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Capitolo 2: Cassetto delle Lettere

Ive girava e rigirava quell'angolino di pergamena tra le mani. Lo girava e lo rigirava, prima lo arrotolava verso l'alto e poi verso il basso, mentre leggeva l'ennesima lettera a cui non avrebbe risposto.

"Cara Ive"

Diceva.

"Ho visto che non hai risposto alla mia ultima lettera, così come del resto non hai risposto alle mie ultime centoquarantasei lettere. Ho ricevuto gufi colmi di preoccupazione da parte del tuo amico Tamsin Williams..."

Girava e rigirava.

"... e anche dalla cara Tonks; entrambi si chiedono che fine tu abbia fatto e perché non rispondi loro. Perciò, ti pregherei gentilmente di smettere di ignorare le nostre lettere, ci farebbe molto piacere una tua risposta."

Arrotolava verso l'alto...

"E, naturalmente, io e Tonks vorremmo sapere cosa hai deciso a proposito della proposta che ti avevo fatto circa un centinaio di lettere fa (forse era la trentesima?), che ti rammento essere: '... ma spero vorrai tornare ad adempiere il tuo ruolo all'interno dell'Ordine della Fenice. Pensavo di affidare a a te e alla giovane Tonks la sorveglianza di Diagon Alley'."

... poi verso il basso.

"Spero di avere presto tue notizie e mi auguro (in realtà ne sono abbastanza sicuro) che tu non sia morta di una morte orribile e terribilmente dolorosa.
A. P. W. B. S."

E girò e rigirò finché l'angolino di pergamena non divenne così sottile da rischiare di sgretolarlesi in tra le dita. Sbuffò. Chiuse gli occhi e lasciò andare la testa contro l'alta dell'armadio. Le sembrava quasi di vedere l'anziano preside di Hogwarts davanti a sé, la lunga veste di una qualche sfumatura dell'azzurro o del viola e il sorriso tranquillo. Sentì i capelli scivolarle sul viso, erano cresciuti parecchio dalla fine del suo ultimo anno ad Hogwarts e ora, seduta sul pavimento com'era in quel momento, i boccoli scuri arrivavano fino a toccare terra. Sentì anche il freddo del pavimento sulle cosce, dovuto al cambio di posizione. E sentì gli occhi inumidirsi e bruciare.

Tic tac. Il suono dell'orologio a parete scandiva il tempo. E lei girava e rigirava, a tempo, appena più veloce e più nervosa rispetto a prima. Non aveva mai visto un orologio così prima di andare a vivere in quel monolocale babbano  ma, abituata com'era al rumoroso pendolo di Villa Malfoy, non aveva mai avuto problemi ad imparare ad ignorare il lieve ticchettio di quell'orologio babbano, in quei due mesi.

Due mesi...

Erano davvero passati già due mesi da quando viveva lì, isolata dal Mondo Magico e dalla guerra, senza rispondere alle lettere dei suoi amici e del Preside? Santo Salazar, le sembrava di essere andata da Charlotte soltanto il giorno prima...

«Ehi»

Ricordava di averle detto una volta che la ebbe raggiunta davanti al bancone del bar babbano in cui Charlotte aveva trovato lavoro. E ricordava di averla osservata, i capelli di un verde più smunto del solito (aveva iniziato a tingerli con la tinta babbana invece che con la magia per rendere più credibile la sua copertura da 'ragazzina babbana random') erano tenuti all'indietro da un mollettone e le maniche della maglia bianca arrotolate fin su i gomiti, mentre passava una pezza umida sul bancone. Indossava un gilet scuro lasciato aperto e dei pantaloni morbidi, gli occhi grandi e scuri erano truccati con precisione e una ciocca verde, sfuggita alla molletta, glie li faceva sbattere e le faceva scuotere la testa per spostarla.

