchio distati dalla Tana e toccò loro camminare. Dopotutto non era stata proprio una scusa: tra la solita quantità di giovani Weasley esistete e il fatto che Hermione Granger stesse trascorrendo l'estate là, c'erano tre o quattro minorenni con ancora la traccia addosso, e tutte quelle Materializzazioni a brevi intervalli nello stesso punto avrebbero insospettito i Mangiamorte che controllavano il Minstero.

Ive si era fatta spiegare la situazione da Tonks (almeno tutte quelle chiacchiere le erano tornate anche utili), i Mangiamorte ormai controllavano gran parte dei reparti del Ministero, anche se il nuovo Ministro, Rufus Scrimgeour, era fermamente contro Voldemort. Molti Manigiamorte avevano posizioni di rilievo al Ministero ormai da quasi vent'anni ed erano quasi tutti discendenti di ricche famiglie Purosangue, con eredità immense che non si facevano problemi a spendere in corruzione, ricatti e sicari.

Arrivarono alla porta e suonarono. Avevano camminato tanto a lungo che Ive sentiva i piedi formicolare nelle scarpe di tela babbane che Tonks le aveva prestato (non puoi andare in giro con gli stivali in piena estate!). Rispose Arthur Weasley, che era decisamente paranoico riguardo alle misure di sicurezza del Ministero ("Devo dare il buon esempio") e fece loro domande improponibili, forse più di quella che aveva fatto George a Ive alla riunione precedente. Dopo dieci minuti buoni, e una fila di altri membri dell'Ordine che aspettava di poter entrare, riuscirono a farsi aprire la porta. Ive non ricordava di aver notato il Signor Weasley l'ultima volta, sembrava, senza offesa, cinque volte più vecchio dell'ultima volta che lo aveva visto. Stando a quanto le aveva raccontato Tonks il suo lavoro era triplicato, perché con il ritorno di Voldemort a conoscenza di tutti erano triplicati i truffatori che cercavano di vendere vecchi gingilli spacciandoli per 'amuleti dai milleboranti poteri in grado di respingere i Mangiamorte come mosche'. Doveva essere parecchio stressante considerando che all'Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti Babbani erano solo in due.

I membri dell'Ordine che aspettavano fuori si sfollarono in fretta nel corridoio. Ive procedette fino alla porta incastrata tra gli altri e fu un sollievo quando le si aprì davanti il salotto della Tana. Si concesse un po' di tempo per dargli un'occhiata (subito dopo aver constatato con un sospiro che Tamsin non c'era). Le pareti erano dipinte di giallo ocra e i mobili erano in caldo legno di ciliegio. Riconobbe il divano arancione su cui si era seduta alla precedente riunione, affiancato da altre poltrone in pelle color mattone. Sulla parete opposta c'era un'orologio a pendolo che al posto di segnare l'ora indicava dove si trovavano i membri della famiglia, raffigurati dalle lancette. Ive riconobbe diversi maghi e streghe che aveva conosciuto l'estate precedente – Remus Lupin (che era stato anche suo professore ad Hogwarts al quinto anno), se ne stava appoggiato accanto all'orologio, pieno di nuovi graffi e tagli sul viso e con un'espressione cupa in volto. Accanto a lui c'era Hestia Jones, una strega sulla cinquantina con i capelli grigio paglia e un tono di voce a volte un po' troppo alto. Elphias Dodge, un vecchio mago dai lunghi e crespi baffi, se ne stava invece appollaiato su una poltrona di pelle marrone scuro – ma vide anche tanti altri che non conosceva, l'Ordine della Fenice si era parecchio allargato.

Lei è Tonks si andarono ad appoggiare sul piano della cucina, accanto a Kingsley Shacklebolt, che le salutò con un sorriso a labbra strette. A dirigere la riunione, come la volta precedente, c'era Malocchio, che stava già sistemando alcune pagine di giornale sul tavolino davanti al divano. Evidentemente Silente era parecchio impegnato in altre cose.

Quando nel soggiorno dei Weasley vi furono una trentina di persone (fortuna che era parecchio spzioso), la riunione cominciò.

Lupin parlò a lungo delle lune piene che aveva trascorso tra i Lupi Mannari per cercare di capire che intenzioni avessero: la maggior parte seguivano le impronte di Fenrir Greyback – il più temuto Licantropo d'Inghilterra, che aveva una passione nel contagiare i bambini e, secondo le voci, ormai non era per niente umano nemmeno quando era nella sua forma umana e aveva cominciato a mordere anche senza la luna piena – e si erano uniti a Voldemort. Non era difficile da immaginare, i Lupi Mannaro non erano ben visti dalla comunità magica e avevano abboccato alla prima possibilità di rivalsa. Voldemort doveva avergli offerto tutti i Nati Babbani che volevano per pranzo, in cambio del loro sostegno. Lupin stava andando a studiarli in realtà incognito, e dalle sue parole la situazione non sembrava molto a favore dell'Ordine.

