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Capitolo 13

Sola

Becky G.

Resto paralizzata come una perfetta ritardata a fissarlo senza dire niente. Sapevo che dovevo affrontare questa strana situazione fin da subito, ma cretina quale sono non l'ho fatto.

"Allora?" Chiede, in tono leggermente infuriato.

Chissà che cosa gli frulla per la testa in questo momento, ma al suo posto penserei soltanto ad una cosa.

"Chi è questo? E cosa devi dirmi?" Il suo tono si altera sempre di più.

"Non è niente di quello che pensi." Lo precedo prendenedo finalmente la parola.

Lui chiude gli occhi leggermente guardandomi come se fossi un alieno.

"E' una storia un po' complicata e so che bene che ti incazzerai quando te la dirò."

Si gira completamente verso di me "Oh, io sono già incazzato e tanto. Non puoi assolutamente capire che cosa mi gira per la testa in questo momento. Da quanto tempo, eh?" Chiede e io capisco subito che ha capito male.

"Non ti sto tradendo. Lo so che lo pensi." Affermo subito.

"Ah no?" Chiede mostrandomi il telefono come supposta prova.

"No. Non so nemmeno chi è." Spiego e lui riguarda il telefono per poi rivolgermi nuovamente lo sguardo.

"E' da qualche giorno che ricevo messaggi ambigui da questa persona, ma non so chi sia...e "

"Che cosa significa? Non ci sto capendo un cazzo."

Alzo gli occhi al cielo. "Fammi finire, almeno." Sospiro perdendo la pazienza.

"Guarda." Dico mostrandogli gli ultimi messaggi dal mio cellulare.

Lui lo prende dalle mie mani e scorre il dito sullo schermo guardando i messaggi con la mascella serrata.

"E' da qualche giorno che mi arrivano messaggi del genere e non so assolutamente di chi si tratti."

Lui continua a fissare lo schermo inebetito da ciò che ha appena scoperto e io mi mordo il labbro non sapendo cos'altro dire.

"E perchè cazzo non me lo hai detto subito?"

Mi passo una mano fra i capelli "Te lo volevo dire, ma quando ho ricevuto ache il bigliettino in cucina ho-"

"Cosa?!" Praticamente urla facendomi stringere gli occhi.

Mi do mentalmente della stupida ma ciò non serve a risolvere la situazione.

"Te lo volevo dire domani, davvero... Ero solo spaventata e non sapevo come gestire la situazione.

Sospira. "Cosa diceva il biglietto?"

"Sei sicura di essere circondata dalle persone giuste o una cosa così..." Spiego, mettendo le mie mani in grembo.

Blocca il mio cellulare e lo butta accanto a sè. Si passa più volte la mano sul viso e non mi guarda nenache in faccia. Ho semplicemente combinato un gran casino e adesso non so nemmeno cosa dire perchè ha maledettamente ragione ad incazzarsi.

Lo sento sospirare molto forte fino a quando non si tasta nelle tasche e prende il suo cellulare per chiamare qualcuno.

"Chi- chi chiami?" Chiedo piano.

Lui si gira fulminandomi con lo sguardo. "La polizia." Risponde secco.

Cosa?

"Che? Perchè vuoi chiamarla?" Chiedo in preda al panico.

Si alza di scatto facendomi sobbalzare e mi guarda fulminante negli occhi. "Stai scherzando, vero? Qualcuno ti sta praticamente minacciando ed è entrato addirittura a casa nostra e tu mi chiedi perchè sto chiamando la polizia?"Urla.

Guardo in basso con le lacrime agli occhi, poi mi alzo velocemente e corro su per le scale per raggiungere la camera vuota; quella degli ospiti.