«Ive, Ciao»

Le aveva risposto Charlotte, aveva quella sua solita aria a metà tra l'esuberante e il ribelle che, ai tempi della scuola aveva portato Megan Burke a definirla 'la peggiore compagna di stanza esistente'. E Ive non era riuscita a capacitarsi di come fosse possibile. Sua zia, una Mangiamorte di rango intermedio, era morta durante un attacco ad Hogsmeade che aveva condotto ad aprile e il Signore Oscuro si era dimostrato del tutto incline a vendicarsi sulla famiglia per quel fallimento. E così Charlotte aveva disperatamente chiesto aiuto ad un ex studenti di Durmstrang che aveva conosciuto durante il Torneo Tremaghi. Un tizio dal cognome strano, che a quanto pareva era un asso nel creare identità false e, approfittando della guerra, si era trasferito in Inghilterra per fare un po' di soldi. Lui e Charlotte erano diventati molto amici, così lui l'aveva aiutata a far cambiare identità e aspetto ai suoi genitori e  a spedirli in America, dove potevano nascondersi e allo stesso tempo condurre una vita tranquilla e comoda. I signori Taylor avrebbero voluto portare la figlia con loro, ma lei aveva insistito per rimanere lì. Non aveva detto il perché, ma Ive sospettava che fosse perché non riusciva a lasciarsi tutta la vita alle spalle, non voleva buttarsi in gioco ed entrare nell'Ordine ma allo stesso tempo non ce la faceva a lasciar perdere tutto, aveva paura di dimenticare tutti gli amici e... i più che amici.

«Cosa ti porta qui?»

Ed era proprio per quello che era lì. Charlotte Taylor era stata l'ultima persona con cui aveva parlato, ed era andata da lei, proprio come lei dal suo amico con il cognome strano, per chiederle disperatamente aiuto.

«Mi servirebbe un favore...»

E le aveva spiegato tutto... più o meno. Le aveva detto che voleva un posto tranquillo, isolato, e nascosto dove stare; magari nel mondo babbano e preso con vie babbane, per non poter essere rintracciata (che fosse dai Mangiamorte o, come stava in effetti accadendo, da Tamsin o Silente); però che allo stesso tempo fosse nei pressi di qualche luogo magico, per non perdere completamente il contatto e restare informata sullo svolgimento della guerra contro Voldemort.

Non le aveva detto perché.

Forse il perché non lo sapeva nemmeno lei. O forse lo sapeva, ma non sapeva di saperlo. O forse lo sapeva proprio e non sapeva come dirlo.

Quel che sapeva con certezza era che il mondo le era crollato addosso quando aveva scoperto che Bellatrix Lestrange non era sua madre.

E si era ritrovata lì, in quel monolocale londinese, a pochi isolati dal Paiolo Magico, a passare i giorni appoggiata contro l'armadio, o contro la testiera del letto o abbandonata su una sedia, a osservare il bianco vuoto nella vernice del soffitto e a pensare.

Edith Smith

Era stata la prima cosa che aveva pensato. Dopo tutto il trambusto del 'trasloco' e della creazione di documenti falsi; dopo che l'amico con il cognome strano di Charlotte , che l'aveva accompagnata, se n'era andato; dopo che aveva sistemato le sue cose (appeso i vestiti nell'armadio, con subito sotto una scatola di cianfrusaglie varie e vecchia roba di quando andava ad Hogwarts, appoggiato sul comodino le cose che usava di più, riposto le lettere più recenti, che allora erano ancora poche, in un cassetto dell'armadio).

Dopo tutto questo l'appartamento si era fatto silenzioso. Un silenzio di quelli innaturali. Il classico silenzio innaturale. Ive si era seduta, lo ricordava perfettamente, nella stessa posizione: spalle contro l'anta intarsiata dell'armadio, le gambe semi-rannicchiate sul pavimento gelido e lo sguardo perso sull'ambiente intorno, senza realmente vedere il letto singolo appostato sotto la finestra e il piano della cucina poco più in là, accanto alla porticina che dava su un piccolo bagno. E aveva pensato a sua madre.