Poi toccò a Ive e Tonks, non che ci fosse molto da dire. Le loro sorveglianze a Diagon Alley erano abbastanza monotone, se non per qualche approfittatore che vendeva amuleti falsi e qualche Mangiamorte che se ne andava in giro con un sorriso beffardo (senza però mai fare niente di violento e quindi senza che le due riuscissero a incastrarlo e spedirlo ad Azkaban).

Mentre Arthur Weasley assicurava che sarebbe passato a dare una mano con quei farabutti degli amuleti, qualcuno bussò alla porta e lui dovette andare ad aprire. Ive per poco non perse l'equilibrio quando lo vide tornare seguito da Tamsin.

Allora era solo in ritardo.

Distolse immediatamente lo sguardo. Si sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli troppo corta per entrare nello chignon basso (ormai diventato sua abitudine) e si finse molto interessata alla discussione tra Lupin e un uomo sulla cinquantina che non conosceva.

Quando Malocchio richiamò l'attenzione di tutti, Arthur finì di parlare dei venditori di amuleti e aggiunse qualche informazione sul Ministero. Poi fu il turno di Kingsley, seguito da alcuni nuovi membri. Poi Tamsin spiegò la situazione di Hogmsmeade. Alla fine – pensò Ive – era riuscito a realizzare il suo sogno. Infatti aveva aperto una biblioteca con sia libri magici che babbani, ed era da lì che controllava il villaggio dei maghi per fondo dell'Ordine. Ive lo osservò di tanto in tanto mentre parlava, ma solo perché lui si rivolgeva a Malocchio e non le prestava attenzione. Gli era bastato qualche mese fuori da Hogwarts per togliergli di dosso quell'aria da ragazzino troppo loquace è un po' buffone, sembrava quasi più vecchio.

Alla fine della riunione tutti si diressero verso l'ingresso. Ive e Tonks aspettarono che la folla si disperdesse un po'.

-Tonks ti dispiace lasciarci un attimo da soli?-

L'aveva percepito giusto un secondo prima che parlasse, qualcuno che le si avvicinava da dietro e quasi rabbrividì quando riconobbe la voce. Guardò la 'cugina' dritto negli occhi, scuotendo impercettibilmente la testa. Tonks esitò un attimo.

«Certo»

Probabilmente l'occhiataccia di Ive l'avrebbe uccisa (o lo avrebbero fatto le sue mani) se non fosse sparita alla velocità della luce nel corridoio d'ingresso e poi oltre la porta.

Ive si morse il labbro e imprecò tra i denti. Rimasero in silenzio per un po', il silenzio che bucava loro le orecchie.

«Hai intenzione di girarti, o hai proprio deciso che la mia faccia ti fa schifo e non vuoi vedermi mai più?»

Ive non seppe dire come Tamsin voleva suonare con quella domanda – se volesse provare a rompere la tensione con una battuta – ma non riuscì a fare a meno di percepire una nota di amarezza nella sua voce.

Le si spezzò il respiro. Si passò la lingua sul labbro, come cercasse di concentrarsi, come se ci volesse tutta la concentrazione di cui disponeva per voltarsi. E si voltò. E anche i pezzi in cui il respiro le si era spezzato si spezzarono. Tamsin era ferito, il luccichio nei suoi occhi urlava "Perché?" e la trafiggeva come un coltello.

Lo guardò, schiuse le labbra, ma non disse niente.

«Perché mi stai evitando?»

Questa volta glie lo chiese la sua voce, scivolando difficoltosamente tra le labbra screpolate –rotta e graffiante come un pezzo di vetro– anche se non ce n'era bisogno, perché lei sapeva già la domanda, doveva solo trovare il coraggio e le parole per rispondere.

«Non ti stavo evitando» disse con lo sguardo basso «O almeno... non stavo evitando te in particolare. Avevo solo bisogno di stare da sola dopo... una cosa che è successa»

Sull'ultima frase la sua voce calò sempre di più, fino a diventare un sussurro.

«E non hai pensato che forse ti poteva essere utile parlarne, invece che nasconderti?»

«No»

Ive sentiva il suo sguardo bruciarle addosso, anche se teneva lo sguardo basso per la vergogna.

