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It's been a long, long time

New York, 14 febbraio 1946

Mi sono persa fra le parole, Capitano.

Un foglio bianco, scritto fitto fitto nell'inchiostro nero e indelebile della penna stilografica, ha annichilito ogni mia intenzione, ogni mia resistenza.

Poso i gomiti sull'ampio piano rettangolare della scrivania in noce dell'Ottocento, eredità della mia famiglia paterna, osservando l'unica cornice della stanza, appoggiata alla ringhiera a colonnine in legno di rovere a contrasto del mobile. 

E' una cornice d'argento di forma squadrata, con la foto di un ragazzo mingherlino di un metro e mezzo d'idealismo, il giovanotto col cuore più puro mai conosciuto.

Sul cotone della t-shirt a girocollo, esaltate dalle sfumature bianche e nere dell'immagine, spiccano le piastrine metalliche di riconoscimento, simbolo dell'attaccamento alla divisa di un militare dal coraggio innato.

L'ardimento palpitava già in ogni tua cellula, prima dell'artificioso accrescimento di massa muscolare, peso, potenzialità. Lo dimostrasti gettandoti impavido sulla granata da esercitazione, sul campo di addestramento dove ci incontrammo. Imparai in quella circostanza che un grande esercito inizia da un solo uomo; non è soltanto una frase fatta di un attempato superiore, ma verità assoluta.

Avevo scarso interesse per i sieri magici, i centimetri della gabbia toracica, o per la velocità di percorrenza di un giro di pista. Per me erano importanti le qualità palpabili oltre il fisico. 

Contava la gentilezza, i modi garbati desueti pure per il secolo in cui viviamo, gli occhi azzurri, vispi e dolci, privi di allusioni maliziose e di qualsivoglia accenno di sessismo, l'intelligenza arguta con cui recuperasti la bandiera del nostro paese per tornare al campo in auto con me.

Persino la grafia sulla busta e sulla carta da lettere, rotondeggiante, ordinata e accurata, denota la tua personalità, la devozione istintiva per gli affetti e gli ideali.

È bella la tua scrittura, Steve. La caratterizza il calibro piccolo, simbolo di capacità di attenzione ai particolari, alle sfumature. Esalta l'umana complessità di individuo, riuscito a essere se stesso, a dominare il ruolo dell'eroe in calzamaglia, imposto da altri.

Gli occhi colmi di me, umile fotografa di un azzeccato scatto, mi dilaniano mentre cerco di rispondere alla tua missiva, datata molti mesi or sono e consegnatami poco fa da un fidato messo. L'hanno trovata sotto il materasso della tua branda; sulla busta chiusa avevi già scritto il mio nome e l'indirizzo del mio appartamento di New York. Avevi suggellato sopra il foglio di carta ciò che non ti era stato possibile chiedermi di persona, forse con l'idea di attendere la fine del conflitto per farlo.

Per riuscire ad aprire il prezioso involucro col tagliacarte d'argento ho dovuto prepararmi un tè forte e inserire nel grammofono un disco: il mio preferito, l'unico che ascolto. Talmente usurato che la puntina non coglie più l'incisione e salta sulla melodia, ripetendo le parti del brano in un'infinita cadenza di amate note. Dovrò ricomprarlo; lo suono continuamente, è lo scenario immaginifico di una danza d'amore.

It's been a long, long time (*). Quante volte si può ascoltare una canzone senza averne abbastanza, struggendosi, tergendosi il viso dalle calde lacrime che vi scendono, copiose? Non saprei, ho smesso di contarle. 

Il mondo si ferma, lo spazio e il tempo smettono di esistere per due ballerini su un pavimento di parquet chiaro. Mi ritrovo stretta con la mano tremante nella tua, ancora più inferma. Scarpe nere con un tacco medio, io; un'uniforme verde già colma di lustrini sul petto, tu; due cuori che battono a un ritmo univoco, i nostri; due persone nate per stare insieme, noi.

Sei in ritardo, Steve. Ancora ti aspetto, per il ballo promesso. Sabato prossimo, allo Store Club, alle venti in punto. Per favore - mi raccomandai - non osare fare tardi.

Eri preoccupato. Più di non aver ancora imparato a ballare e di pestarmi i piedi che di trovarti su un aereo in una discesa troppo veloce.

Ti rassicurai. Ti insegnerò io, Capitano. Però devi venire.

Ero Peggy Carter prima di te, l'agente che metteva gli altri al tappeto, pure coi pugni. Con lei lo hai fatto tu, ragazzino dagli occhi di zaffiro.

Il nostro incontro è stata la maniera del fato di mostrare l'importanza dei sentimenti a una cinica convinta, scettica dell'esistenza dell'amore.

Ti accusai di non saper parlare a una donna. Sbagliavo:  adesso sono certissima del contrario. Sai come si parla e, soprattutto, come si scrive a una donna. 

Conosci la maniera per ammaliare la sottoscritta, perfetto principe azzurro avvolto da una magica aura pregna di vita. È bastato sentire il rumore della sorpresa, nascosta nel foglio ripiegato in quattro, ricadere sul legno della scrivania perché un'emozione mi scoppiasse nel petto. Il respiro si è fermato in gola. Ho rigirato fra le dita tremanti e incerte il sottile cerchietto d'oro bianco, sul cui lato interno è inciso il nome di tua madre, Sarah.

Il riverbero del piccolo brillante alla luce della lampada da tavolo di vetro sfaccettato ha riempito la stanza di immagini oniriche piene di colori. Gli stessi di un arcobaleno maestoso e improvviso apparso dopo una furiosa tempesta di pioggia. È segno di speranza!

Una vera di fidanzamento al dito di una donna ne comunica inevitabilmente l'indisponibilità verso altri corteggiatori, ma no, non è il mio caso. Sono sempre stata tua, Capitano, e il pensiero di te, uomo innamorato che suggella la promessa d'amore eterno con la gemma più preziosa è troppo romantico per potervi rinunciare in nome dell'indipendenza, dell'equità fra i sessi o di altri principi razionali che scopro non appartenermi più da tempo.

Ogni ragazza nubile sogna la propria proposta di matrimonio e l'anello che gliene porterà memoria per tutta la vita. Se avessi dovuto scegliere un momento per riceverlo, avrei optato per l'attimo d'infinito in cui soffio una sillaba dalla bocca, con te inginocchiato in questa minuscola stanza newyorkese.

E, ovviamente, mio adorato Steve, la risposta alla tua domanda sincera è un sì, altrettanto sincero. Che ti possa arrivare con tutto il mio amore, ovunque tu sia. 

Resterò qui, in attesa del tuo ritorno.

La tua fidanzata, ieri, ora e per sempre, 

Peggy

(*) It's been a long, long time , la canzone citata è dalla registrazione di Harry James Orchestra di "È passato tanto, tanto tempo", con la voce di Kitty Kallen.

(**) La fanart di Peggy  e Steve utilizzata per il capitolo di Marie V. è stata salvata da Pinterest. 

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