La percorse un brivido.

Aveva pensato al sorriso che sfoderava nella foto a casa di Margaret, con il vestito rosa rifinito da merletti e i grandi occhi azzurri illuminati di gioia. E poi aveva pensato a lei a Villa Malfoy al tavolo dei Mangiamorte, alla sua espressione determinata un secondo prima di ribellarsi a Voldemort.

Un una sensazione di vuoto e paura le si era formata all'altezza dello stomaco. Ma non pensando a Edith, pensando a se stessa.

"Edith si è ribellata"

Si era detta.

"Edith ne ha avuto il coraggio, Edith era buona"

Si era sentita molto male. Ricordava di aver trattenuto il respiro, come se questo potesse calmare il dolore che sentiva baluginare nel torace.

"E io?"

Lei era buona? Non era sicura di voler rispondere, non era sicura di volerci pensare. Aveva paura di pensarci. Aveva paura perché aveva un po' sbirciato le risposte, e non le piacevano per niente. Aveva così tanta paura che oltre che nascondersi da se stessa si era nascosta anche dagli altri. Perché stare con gli altri avrebbe significato dover scegliere: buoni o cattivi?

E immaginava il Preside mentre le inviava quella centoquarantasettesima lettera e un po' di rabbia affiorava, aumentando il battito del suo cuore.

E il ticchettio dell'orologio sembrò farsi più fitto, come se i secondi durassero di meno, Ive sapeva che era impossibile, ma le sembrò così. Sentì una strana sensazione inghiottirle il respiro, un grossa bolla che occupava tutto il suo torace.

Girava e rigirava, sempre più veloce.

Le lacrime le si fecero più insistenti. Provò a trattenerle, le sopracciglia aggrottate e gli occhi spalancati. Le briciarono e fu costretta a sbattere le palpebre. Le ciglia le si inumidirono è un singhiozzo le risonò in gola.

Girava e rigirava, ora talmente veloce che sentiva i muscoli delle mani intorpidirsi, doloranti.

Fissava il vuoto nella stanza, come se avesse davanti a se uno specchio e si stesse guardando: le lacrime che ormai scorrevo fin sulle labbra semiaperte, i capelli umidi e scompigliati e il mantello che le si era spostato e spiegazzato, lasciando le cosce scoperte.

Fece un grosso respiro, scosse la testa, spostandosi i capelli dal volto e si alzò in piedi. Aprì il suo 'cassetto delle lettere'.

A destra, divise in due colonne, c'erano quelle di Tamsin. Erano parecchie, forse più di duecento, ma tutte con poche parole preoccupate. Tamsin sapeva essere molto logorroico, ma quando si trattava di scrivere era uno da frasi brevi e veloci. Da "Ehi Ive come vanno le vacanze? Spero tu sia riuscita a trovare un posto dove stare, dubito tu sia tornata a Villa Malfoy, e ho saputo che il vecchio quartier generale non è più utilizzabile e ne stanno cercando uno nuovo. Io sto cercando di convincere la mamma a lasciarmi traferire lì una volta che l'avranno scelto. Non vuole e in realtà nemmeno io vorrei lasciarla, ma Kingsley mi ha detto che sarà più al sicuro se sta lontana da qualsiasi cosa di 'magico'. Ci vediamo alla prossima riunione dell'Ordine. Tamsin" a "Ehi Ive, tutto ok? Non hai risposto alla mia lettere, non era mai successo. E non sei nemmeno venuta alla riunione. Alla fine abbiamo trovato un quartier generale, ma ovviamente non posso dirti quale via posta. A breve mi trasferirò lì. Kingsley mi ha detto che il Ministero metterà sotto sorveglianza un po' di Babbani che hanno parenti Maghi, ha detto che forse riesce a inserire mia madre nella lista. A presto, spero, Tamsin." Fino ad arrivare a "Ehi Ive ora sto cominciando sul serio a preoccuparmi quando non mi hai risposto all'ultima lettera mi era venuta una cosa in mente ma non volevo pensarci insomma non può essere anche Silente dice che non rispondi che succede?Ti prego rispondimi."