«E non hai pensato a come le persone intorno a te potevamo starci male perché ti scrivevano e tu non rispondevi, perché dopo un mese continuavi ancora a non rispondere. Hai idea di quanto sia stato vicino a pensare che fosse morta? Ho scritto a Silente e perfino lui mi ha detto che non sapeva nulla. Cavolo Silente! Silente che sa sempre tutto! E poi ti presenti qui dal nulla e sfuggi al mio sguardo tutto il tempo e te ne vai in tutta fretta senza lasciarmi il tempo di parlarti. E poi che mi vieni a dire? Che "avevi bisogno di stare da sola"»

«È la verità»

Sbottò lei, cominciando ad essere vagamente irritata da quel tono ironico e amaro, ma lui non le diede retta.

«Insomma mi pare di essere sempre stato un buon amico. Mi pare di averti ascoltata e capita e perdonata e aiutata sempre. Credevo ti fidassi di me, credevo che non ti facessi problemi a raccontarmi le cose. Ma forse non sono abbastanza come amico per te»

Okay, ora quel tono la fece letteralmente esplodere. Forse avrebbe dovuto essere più delicata, e probabilmente lo sarebbe stata se avesse notato che Tamsin aveva già gli occhi lucidi.

«Ma la pianti di fare la vittima? Ti ho detto che avevo bisogno di stare da sola, dovevo riflettere con me stessa, capire come stavo, capire cosa era cambiato e cosa no, capire se tutta la mia vita sarebbe stata ribaltata o se era solo un'impressione. Dovevo... » fece una smorfia «Fare ordine. E non puoi biasimarmi se volevo farlo da sola. Se proprio c'è qualcosa che puoi rimproverarmi è che quando avevo finito sono stata troppo orgogliosa per venire da te.»

Tamsin piegò il labbro inferiore in dentro con le lacrime agli occhi. La verità era che aveva pensato – e continuava a pensare – che infondo non era stato un così buon amico se Ive non gli aveva chiesto aiuto. Ive lo guardò.

«Perché piangi?»

Chiese, anche lei con la voce che si trasformava in singhiozzo. L'adrenalina della rabbia le era passata e cominciava a sentire il peso delle parole che aveva detto e l'effetto che avevano avuto sull'amico.

Lui non rispose, si limitò ad allungarsi verso di lei e a stringerla tra le braccia. Ive rimase un attimo interdetta, ma il suo corpo riconobbe subito quell'abbraccio familiare.

«Scusa»

Le sussurrò Tamsin, la testa appoggiata sulla spalla di lei è una lacrima che gli rigava la guancia. Ive gli accarezzò la testa, passando le dita tra i capelli sottili.

«Scusa»

Riuscì a dirgli anche lei.

...

Quando Ive tornò a casa tutto era stranamente silenzioso, troppo silenzioso. Che Tonks fosse già a letto? Strano, di solito le ci voleva molto di più per addormentarsi. E invece si, la trovò rannicchiata sotto le coperte. Strano anche questo, di solito la mattina Ive la trovava con mani e piedi che uscivano fuori dal letto, tanto si spaparanzava, e le coperte appallottolate in fondo. E furono parecchie altre le cose strane nei giorni successivi.

Tonks non sembrava più Tonks. Era spenta. E non solo per i capelli, che non erano più rosa o viola, ma di un marrone molto scuro, quasi nero, molto probabilmente quello che sarebbe stato il suo colore naturale se non fosse stata una Metamorfomaga (era il core di capelli tipico della famiglia Black). Sorrideva e faceva le sue solite battute ma Ive riusciva a individuare sottili differenze con la Tonks dell'estate precedente. Non arraffava più le parole per la fretta e l'entusiasmo, anzi, parlava molto lentamente e spesso perdeva il filo, come se venisse catturata da qualche altro pensiero. E talvolta si rannicchiava sul divano del monolocale, in un angolino in cui, ruotata ad una certa angolazione, per Ive era impossibile vederla in faccia.

«Tutto okay?»

Le chiese un giorno, mentre facevano il solito giro di ronda, dopo aver passato il pomeriggio a spiare il tizio incappucciato che si ubriacava al paiolo magico.

«Cosa?» Tonks, confusa, sbatté un paio di volte le palpebre, sotto le ciocche scure e ordinate della sua nuova frangia «Certo... perché qualcosa non dovrebbe essere okay?»