Mi butto sul letto e blocco le lacrime stringendo gli occhi, torturando con le mani il cuscino. Sono spaventata; troppo. L'avevo presa sotto gamba quando in realtà non mi sono resa conto della gravità della situazione. Una persona conosce il mio numero e mi manda strani messaggi e peggio ancora è entrata a casa per lasciare un post-it. Sono un'idiota, una cretina. Cosa diavolo mi costava dirlo subito? E' arrabbiato con me quando in questo momento vorrei solo il suo appoggio e farmi dire che andrà tutto apposto.

Stanno succendendo troppe cose contemporaneamente: mia sorella che improvvisamente si è affezionata a mio padre e vuole addrittura passarci una vacanza insieme come se fosse la persona più innoqua di questo mondo, a scuola sto facendo schifo e adesso questo.

Apro gli occhi e per non farmi prendere dal panico apro il cassetto del comodino dove metto il mio diario. Apro dove c'è il segnalibro e prendo la penna iniziando a scrivere tutto ciò che a parole non riesco a dire: sensazioni, fatti, tutto ciò che mi viene in mente in quel momento per sfogarmi completamente. La psicologa mi ha detto che far sì che tutto ciò funzioni devo scrivere tutto di getto e rileggerlo solo dopo che ho finito, ma ci rinuncio dopo che la porta viene aperta facendomi chiudere tutto in un colpo.

Dylan mi guarda con lo stesso sguardo di prima accellerando la mia ansia. "La polizia vuole parlare con te, scendi giù." Annuncia, prima di uscire dalla stanza.

Sospiro. Non me la sento per niente, e in altre occasioni mi sarei ribellata ma adesso mi sento già in colpa per la situazione.

Faccio un respiro profondo e scendo giù le scale arrivando a metà, trovando due poliziotti seduti sul divano. Mi fermo subito. Non posso assolutamente presentarmi, merda.

Sono ancora minorenne e sicuramente mi chiederanno dei miei genitori. Abito qui illegalmente e succederà un casino. Indietreggio piano piano e mi nascondo dietro il muro non sapendo cosa fare.

Se lo chiamo? Mi metto le mani nei capelli mordendomi l'interno delle guance.

Sto cinque minuti a pensare come uscirne fino a quando non sento i passi avanzare dalla mia parte.

"Allora? Cosa diavolo ci fai ancora qui?" Chiede Dylan guardandomi storto.

"Smettila di rispondere così. Non posso scendere giù.." Spiego sussurando.

"Perchè no?"

"Se scendo mi chiederanno dei miei genitori e sono minorenne.."

"E allora? Tuo padre ha comunque firmato il contratto per farti stare qui prima di arrivare in California." Dice ovvio.

Un altro dettaglio che ho sempre omesso. Stringo i denti e chiudo gli occhi prima di sputare il rospo. "Ho falsificato la firma di mio padre quando ti ho inviato il fax per il contratto."

Lui allarga gli occhi incredulo. "Che cosa?"

"Ti prego.. non discutiamone adesso." Piagnucolo.

Scuote la testa doppiamente incazzato e scende giù prima di sussurare un "tu sei pazza."

Mi avvicino alle scale per ascolatare cosa dicono, ma non si sente assolutamente niente. I poliziotti non sembrano interessati molto alla situazione e in qualche minuto escono dalla porta come sono entrati. Che cosa li avrà mai detto?

Ho paura di scendere a chiederlo, ma lo vedo subito arrivare così mi rimetto con la schiena rivolta al muro.

Mi guarda per un secondo poi distoglie subito lo sguardo. "Prendi tutta la tua roba e mettila nel borsone. Andiamo via."

Apro la bocca ma la richiudo per paura di dire la cosa sbagliata. Potrei domandare cosa ha detto alla polizia ma non mi sembra assolutamente il caso.

"Possiamo parlare?" Chiedo gentilmente.

Lui mi da di spalle. "No, per oggi non ho voglia nemmeno di vederti, quindi per favore stai zitta almeno." Risponde molto rudemente mentre io annuisco subendo le mie meritate lame al petto.

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I'M BACK! :)

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SEE YA SOON


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