L'assenza di punteggiatura le aveva fatto immaginare Tamsin che parlava a macchinetta, come era solito fare quando era nervoso. Era strano, di solito scriveva molto bene e non mancava una virgola. Ive si sentiva un po' in colpa: doveva aver scritto molto di fretta e molto nervosamente. Era davvero preoccupato.

Subito accanto le lettere di Tonks. Decisamente più lunghe e decisamente di meno. Doveva essere piuttosto indaffarata, considerando che stava lavorando per due.

E infine, impilate con una precisione tale da spaventare la stessa Ive, le centoquarantasei da parte di Silente.

Il ticchettio dell'orologio. Tic. Tac. Tic tac. Tictac. Tictac tic tac. Tictactictac. Sempre più veloce, sempre più forte nelle sue orecchie. Quasi più del pendolo di Villa Malfoy.

Il viso preoccupato di Tamsin, nascosto nei due mucchietti di lettere nel cassetto.

Perché?

Bellatrix che le dava della traditrice, al ministero della magia.

Il senso di vuoto lacerante.

Edith, sua madre. Con il suo sorriso leggiadro e il suo vestito rosa dai bordi in pizzo.

Un senso di vuoto insopportabile, che sta lì e non fa niente, non fa male, ma è impossibile da ignorare.

Bellatrix che dava della traditrice a Edith, nel ricordo del giorno in cui l'aveva uccisa.

Tictactictactictactictac.

Il vuoto si era trasformato quasi in un conato di vomito.

Silente che continuava a scriverle lettere, Tamsin che continuava a scriverle lettere. "Perché non rispondi?"

Perché non rispondeva?

Il grido che le otturava la gola, che le faceva male dentro ma che non riusciva a far uscire fuori.

Il mal di testa che le veniva quando provava a ricollegare le cose.

Il bruciore agli occhi per il troppo fissare il soffitto.

L'orologio.

Tic.

...

...

...

...

Tac.

Buio. Un battito di ciglia più lungo degli altri e poi una luce soave, rosea.

Si ritrovò i resti stracciati della lettera di Silente in mano. Aveva smesso di pensare, come se qualcuno avesse calato l'ascia e decapitato la vocina nella sua testa, mettendola definitivamente a tacere. Le lacrime le si erano asciugate sulle guance, ne sentiva ancora l'ombra umida sulla pelle, bruciavano ancora. Luccicarono quando un raggiò di sole saltò su di lei attraverso il vetro della finestra.

Lasciò andare i resti della lettera nel cassetto e lo chiuse con uno spintone. Trattenne il fiato per qualche secondo.

«Immaginavo che avresti ignorato anche quella, anche se non mi aspettavo una reazione così violenta nei suoi confronti» Ive sobbalzò. Si asciugò violentemente le lacrime e alzò lo sguardo. Il viso le riemerse da sotto i lunghi capelli scuri «Ho pensato che sarei dovuto intervenire di persona, o non avresti avuto più posto nel cassetto» Sorrise. Era sempre così con Albus Silente, sorrideva e scherzava su cose e in momenti su cui è in cui nessuno avrebbe scherzato.

«...» Ive aggrottò le sopracciglia «Professor Silente»

Disse atona, con solo una nota sbigottita, senza guardarlo negli occhi. Cercò di non darlo a vedere, ma la stava assalendo il panico.

Non aveva più via di scampo.

E, lo dimostrava quel sorriso sottile sotto la crespa barba argentea, Silente lo sapeva benissimo. Sapeva di averla incastrata. E sapeva anche che lei avrebbe fatto di tutto per evitare di ascoltarlo. Un'altra cosa di Silente, alquanto fastidiosa, anche quello che passava per le teste degli altri (ma ovviamente nessuno riusciva mai a capire cosa passasse per la sua di testa). Forse era Legilimanzia, ma Ive non pensava.