«Intendo... non in questo momento... in generale. Sicura di star bene?» si morse un labbro, le era sempre risultato difficile inerpicarsi in quel genere di conversazioni, cercare di non sembrare indelicata. «Sembri... strana. Da un po'»

Tonks rizzò la schiena, all'improvviso sull'attenti. Ive vi riconobbe un po' della Tonks che conosceva, ampiamente diversa da lei. Se lei non sapeva che dire rimaneva impassibile, le labbra carnose serrate è come incollate tra di loro dall'incertezza. A Tonks invece l labbra rimanevano schiuse e tremavano leggermente, come in quel momento.

Ive la cercò sotto la frangia. I suoi occhi erano come perle di argento fuso, grigio scuro e profondo, la pupilla quasi un tutt'uno con l'iride a creare un senso di dispersione, interrotto solo dal luccichio della lampada del salotto che vi si rifletteva.

Aveva scelto dei begli occhi. Erano dei begli occhi.

Pensò Ive.

Se non fosse stato per quell'aria assente, come se nel vuoto di fronte a se, nella polvere che danzava trafitta dalla luce artificiale babbana, guardasse i ricordi dentro di sé. Come se quei ricordi non fossero affatto belli.

«È per Sirius...» chiese, e quel nome le pesò sullo stomaco «vero?»

Batté le ciglia, e in quel battito rivide davanti a sé l'arco vuoto con il corpo di Sirius Black che si fondeva al velo di fumo nero. Era stato poco più che un mese prima eppure sembrava lontano, sepolto nella sua memoria. Non che se ne fosse dimenticata, purtroppo no –come avrebbe potuto? – era solo lontano.

«Uh? È per Sirius cosa

«Che sei strana... triste»

Lei non disse niente, ma abbassò lo sguardo.

Ive si morse il labbro e annuì piano, anche se sapeva che Tonks non la stava guardando. Non aveva idea di cosa dovesse fare. Non era esattamente il massimo quando si trattava di consolare le persone.

Anche Diagon Alley non era più Diagon Alley. O almeno non era la Diagon Alley che tutti i maghi portavano nella loro memoria come parte della loro infanzia. Ive lo pensava ogni giorno di più.

Non c'erano undicenni, a breve neo-studenti di Hogwarts, che trascinavano i genitori da un negozio all'altro per comprare tutto l'occorrente per la scuola indicato sulla lista, né amici che si rincontravano dopo un mese di vacanze per fare gli acquisti per l'anno successivo insieme. Ollivander, il negoziante di bacchette più celebre di tutto il regno unito, era stato rapito dai Mangiamorte a inizio luglio e la sua bottega era stata chiusa (in senso metaforico perché la porta mezza scardinata ciondolava avanti e indietro, lasciando vedere gli scaffali ribaltati e le scatole e le bacchette sparse in tutto il negozio). Altri negozi erano teoricamente aperti, ma erano quasi tutti vuoti e i commessi se ne stavano tremolanti dietro alle casse, pregando tutti gli dèi che capitavano loro a tiro che i Mangiamorte non decidessero di divertirsi proprio durante il loro turno.

Ive si sentiva un po' strana a camminare in quella Diagon Alley così silenziosa. Se ripensava a quando ci andava con sua zia da bambina e si divertiva a immaginare storie sulle vite delle altre persone mentre Narcissa faceva compere, e tutte le volte che aveva incontrato Edward e poi anche Benjamin, e le volte che era stata alla Gringott e aveva cercato (con successo) di memorizzare perfettamente il percorso che portava alla sua camera blindata. Una sensazione d'impotenza le gorgogliava dal petto allo stomaco, sembrava quasi che piano piano i pezzi del puzzle della sua vita si stessero staccando e deteriorando ad uno ad uno – prima Cedric che veniva ucciso, poi Edward e Benjamin che di punto in bianco non volevano più essere suoi amici, poi sua madre che non era la sua vera madre e la sua vera madre che era stata uccisa dalla sua finta madre, e poi Diagon Alley che non era più Diagon Alley.

Come se il suo passato, come petali di dente di leone nel vento primaverile, si dissolvesse.

...

Buonasssssera!

Tanta invidia e tanto rispetto per quella gente che riesce ad aggiornare regolarmente.

Io quando mi ricordo lo pubblico un capitolo, e fortuna che ne ho un bel po' pronti, mo che finiscono non si con faccio...

Btw questo capitolo è un po' boh un po' noiosetto l'ho appena riletto. Quindi forse ne pubblico un altro domani (se mi ricordo). E giuro che i prossimi tre sono tutti molto fighi (almeno lo sono stati da scrivere soprattutto l'8 e il 9)

Spero che comunque vi sia piaciuto :)

Bye

boskowj

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