«Ah, cara Ive!» allargò le braccia e si sedette sul suo letto, come se niente fosse «Che piacere vederti... almeno per me, intendo, tu non sembri propriamente lieta di questa visita» Ive irrigidì la mandibola e non disse niente. Continuava a fuggire il suo sguardo, non aveva il coraggio di incrociare le iridi azzurro-ipnotico che sicuramente la avrebbero intrappolata e le avrebbero fatto mancare il fiato, obbligandola ad acconsentire a qualunque cosa le dicesse l'anziano preside. «Sappi che mi ritengo profondamente offeso per non aver ricevuto risposta a nessuna delle mie lettere e, naturalmente, anche per questa tua accoglienza non propriamente calorosa»

Lo sguardo di Ive si era spostato dall'orlo merlettato del capello appunta di Silente alle scanalature della cornice della finestra, decisamente più lontane dal viso del preside e decisamente più sicure per portare a termine il suo fermo intento di non guardarlo negli occhi.

«Spero che tu ricordi perché sei entrata nell'Ordine» disse ancora Silente. E il suo tono fu più aspro, un tono che aveva sentito raramente, se non mai, suonato dalle sue corde vocali. Si sentiva chiaro il rimprovero. «Come puoi pretendere di combattere maghi oscuri e salvare le altre persone se non riesci nemmeno a combattere contro il tuo stesso passato e a salvare te stessa da questo»

Le riaffiorò un po' di rabbia. Lei non sapeva certo combattere, combattere per davvero non duellare. Lei non era un eroe. Non era come Harry Potter, cresciuto a bastonate e camicie di qualche (molte) taglia di troppo. La sua vita era sempre andata bene, era sempre stata tra i più fortunati. Silente non poteva pretendere che assorbisse il colpo e ricominciasse a vivere come prima.

Si morse l'interno della guancia per non sbraitargli contro e rimase ancora in silenzio.

«Mi aspetto che tu ci sia alla prossima riunione, giovedì prossimo.»

Ive sentì solo un leggero frusciare di mantello contro il pavimento e silente se fu andato lasciandole addosso solo quel raggio di sole coraggioso che luccicava riflesso nei ricami d'oro dei suoi abiti e la terribile ansia del giovedì seguente, che si faceva vicino ogni 'tic tac' dell'orologio a muro che passava.

♥︎♥︎♥︎

Guess who's back?

Ebbene si, dalla profondità più oscura degli inferi sono finalmente e definitivamente (spero) resuscitata per completare questa storia. Non perché qualcuno ancora la legga (lungi da me fare la vittima, è un fatto oggettivo che questo account ormai sia un relitto che uso solo per leggere pessime one shot quando finisco una serie e mi innamoro di un personaggio) ma perché mi sento in colpa a lasciarla così, è una cosa troppo ingiusta nei confronti della me tredicenne che si è inventata tutto l'impiccio della madre di Ive e quell'altro impiccio che non posso dire con il tizio incappucciato perché sarebbe spoiler.

E poi se c'è una cosa con cui sono d'accordo con la me tredicenne è che c'è un girone dell'inferno fatto a posta per la gente che non finisce le ff su wattpad, e io non voglio finirci.

Perciò. Ho passato gli ultimi mesi a combattere il blocco che avevo su questa storia (perché in questi anni altre cose le ho scritte eccome e non vedo l'ora di sistemarle e cominciare a pubblicarle ihihihih) e ho scritto un bel po' di capitoli quindi conto di riuscire ad aggiornare periodicamente (non è vero, sono la persona più disorganizzata del mondo).

bye

_silvia

Ouch che cringe 'sto saluto e che strano tornare a scriverlo

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